LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Maria Margherita – rel. Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17175-2019 proposto da:
R.A., elettivamente domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato CARAVETTA MARISA;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE della PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato PULLI CLEMENTINA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MASSA MANUELA, CIACCI PATRIZIA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1308/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 28/11/ 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LEONE MARGHERITA MARIA.
RILEVATO
Che:
La Corte di appello di Catanzaro con la sentenza n. 1308/2018 aveva riconosciuto il diritto di R.A. all’assegno di invalidità con decorrenza dal 1 giugno 2010, e condannato l’Inps al pagamento dei relativi ratei con gli accessori di legge dalle date di scadenza al soddisfo, aveva poi compensato le spese del giudizio in ragione dell’insorgere del diritto solo in corso di causa. La corte territoriale, nella parte motiva della decisione aveva anche chiarito che la prestazione riconosciuta decorreva dal “primo giorno del mese successivo alla domanda amministrativa”.
Avverso detta decisione R.A. proponeva ricorso affidato a due motivi, cui resisteva l’Inps con controricorso.
Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO
Che:
1) Con il primo motivo è dedotta la violazione dell’art. 132 c.p.c., art. 118 disp. attuaz. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver, la corte territoriale, omesso di motivare sulle ragioni per le quali si era discostata, in punto di decorrenza della prestazione, dall’esito dell’indagine peritale.
2) con il secondo motivo è dedotta la violazione e errata applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per aver, la corte di merito, compensato le spese del giudizio, in ragione dell’insorgenza del diritto solo in corso di causa.
Con riguardo al primo motivo deve preliminarmente osservarsi che nella sentenza in esame, nel dispositivo, per quel che qui rileva, è indicata quale decorrenza della prestazione riconosciuta, la data del 1.6.2010, mentre nella motivazione oltre alla data predetta è chiarito che la decorrenza è dal “primo giorno del mese successivo alla domanda amministrativa” (domanda amministrativa del 28.5.2009).
Nella motivazione sono inoltre riportate le conclusioni dell’elaborato peritale, secondo il quale la decorrenza della invalidità è collocata alla data della presentazione della domanda amministrativa, e tali conclusioni sono condivise dal giudice del gravame.
Poiché si tratta di sentenza redatta contestualmente al dispositivo deve dunque avere ingresso il generale principio secondo cui “Nell’ordinario giudizio di cognizione, la portata precettiva della sentenza va individuata tenendo conto non solo del dispositivo ma anche integrando questo con la motivazione, sicché, ove manchi un vero e proprio contrasto tra dispositivo e motivazione, deve ritenersi prevalente la statuizione contenuta in una delle due parti del provvedimento, che va interpretato secondo l’unica statuizione in esso contenuta” (Cass. n. 15088/2015).
La valenza di tale principio nel caso in esame, non risulta confliggere con la peculiarità del rito del lavoro ove, in ipotesi di contrasto tra dispositivo e motivazione prevale il primo sul secondo (in tal senso Cass.n. 12841/2016). Nel caso in esame, infatti, non è riscontrabile un vero contrasto tra le due parti della decisione (dispositivo e motivazione), ma solo una errata indicazione della data (in entrambe le parti) frutto di lapsus calami.
A ciò consegue che, trattandosi di errore nella indicazione della data da parte del giudice evidenziato, in motivazione, dalla specifica indicazione della decorrenza della prestazione dal “primo giorno del mese successivo alla domanda amministrativa, e dalla condivisione delle risultanze peritali, lo stesso avrebbe potuto, al più, essere oggetto di procedimento di correzione dell’errore materiale, (Cass.n. 5727/2015), ovvero di lettura integrata di dispositivo e motivazione. La attuale censura, che suppone una carenza motivazionale, è pertanto “fuori bersaglio” e pertanto inammissibile.
2) Chiarita la erronea indicazione della data del 1.6.2010 quale momento di decorrenza della prestazione, deve conseguentemente ritenersi fondata la censura riguardante la compensazione delle spese, poiché giustificata dal giudice in ragione dell’insorgenza del diritto in corso di causa.
Deve pertanto accogliersi il secondo motivo, cassarsi la sentenza in relazione al motivo accolto e rinviarsi la causa alla Corte di appello di Catanzaro, che dovrà statuire sulle spese in ragione dell’esito della domanda, oltre che sulle spese del giudizio di legittimità
PQM
La Corte accoglie il secondo motivo, rigetta il primo, cassa la sentenza con riguardo al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Catanzaro, diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021