LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11191-2019 proposto da:
COMUNE DI AMANTEA, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv.to GINO PERROTTA;
– ricorrente principale –
Contro
SOCIETA’ COOPERATIVA A R.L. SAN ROCCO, G.A., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA, presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avv.to SANDRO ANTONIO TURANO;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
nonché
REGIONE CALABRIA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1864/2018 della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO, depositata in data 25/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/02/2021 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.
RITENUTO
Che:
con sentenza resa in data 25/10/2018ela Corte d’appello di Catanzaro, pur riducendone l’importo monetario, ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato il Comune di Amantea al risarcimento dei danni subiti dalla Società Cooperativa a r.l. San Rocco e i relativi soci indicati in epigrafe, per effetto della mancata esecuzione, da parte dell’amministrazione comunale, delle opere indispensabili a consentire l’ingresso e l’uscita delle imbarcazioni dal porto di Amantea periodicamente ostacolati da insabbiamenti naturali: omissione che aveva significativamente danneggiato l’attività degli attori nell’ambito della pesca e delle connesse attività commerciali svolte presso il porto di Amantea;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva individuato la responsabilità dell’amministrazione comunale per il fatto illecito dedotto in giudizio dagli originari attori, essendosi il Comune di Amantea colpevolmente sottratto alla tempestiva esecuzione delle opere funzionali al buon andamento delle attività connesse al porto di Amantea che la legislazione regionale aveva rimesso alla competenza dell’amministrazione municipale;
ciò posto, il giudice d’appello ha provveduto a rivedere l’entità del danno effettivamente subito dagli originari attori limitandolo alla sola differenza tra le ordinarie perdite di esercizio subite negli anni precedenti il periodo dedotto in giudizio, e quelle sofferte nel corso di detto periodo verosimilmente in dipendenza dei mancati interventi dell’amministrazione comunale;
avverso la sentenza d’appello il Comune di Amantea propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo di impugnazione;
la Società Cooperativa a r.l. San Rocco, unitamente ai soci G.A., + ALTRI OMESSI, resistono con controricorso, proponendo, a loro volta, ricorso incidentale sulla base di quattro motivi di impugnazione;
nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede;
il Comune di Amantea ha depositato memoria.
CONSIDERATO
Che:
con l’unico motivo del ricorso principale il Comune di Amantea censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto sussistente un nesso di causalità tra il comportamento omissivo del Comune e il pregiudizio patrimoniale individuato dal giudice d’appello quale conseguenza immediata e diretta dello stesso, avendo il giudice a quo erroneamente ritenuto di poter identificare i danni sofferti dagli originari attori nella mera differenza tra le perdite di esercizio degli anni precedenti al periodo dedotto in giudizio e quelle, di importo maggiore, sofferte nel periodo in esame, senza avvedersi del carattere ipotetico, incerto e meramente possibilistico del criterio così in concreto utilizzato;
il motivo è inammissibile;
osserva al riguardo il Collegio come, con il motivo in esame, l’amministrazione comunale ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalla norma di legge richiamata – si sia sostanzialmente limitata ad allegare un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica del Comune ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica difatti in sé incontroversi, insistendo propriamente il Comune nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo, essendosi il Comune doluto che il giudice d’appello abbia ragionato in modo erroneo sugli elementi di prova acquisiti al giudizio, ossia di aver tratto inferenze non condivisibili dai dati certi costituiti dalla differente entità delle perdite subite dalla cooperativa nei diversi esercizi considerati;
si tratta, attraverso la deduzione di una ritenuta diversa configurazione dei fatti controversi (segnatamente concernenti le conseguenze dannose scaturite dall’illecito attribuito alla responsabilità del Comune ricorrente), di una proposta rilettura nel merito dei fatti di causa, come tale non consentita in sede di legittimità, dovendo ritenersi che il ragionamento probatorio condotto dalla corte d’appello sia stato effettivamente corretto, tanto sul piano logico, quanto sul piano giuridico, siccome fondato su elementi di prova critica effettivamente e adeguatamente rappresentativi di quanto dedotto sul piano presuntivo;
nel caso di specie, pertanto, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierno Comune ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;
ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
con il primo motivo dell’impugnazione incidentale la cooperativa e i soci controricorrenti si dolgono della nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per essersi il giudice d’appello inammissibilmente pronunciato su un bene giuridico diverso da quello posto a oggetto dell’originaria domanda degli attori, avendo questi ultimi agito al fine di sentirsi risarcire della perdita degli stipendi rinunciati in favore della cooperativa, laddove la corte d’appello si è limitata a individuare il danno nelle sole perdite risultanti dai bilanci di esercizio;
con il secondo motivo i ricorrenti incidentali si dolgono della nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 348-bis c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale omesso di rilevare l’inammissibilità dell’appello proposto dal Comune di Amantea, siccome riferito a un bene giuridico diverso da quello dedotto in giudizio, ossia a un danno commisurato su presupposti di fatto del tutto diversi da quelli dedotti in giudizio dagli originari attori, nella specie consistiti nella rinuncia agli stipendi operata dai soci della cooperativa allo scopo di far fronte alle difficoltà economiche della stessa, derivate dalle responsabilità dell’amministrazione comunale;
entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono infondati;
dev’essere in primo luogo rimarcata la totale erroneità della prospettazione avanzata dalla cooperativa e dai soci ricorrenti incidentali nella parte in cui pretende di individuare, nella rinuncia agli stipendi da parte dei soci (quali meri indici dedotti in giudizio al fine di determinare il danno subito), gli asseriti elementi costitutivi della domanda risarcitoria proposta, là dove del tutto correttamente il giudice a quo ne ha identificato gli estremi, dal punto di vista della causa petendi, nella condotta omissiva (illecita) del Comune di Amantea e, dal punto di vista del petitum, nella condanna di detto Comune al risarcimento di tutti i danni conseguiti a tale condotta illecita;
ciò posto, del tutto legittimamente la corte d’appello ha ritenuto di non dover limitare l’indagine condotta sui danni effettivamente subiti dagli originari attori al solo importo corrispondente agli stipendi rinunciati dai soci, ragionevolmente estendendo il proprio esame all’intera contabilità della struttura cooperativa nel corso del tempo, ritenendola, in modo congruo sul piano logico, un estremo rappresentativo più adatto (anche sul piano di una valutazione ispirata a criteri eminentemente equitativi) a fornire elementi di conoscenza attendibili e coerenti rispetto alla determinazione dell’incidenza dannosa del comportamento del Comune di Amantea sulla vicenda economica della cooperativa e dei relativi soci;
l’aver provveduto alla determinazione del danno subito dagli originari attori attraverso tale procedimento, pertanto, non configura alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c. sotto il profilo della mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, né alcuna inammissibilità dell’appello proposto dal Comune di Amantea, siccome riferito a un bene giuridico asseritamente diverso da quello dedotto in giudizio;
con il terzo motivo i ricorrenti incidentali si dolgono della nullità della sentenza impugnata per violazione del giudicato (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere il giudice d’appello omesso di estendere il riconoscimento del giudicato formatosi sull’identità dei soggetti danneggiati, anche alla rinuncia, da parte degli stessi, degli stipendi agli stessi dovuti in favore della cooperativa;
il motivo è inammissibile per carenza di interesse;
al riguardo, è appena il caso di osservare come la circostanza di fatto consistita nella rinuncia, da parte dei danneggiati, degli stipendi agli stessi dovuti al fine di beneficiare la cooperativa, non abbia rappresentato in alcun modo un fatto controverso tra le parti, essendo stata contestata unicamente l’idoneità (legittimamente negata dal giudice a quo) di tale rinuncia a identificare un estremo adeguatamente rappresentativo delle conseguenze dannose sofferte dagli originari attori a seguito del fatto illecito del Comune convenuto;
ne deriva l’assoluta carenza di interesse degli odierni ricorrenti a invocare la rilevata mancata estensione, alla rinuncia in esame, del dedotto giudicato;
con il quarto motivo, i ricorrenti incidentali censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1224 c.c. e dell’art. 429 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di applicare la rivalutazione monetarla sugli importi liquidati a titolo di risarcimento del danno;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come la corte territoriale abbia proceduto alla determinazione del danno subito dagli originari attori – in assenza di alcuna altra indicazione in senso contrario – direttamente nei termini di un valore stimato al momento della liquidazione (anche in ragione dell’ispirazione eminentemente equitativa dell’operazione eseguita), con la conseguenza che l’importo monetario individuato in sentenza deve ritenersi certamente comprensivo dell’eventuale svalutazione che possa essere intercorsa tra il momento del fatto illecito e quello della pronuncia, con l’ulteriore corretta attribuzione, al ruolo proprio degli interessi moratori (sulla somma liquidata a titolo risarcitorio), della funzione di compensare i creditori per l’eventuale ritardata corresponsione del risarcimento dovuto;
e’ appena il caso di richiamare, al riguardo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale la liquidazione del danno da illecito extracontrattuale trasforma l’obbligazione risarcitoria da obbligazione di valore in obbligazione di valuta, con la conseguenza che la rivalutazione monetaria non può essere disposta con la sentenza sino al saldo, atteso che, in relazione all’eventuale ritardo nella esecuzione del giudicato, valgono i criteri previsti dalla legge per il debito di valuta (Sez. 3, Sentenza n. 24896 del 25/11/2005, Rv. 585725 – 01);
sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la complessiva infondatezza di tutte le censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto di entrambi i ricorsi;
la reciprocità della soccombenza vale a giustificare l’integrale compensazione tra entrambe le parti delle spese del presente giudizio di legittimità;
dev’essere viceversa attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale e quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale.
Dispone l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021
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