Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.20963 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina M – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso iscritto al numero 13128 del ruolo generale dell’anno 2016, proposto da:

Agenzia delle dogane, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.A., rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine al controricorso, daH’Avv.to Mario Porzio, dall’avv.to Laura Bove e dall’avv.to Alberto Serino, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv.to Romano Pomarici, in Roma, Via Crescenzio n. 103;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 2052/32/2016, depositata in data 4 marzo 2016, notificata il 24 marzo 2016;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14 aprile 2021 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.

Lette le conclusioni scritte del P.G., in persona del sostituto procuratore generale Dott. de Augustinis U., il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2052/32/2016, depositata in data 4 marzo 2016, notificata il 24 marzo 2016, la Commissione tributaria regionale della Campania respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli nei confronti di S.A. avverso la sentenza n. 27785/23/14 della Commissione tributaria provinciale di Napoli (hinc CTP), che aveva accolto il ricorso del contribuente avverso l’atto di contestazione n. ***** con il quale l’Agenzia delle dogane – Ufficio di Napoli ***** aveva irrogato a quest’ultimo, nella qualità di spedizioniere doganale con rappresentanza diretta -in solido con la ditta importatrice “F8Pronto Moda di So.Zh. – sanzioni amministrative nell’importo di Euro 16.759,01, per errata indicazione del valore della merce importata dalla Cina (valore dichiarato 25.735,26 USD, valore accertato 101.450,90 USD) di cui alla bolletta di importazione IMA n. ***** del 3 maggio 2010, a firma dello spedizioniere.

2. In punto di diritto, la CTR ha osservato che: 1) in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, richiede la consapevolezza del contribuente in ordine al comportamento sanzionato; 2) avuto riguardo al sistema normativo di settore (artt. 201-205, 213 CDC e della L. n. 231 del 2000, art. 2), lo spedizioniere – che è tenuto ad un generale dovere di vigilanza, verificando, nel sottoscrivere la dichiarazione doganale per conto di un altro soggetto, anche in base alle norme di esperienza professionale, i dati contenuti nella bolletta doganale e la corrispondenza degli stessi con le fatture in suo possesso e la documentazione relativa alla merce spedita – può essere legittimamente sanzionato per avere effettuato una dichiarazione difforme dalla reale qualità e quantità della merce, essendo tale condotta riferibile alla sua cosciente volontà, a meno che provi che a difformità sia dovuta ad errore a lui non imputabile; 3) nella specie, lo spedizioniere doganale che non aveva la disponibilità né della fattura di acquisto – recante per la stessa merce un importo superiore rispetto a quello indicato nella fattura presentata alla Dogana all’atto dell’importazione – rinvenuta dalla polizia giudiziaria a seguito di attività ispettiva – né della polizza assicurativa di carico – che indicava come consegnatario della merce un soggetto diverso dall’importatore-non poteva rendersi conto, per la qualità dei documenti in suo possesso, dell’erroneità della dichiarazione che stava compilando; 4) pertanto, la sanzione irrogata si fondava esclusivamente su criteri di imputazione oggettiva della responsabilità, non avendo l’Agenzia evidenziato elementi concreti dai quali desumere la rimproverabilità – anche a titolo di colpa generica – della condotta tenuta; 5) in particolare, lo spedizioniere – che non aveva la disponibilità della fattura di acquisto e della polizza assicurativa di carico- non aveva elementi per avvedersi del reale valore della merce dichiarata in dogana, ciò in quanto la discrasia tra il nominativo dell’importatore e quello del destinatario della merce costituiva un dato neutro sotto il profilo indiziario e solo il rinvenimento della fattura di acquisto presso i locali del destinatario aveva consentito di evidenziare la sottofatturazione contestata.

3. Avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle dogane ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, avverso cui resiste, con controricorso il contribuente.

4. Il controricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis.1 c.p.c..

5. La causa fissata originariamente in Camera di consiglio, all’udienza del 12 novembre 2019, con ordinanza, veniva rinviata a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, come convertito, con mod., dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Deve essere, in via preliminare, esaminata la questione degli effetti derivanti dalla circostanza che le conclusioni del Procuratore generale sono state formulate e spedite alla cancelleria della Corte in data 31 marzo 2021, dunque tardivamente (di un giorno) rispetto al termine prescritto dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 176 del 2020), che lo individua nel “quindicesimo giorno precedente l’udienza” (nella specie corrispondente al 30 marzo), prevedendo poi – in conformità alla regola generale – che i difensori delle parti possono depositare memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c., “entro il quinto giorno antecedente l’udienza”.

Il Collegio ritiene che la tardività sia fonte di nullità processuale di carattere relativo, la quale, pertanto, resta sanata a seguito dell’acquiescenza delle parti ai sensi dell’art. 157 c.p.c..

Premesso, infatti, che l’intervento del Procuratore generale nelle udienze pubbliche dinanzi alle Sezioni unite civili e alle sezioni semplici della Corte di cassazione è obbligatorio – a pena di nullità assoluta rilevabile d’ufficio (art. 70 c.p.c. e art. 76 ord. giud.) – in ragione del ruolo svolto dal Procuratore generale a tutela dell’interesse pubblico, la tempestività dell’intervento, in relazione al disposto del citato D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, opera invece esclusivamente a tutela del diritto di difesa delle parti, con la conseguenza che deve ritenersi rimessa a queste ultime la facoltà – e l’onere – di eccepirne la tardività, in base alla disciplina prevista per le nullità relative.

2.L’eccezione di giudicato esterno, con riferimento alla sentenza irrevocabile n. 2062/32/16 (depositata in allegato alla memoria illustrativa 380-bis 1 c.p.c., e munita di attestazione di passaggio in giudicato) della Commissione tributaria provinciale della Campania di annullamento di altro atto di irrogazione di sanzioni (n. *****) scaturente dal medesimo episodio posto a fondamento della sentenza impugnata in relazione ad altra bolletta doganale (*****), è priva di pregio perché la richiamata decisione, come emerge dall’esame delle stessa (necessario ed ammissibile in relazione alla natura dell’eccezione), ha trattato la medesima questione giuridica, ossia l’interpretazione dell’art. 201 CDC, ma non ha avuto ad oggetto il “medesimo rapporto giuridico”; occorre considerare, del resto, che la presente vicenda trae origine da uno specifico accertamento in relazione ad altra bolletta doganale e, dunque, il rapporto giuridico in considerazione non ha neppure il carattere “di esecuzione prolungata”, né si riferisce a fatti ad “efficacia permanente o pluriannuale”, ma si traduce in un evento unitario e definito, ancorato a specifici ed autonomi fatti, essendo irrilevante la loro sussunzione nella medesima disciplina normativa.

3. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del Reg. CEE 12 ottobre 1992, n. 2913, artt. 201-205 (Codice doganale comunitario – CDC), per avere la CTR ritenuto non responsabile dell’obbligazione doganale lo spedizioniere, ancorché il legislatore comunitario avesse esteso la nozione di “debitore doganale” a quei soggetti come gli spedizionieri doganali che nelle operazioni di importazione sono coinvolti nella presentazione della dichiarazione in dogana e in quanto tali sono tenuti a conoscerne il contenuto e a controllare l’esattezza e la veridicità dei relativi dati.

4. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 213 del 2000, artt. 2 e 8, per avere la CTR escluso la responsabilità dello spedizioniere, ancorché,in base alla detta normativa, art. 2, su quest’ultimo gravino le responsabilità, connesse alle asseverazioni, afferenti alla veridicità, completezza e regolarità dei dati relativi alle operazioni compiute nonché alla idoneità e validità dei documenti allegati con conseguente obbligo di pagamento in solido del tributo doganale nel caso di conoscenza o conoscibilità della loro erroneità; presupposti che, ad avviso dell’Ufficio, nella specie ricorrevano, non avendo lo spedizioniere – a fronte della emersa mancata corrispondenza tra il destinatario (F8Pronto Moda) della dichiarazione doganale e il consegnatario (Otis s.p.a.) di cui alla polizza di carico – esercitato al meglio lo sforzo di diligenza inerente al suo ruolo richiedendo ulteriori chiarimenti all’importatore in merito ai rapporti intercorrenti con il consegnatario.

5. Con il terzo motivo l’Agenzia denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, artt. 10-11, evidenziandosi che la responsabilità dello spedizioniere deriva direttamente anche dalla generale disciplina dettata in materia di sanzioni amministrative.

6. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, per avere la CTR escluso la responsabilità dello spedizioniere in quanto l’Agenzia non aveva “evidenziato elementi concreti dai quali desumere la rimproverabilità (anche a titolo di colpa generica) della condotta tenutà’, ancorché ai fini dell’applicazione delle sanzioni tributarie sia sufficiente la coscienza e volontà senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa.

7. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, qual era la discrasia tra l’indicazione di F8 Pronto Moda, quale importatore e proprietario della merce nella dichiarazione doganale, e quella di OTS s.p.a. quale consegnatario nella polizza di carico, avendo peraltro, sul punto, il giudice di appello ritenuto erroneamente che lo spedizioniere non avesse la disponibilità della polizza di carico (denominata indebitamente “polizza assicurativa di carico”) ancorché trattavasi di titolo rappresentativo della merce da consegnare, la cui presentazione era necessaria in dogana e del quale lo spedizioniere doganale doveva essere necessariamente in possesso; il che avrebbe dovuto indurre la CTR a rilevare il comportamento negligente dello spedizioniere che, nel non controllare tale mancata corrispondenza di nominativi, aveva agevolato l’utilizzo da parte della reale destinataria della merce (OTIS s.p.a) di una società di comodo (F8 Pronto Moda) per l’importazione di merce cinese dietro dichiarazione in dogana di un valore notevolmente inferiore a quello di transazione.

8. I motivi dal primo al quarto – da esaminare congiuntamente per connessione – sono complessivamente infondati per le ragioni che seguono.

8.1. Ai sensi dell’art. 5 CDC, p. 2, (applicabile ratione temporis) e dell’art. 40 TULD, comma 1, la dichiarazione doganale può essere fatta personalmente dall’importatore ovvero a mezzo di un rappresentante diretto o indiretto. La rappresentanza è diretta quando il rappresentante agisce a nome e per conto di terzi, indiretta, quando il rappresentante agisce a nome proprio ma per conto di terzi. Mentre la rappresentanza indiretta è libera, la rappresentanza diretta implica l’iscrizione in un apposito albo professionale istituito con la L. 22 dicembre 1960, n. 1612, ed il puntuale rispetto della disciplina prevista dalla legge medesima e dalla successiva L. n. 213 del 2000.

8.1.1. Dal combinato disposto dell’art. 201 CDC, p. 3, e 4, punto 18, e in correlazione con l’immissione di merci in libera pratica per effetto della sequenza procedimentale prevista dall’art. 38 CDC ss. (trasporto delle stesse presso gli uffici doganali o zone franche e presentazione in dogana), l’obbligazione doganale sorge con la dichiarazione, quale effetto della indicazione di un determinato regime doganale in essa contenuto, e si lega soggettivamente all’autore della dichiarazione, indipendentemente dal rapporto che il dichiarante abbia con la merce (cfr. Cass. n. 5560 del 26/02/2019).

8.1.2. Ne consegue che la responsabilità, oltre a sorgere in capo all’importatore, involge anche il rappresentante indiretto di quest’ultimo, il quale risponde in quanto dichiarante, laddove il rappresentante diretto rimane, normalmente, estraneo alla fattispecie impositiva (posto che dichiarante in questo caso è il rappresentato), a conferma che l’obbligazione doganale è legata ai ruolo di dichiarante, ovvero di autore della dichiarazione doganale (così Cass. n. 5560 del 2019, cit.; cfr. Cass. n, 9773 del 23/04/2010; Cass. n. 7720 del 27/03/2013; Cass. n. 9270 del 17/04/2013; Cass. n. 6129 del 01/03/2019).

8.1.3. La centralità della figura del dichiarante è confermata anche dal Reg. (CEE) n. 2913 del 1992, art. 5, comma 4, secondo cui “la persona che non dichiari di agire a nome o per conto di un terzo o che dichiari di agire a nome o per conto di un terzo senza disporre del potere di rappresentanza è considerata agire a suo nome e per proprio conto”. Conseguentemente, la mancanza di prova dei poteri di rappresentanza, la mancata risposta a una contestazione da parte dell’Ufficio o l’assenza di dichiarazione comporta la presunzione che il dichiarante abbia agito quale rappresentante indiretto e, come tale, quale dichiarante.

8.1.4. Peraltro, una responsabilità del rappresentante diretto dell’importatore può sorgere, ai sensi dell’art. 201 CDC, p. 3, seconda proposizione, solo nei limiti in cui egli abbia fornito i dati necessari alla stesura della dichiarazione pur essendo o dovendo ragionevolmente essere a conoscenza della erroneità dei dati medesimi. In tale ipotesi, nella visione sostanzialistica che ispira il Codice doganale comunitario e, in generale, tutto il diritto della UE, avendo fornito i dati necessari alla stesura della dichiarazione doganale, il rappresentante diretto partecipa in qualche modo della dichiarazione dell’importatore e, quindi, può essere considerato debitore, “in conformità delle vigenti disposizioni nazionali”.

8.2. Diversa e’, invece, l’ipotesi in cui l’obbligazione doganale sorga per effetto della inosservanza della normativa doganale, ossia in caso di introduzione irregolare (art. 202 CDC), di sottrazione al controllo doganale (art. 203 CDC), e delle altre ipotesi previste dal Codice doganale (artt. 204 e 205 CDC). In questo caso, l’obbligazione doganale emerge non per effetto della presentazione di una dichiarazione, poi rivelatasi erronea, ma a causa del verificarsi di alcuni fatti (introduzione di merci senza dichiarazione doganale, dichiarazione riguardante merci del tutto diverse da quelle effettivamente importate, sottrazione al controllo doganale, inosservanza di obblighi previsti dalla normativa doganale per i regimi speciali, ecc.), che inducono una presunzione legale di immissione al consumo delle merci medesime.

8.2.1. In dette ipotesi, l’obbligazione doganale è legata ai verificarsi di un fatto, configurandosi una importazione di merci che prescinda dalla esistenza di una valida dichiarazione doganale. Invero, l’introduzione della merce non ha rispettato le fasi contemplate dall’art. 38 CDC, n. 1, e art. 40 CDC (Cass. n. 5159 del 01/03/2013), ossia conduzione/trasporto all’ufficio doganale e presentazione in dogana (cfr. CGUE 25 gennaio 2017, causa C-679/15, UltraBrag AG, punto 20; Cass. n. 5560 del 2019, cit.; Cass. n. 15777 del 23/06/2017; Cass. n. 10033 del 20/04/2017; Cass. n. 8240 del 30/03/2017).

8.2.2. Più in particolare – e con specifico riferimento a situazioni che maggiormente possono coinvolgere lo spedizioniere – sono debitori:

a) ai sensi dell’art. 202 CDC, p. 3, la persona che ha proceduto alla introduzione irregolare (cioè, quella che normalmente avrebbe dovuto svolgere le operazioni di sdoganamento e adempiere gli obblighi del dichiarante in dogana), nonché le persone che hanno partecipato a detta introduzione sapendo o dovendo, secondo ragione, sapere che essa era irregolare e le persone che hanno acquisito o detenuto la merce considerata e sapevano o avrebbero dovuto, secondo ragione, sapere – allorquando l’hanno acquisita o ricevuta – che si trattava di merce introdotta irregolarmente (cioè le persone che, sebbene non siano tenute a procedere alle operazioni di sdoganamento in forza delle disposizioni del CDC, sono state nondimeno coinvolte nell’introduzione irregolare, sia prima, sia immediatamente dopo la stessa: cfr. CGUE 25 gennaio 2017, u/t. cit., punti 21 e 22; Cass. n. 9433 del 12/04/2017; Cass. n. 5159 del 2013, cit.);

b) ai sensi dell’art. 203 CDC, la persona che ha provveduto alla sottrazione della merce presentata in dogana. In tale ipotesi, “costituisce sottrazione di una merce al controllo doganale (..) qualsiasi ritiro, non autorizzato dall’autorità doganale competente, di una merce sottoposta alla vigilanza doganale dal luogo di custodia autorizzato, a prescindere dall’intenzionalità dello stesso” (così Cass. n. 29535 del 16/11/2018, che richiama CGUE 18 maggio 2017, causa C-154/16, Latvij as Dzelzcelp. VAS, punto 42, e CGUE 11 luglio 2013, causa C- 273/12, Harry Winston, punti 30 e 33).

8.3. Venendo al diritto interno, va subito evidenziato che la L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 28, ha definitivamente abrogato, a far data dal 15/05/1998, l’art. 41 TULD (che prevedeva, al comma 2, la responsabilità sussidiaria dello spedizioniere a seguito di rettifica dell’accertamento), già ritenuto incompatibile con il CDC fin dalle operazioni effettuate in epoca successiva a 01/01/1989 (Cass. n. 9777 del 18/06/2003; Cass. n. 14312 del 26/09/2003; Cass. n. 3623 del 20/02/2006).

8.3.1. Residua, con riferimento al rappresentante diretto dell’importatore, la L. n. 213 del 2000, art. 2, comma 6, per il quale “in ordine alla regolarità, veridicità e completezza dei dati, nonché alla idoneità e validità dei documenti allegati, gli spedizionieri doganali e gli altri soggetti di cui al comma 2, se erano o avrebbero dovuto ragionevolmente essere a conoscenza della loro erroneità, rispondono solidalmente del pagamento del tributo”.

8.3.2. Tale disposizione non può che essere inserita ed interpretata nel quadro del diritto unionale applicabile ratione temporis. Ne consegue che lo spedizioniere rappresentante diretto dell’importatore è responsabile, in solido con quest’ultimo, dei dazi non corrisposti:

a) in caso di regolare dichiarazione doganale, unicamente nell’ipotesi prevista dall’art. 201 CDC, p. 3, seconda proposizione, e, cioè, quando lo stesso spedizioniere abbia fornito i dati o i documenti necessari alla stesura della menzionata dichiarazione e sia consapevole, o avrebbe dovuto esserlo, della erroneità di quei dati o dell’invalidità di quei documenti;

b) in caso di assenza della dichiarazione doganale (ovvero di importazione di merce diversa da quella dichiarata, ipotesi equiparabile all’assenza di dichiarazione), ove abbia introdotto la merce irregolarmente (o collaborato alla sua introduzione) ovvero sottratto la stessa al controllo doganale (ovvero collaborato alla sua sottrazione) essendo a conoscenza (o dovendolo essere) della sua introduzione irregolare o della sua sottrazione al controllo doganale, secondo quanto previsto dagli artt. 202 e 203 CDC.

8.3.3. In particolare, con riferimento alla ipotesi sub a) di cui al paragrafo che precede, va evidenziato che la violazione, da parte del rappresentante diretto, dell’obbligo, previsto dalla L. n. 213 del 2000, art. 2, comma 6, di controllare la regolarità, veridicità e completezza dei dati, nonché l’idoneità e la validità dei documenti allegati alla dichiarazione, si traduce in una responsabilità solidale al pagamento del tributo, per violazione degli obblighi professionali gravanti sullo spedizioniere, solo nel caso in cui la dichiarazione doganale si sia rivelata erronea (e, pertanto, oggetto di rettifica) in ragione della invalidità, irregolarità, inidoneità o incompletezza dei dati e dei documenti forniti dallo stesso spedizioniere e in base ai quali è stata redatta la dichiarazione. Non può, invece, configurarsi alcuna responsabilità solidale del rappresentante diretto che si sia limitato a depositare una dichiarazione utilizzando i dati e allegando i documenti forniti dall’importatore. La prova della responsabilità solidale dello spedizioniere rappresentante diretto dell’importatore e’, ovviamente, a carico dell’Amministrazione doganale e può essere fornita anche a mezzo di elementi presuntivi, secondo la generale previsione dell’art. 2729 c.c..

In materia questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto, cui si intende dare seguito: “In tema di diritti di confine e in caso di dichiarazione della merce regolarmente presentata presso gli uffici doganali ai sensi dell’art. 201 CDC, lo spedizioniere che opera come rappresentante diretto dell’importatore, non è obbligato, in solido con quest’ultimo, al pagamento dei dazi doganali dovuti a seguito della rettifica dell’accertamento, laddove si sia limitato a depositare la dichiarazione predisposta dall’importatore, allegando i documenti da quest’ultimo consegnatigli. Si configura, tuttavia, la responsabilità solidale anche del rappresentante diretto, per violazione degli obblighi professionali su di lui gravanti, qualora l’Amministrazione doganale dimostri che egli stesso abbia fornito dati dei quali conosceva o avrebbe dovuto conoscere l’irregolarità, l’incompletezza e la non veridicità ovvero abbia allegato documenti dei quali conosceva o avrebbe dovuto conoscere l’inidoneità o l’invalidità, dati e documenti necessari alla redazione della dichiarazione poi rettificata.” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7258 del 16/03/2020). Pertanto, ai fini della configurabilità della responsabilità solidale dello spedizioniere – rappresentante diretto, in caso di regolare – anche se inesatta – dichiarazione in dogana- ai sensi del combinato disposto della L. n. 213 del 2000, art. 2, comma 6, e art. 20 CDC 1, par. 3, seconda proposizione, ricade a carico dell’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche a mezzo elementi presuntivi – in base ad elementi oggettivi e specifici – sia la condotta attiva dello spedizioniere – rappresentante diretto concretantesi nella fornitura da parte di quest’ultimo di dati e di documenti irregolari, non veridici o incompleti sui quali sia stata redatta la dichiarazione medesima che l’elemento soggettivo della conoscenza o ragionevole conoscibilità da parte dello spedizioniere – usando la diligenza in ragione dell’incarico professionale ricoperto – della loro erroneità, falsità, incompletezza. Ne consegue che, una volta che l’Amministrazione abbia assolto a detto onere istruttorio, graverà sullo spedizioniere- rappresentante diretto la prova contraria di avere adoperato la diligenza massima in ragione dell’attività professionale svolta ex art. 1176 c.c., comma 2, in rapporto alle circostanze del caso concreto.

8.4. Nella sentenza impugnata, la CTR si è attenuta al suddetto principio, avendo ritenuto che l’Amministrazione non avesse provato, in base ad elementi concreti ed oggettivi; la conoscenza o ragionevole conoscibilità da parte dello spedizioniere -rappresentante diretto della inesattezza dei dati forniti nella stesura della dichiarazione doganale e che, peraltro, proprio alla luce degli elementi concreti e specifici emersi nel caso di specie – quanto alla rilevata (con un accertamento di merito non sindacabile in sede di legittimità) mancata disponibilità da parte dello spedizioniere sia della polizza di carico (dalla quale risultava come consegnatario della merce un nominativo diverso dall’importatore) che della fattura di acquisto (dalla quale risultava per la medesima merce un importo superiore a quello indicato nella fattura presentata in dogana), rinvenuta solo a seguito di attività ispettiva della polizia giudiziaria e di conseguente revisione dell’accertamento – il medesimo non avesse elementi per avvedersi del reale valore della merce dichiarata e, dunque, della erroneità della sottoscritta dichiarazione doganale, costituendo, peraltro, la discrasia tra il nominativo dell’importatore e il nominativo del destinatario della merce “un dato neutro” sotto il profilo indiziario della contestata sottofatturazione.

9. Inammissibile si profila poi la censura – posta con il quinto motivo-relativa all’assunto omesso esame di un fatto decisivo e controverso qual era la discrasia tra il nominativo del consegnatario della polizza di carico e quello dell’importatore; ciò in quanto va ribadito che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 4 marzo 2016) concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015). Nella specie, il ricorrente non ha assolto il suddetto onere, essendo stato, peraltro, dedotto l’omesso esame non già di un “fatto storico”, ma bensì di profili attinenti alle risultanze probatorie specificamente considerate dal giudice di appello, la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte.

10. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.

11. In considerazione del consolidamento della giurisprudenza di legittimità successivamente alla proposizione del ricorso, si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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