Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.20964 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina M – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso iscritto a; numero 23709 del ruolo generale dell’anno 2016, proposto da:

V.N., rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine al ricorso, dall’avv.to Giorgio Sagliocco, domiciliato presso la cancelleria della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 2497/33/16, depositata in data 15 marzo 2016, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio della pubblica udienza del 14 aprile 2021 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.

Lette le conclusioni scritte del P.G., in persona del sostituto procuratore generale Dott. de Augustinis U., il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2497/33/16, depositata in data 15 marzo 2016, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di V.N. avverso la sentenza n. 20429/15/2014, della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva accolto il ricorso proposto dal suddetto contribuente avverso l’avviso di accertamento n. ***** con il quale – previa verifica fiscale disposta nei confronti della ditta individuale “Novi Legno” – l’Ufficio aveva contestato nei confronti di quest’ultimo, titolare della omonima ditta individuale, l’indebita deduzione di costi, ai fini Irpef e Irap e detrazione di Iva, per l’anno 2007, in relazione a fatture emesse dalla predetta “Novi Legno” riferite a forniture di merci ritenute inesistenti.

2. La CTR, in punto di diritto, ha osservato che: 1) era infondata l’eccezione di decadenza dal potere impositivo per inoperatività del c.d. raddoppio dei termini, in quanto – essendo quest’ultimo ancorato non alla sussistenza o meno dell’illecito penale ma alla sussistenza di un obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria – lo stesso non veniva meno in presenza di un reato che apparisse prescritto, dovendo l’estinzione del reato per prescrizione essere dichiarata dal giudice; in particolare, il raddoppio dei termini per l’accertamento operava automaticamente qualora tale obbligo sussistesse, a prescindere dalla avvenuta proposizione della denuncia medesima e dalle vicende del relativo procedimento penale; 2) premesso che l’obbligo di allegazione all’avviso degli atti in esso richiamati doveva valere solo per quelli necessari ad integrare la motivazione stessa qualora di per sé non sufficiente, dall’atto impositivo in questione emergevano chiaramente gli elementi che avevano portato alla sua emissione; 3) dalla verifica fiscale era emerso il carattere di cartiera della ditta fatturante “Novi Legno” in quanto priva di organizzazione imprenditoriale e, quindi, la fittizietà delle operazioni in questione, mentre il contribuente non aveva assolto l’onere a contrario di provare la mancata consapevolezza della falsità delle operazioni, essendosi limitato a fornire mezzi di pagamento delle fatture.

3. Avverso la sentenza della CTR, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi cui ha resistito, con controricorso, l’Agenzia delle entrate.

4. La causa fissata originariamente in Camera di consiglio, all’udienza del 10 febbraio 2021, con ordinanza, veniva rinviata a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza involgendo l’interpretazione della sentenza della Corte di giustizia del 16 ottobre 2019, causa C-189/18, Glencore Agriculture Hungary Kft. contro Nemzeti Ado- e’s Vamhivatal Fellebbviteli Igazgatós4a; il ricorso è stato fissato per la trattazione in pubblica udienza ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, come convertito, con mod., dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Deve essere, in via preliminare, esaminata la questione degli effetti derivanti dalla circostanza che le conclusioni del Procuratore generale sono state formulate e spedite alla cancelleria della Corte in data 31 marzo 2021, dunque tardivamente (di un giorno) rispetto al termine prescritto dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 176 del 2020), che lo individua nel “quindicesimo giorno precedente l’udienza” (nella specie corrispondente al 30 marzo), prevedendo poi – in conformità alla regola generale – che i difensori delle parti possono depositare memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c., “entro il quinto giorno antecedente l’udienza”.

Il Collegio ritiene che la tardività sia fonte di nullità processuale di carattere relativo, la quale, pertanto, resta sanata a seguito dell’acquiescenza delle parti ai sensi dell’art. 157 c.p.c..

Premesso, infatti, che l’intervento del Procuratore generale nelle udienze pubbliche dinanzi alle Sezioni unite civili e alle sezioni semplici della Corte di cassazione è obbligatorio – a pena di nullità assoluta rilevabile d’ufficio (art. 70 c.p.c. e art. 76 ord. giud.) – in ragione del ruolo svolto dal Procuratore generale a tutela dell’interesse pubblico, la tempestività dell’intervento, in relazione al disposto del citato D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, opera invece esclusivamente a tutela del diritto di difesa delle parti, con la conseguenza che deve ritenersi rimessa a queste ultime la facoltà – e l’onere – di eccepirne la tardività, in base alla disciplina prevista per le nullità relative.

2. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., e, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, per avere la CTR escluso la tardività dell’avviso, ritenendo non venire meno il raddoppio dei termini normali di decadenza in presenza di un reato che apparisse prescritto, senza valutare – a fronte della contestazione dell’Ufficio fondata sulla condotta penalmente rilevante del soggetto fatturante – la configurabilità, in base ad un giudizio di c.d. prognosi postuma, di fatti di reato a carico del titolare della ditta individuale Novi Legno – in relazione ai quali potesse insorgere l’obbligo di denuncia penale anziché limitarsi a considerare la supposta prescrizione del reato in capo al contribuente.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte Cost. nella sentenza n. 247 del 2011, sicché, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario (Cass. Sez. 5, Ord. n. 13481 del 02/07/2020; Sez. 6 – 5, Ord. n. 17586 del 28/06/2019); in particolare, in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, per l’IRPEF e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, per l’IVA consegue, nell’assetto anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015, alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 22337 del 13/09/2018). In riferimento, poi, alla specifica questione relativa all’eventuale prescrizione del reato, questa Corte ne ha affermato l’irrilevanza statuendo che, ai fini del solo raddoppio dei termini per l’esercizio dell’azione accertatrice, rileva l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato e l’intervenuta prescrizione del reato non è di per se stessa d’impedimento all’applicazione del termine raddoppiato per l’accertamento, proprio perché non rileva né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, atteso anche il regime di “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (Cass. n. 20043/2015).

Nella sentenza impugnata, la CTR si è attenuta ai suddetti principi, avendo disatteso l’eccezione di decadenza ritenendo operante il raddoppio dei termini nel caso di sussistenza – come accertato in punto di fatto con una valutazione insindacabile in sede di legittimità – di un obbligo di denuncia di un illecito penale a prescindere dall’avvenuta proposizione della stessa e dalle vicende del relativo procedimento penale, inclusa a possibile declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia: 1) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciare sull’eccezione proposta dal contribuente nei gradi di merito di nullità dell’avviso di accertamento per violazione del contraddittorio endoprocedimentale, non essendo stato garantito il rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica – che, nella specie, avevano riguardato altro soggetto (la ditta fatturante “Novi Legno”) nei cui confronti era stato elevato il p.v.c. – prima della emissione dell’atto; 2) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, sotto il medesimo profilo sopra evidenziato.

3.1. Il motivo – che involge due sub censure- si profila infondato, per le seguenti ragioni. In particolare, con riguardo alla prima sub censura di omessa pronuncia – in ordine alla quale il contribuente ha assolto, in ossequio al principio di autosufficienza, all’onere di riportare in ricorso (pagg. 8-9) il motivo di impugnazione in primo grado – riproposto nell’atto di controdeduzioni in secondo grado (alleg. 8 al ricorso) – relativo alla denunciata nullità dell’avviso di accertamento per violazione del contraddittorio endoprocedimentale, va ribadito che “nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto” (ex multis, Sez. 5, n. 21968 del 28/10/2015).

3.2. Occorre premettere, invero, che, nella vicenda in giudizio, l’accertamento nei confronti del contribuente non è stato preceduto da alcuna attività di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio della sua attività di impresa, essendo stato il p.v.c. elevato nei confronti di un soggetto terzo (ditta “Novi Legno”).

3.4. Ne deriva, quanto alle imposte dirette, l’infondatezza della denunciata violazione trattandosi di ambito in cui non è previsto un obbligo generalizzato di preventivo contraddittorio, ossia al di fuori dalle ipotesi specificamente previste, ed essendo, nella specie, mancato qualsiasi accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività del contribuente, quale presupposto per applicabilità della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

3.5. Parimenti infondata è la doglianza quanto all’Iva.

3.6. E’ ben vero, infatti, che, con riguardo ai tributi armonizzati, in particolare, nella vicenda in giudizio, all’Iva, l’obbligo del contraddittorio preventivo discende direttamente dalla disciplina unionale, alla luce dell’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia, sicché l’Amministrazione, ove adotti provvedimenti destinati ad incidere sulle posizioni soggettive dei destinatari, è tenuta a mettere costoro in condizione di esporre utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi posti a fondamento dell’atto medesimo (già Corte di Giustizia, sentenza 18 dicembre 2008, in C-349/07, Soprope’, punto 37; ex multis sentenza 22 ottobre 2013, in C-276/12, Sabou, punto 38; sentenza 17 dicembre 2015, in C-419/14, WebMindLicenses, punto 84).

La giurisprudenza unionale, peraltro, ha chiarito che qualora l’Amministrazione non sia stata rispettosa dell’obbligo di contraddittorio, la violazione – in assenza di una norma specifica che ne definisca in termini puntuali le conseguenze (come pure precisato, per il nostro ordinamento, da Cass. n. 701 del 15/01/2019) – comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (cd. prova di resistenza), ossia se, in mancanza del suddetto vizio, il procedimento si sarebbe potuto concludere in maniera diversa (Corte di Giustizia, sentenze 1 ottobre 2009, Foshan Shunde Yongjian Housewares & Hardware, in C-141/08, punto 94; 10 settembre 2013, M.G. e N.R., in C-383/13, punto 38; 26 settembre 2013, Texdata Software, in C418/11, punto 84; 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics, in C-129/13 e C-130/13, punti 79 e 79).

Il parametro di riferimento a tal fine e’, dunque, costituito dal principio di effettività – per il quale le modalità procedurali interne “non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione” che, tuttavia, come anche recentemente ribadito dalla Corte di Giustizia, “non esige che una decisione contestata, in quanto adottata in violazione dei diritti della difesa, sia annullata in tutti i casi. Infatti, una violazione dei diritti della difesa determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso” (sentenza 4 giugno 2020, SC C.F. SRL, in C-430/19, punti 35 e 37). Non ha invece incidenza, quantomeno nel nostro ordinamento, il principio di equivalenza attesa l’inesistenza di regole procedurali specificamente dettate per l’imposizione in materia di Iva.

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 24823 del 09/12/2015, hanno poi utilmente precisato che il requisito in questione va inteso “nel senso che l’effetto della nullità dell’accertamento si verifichi allorché, in sede giudiziale, risulti che il contraddittorio procedimentale, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali” ossia che “non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, ma e’, altresì, necessario che esso assolva l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato…, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali l’ordinamento lo ha predisposto” (recentemente v. anche Cass. n. 20036 del 27/07/2018; Cass. n. 218 del 08/01/2019).

3.7. Ciò vale, invero, anche nell’ipotesi in cui la lesione si sia realizzata rispetto ad accertamenti compiuti nei confronti di terzi per non essere stato il contribuente ascoltato riguardo ad essi.

Va sottolineato, sul punto, che le modalità di realizzazione del contraddittorio non sono a forma vincolata, essendo sufficiente (e necessario) che si realizzi in modo effettivo quali siano gli strumenti in concreto adottati, siano essi il ricorso a procedure partecipative o l’impiego di altri meccanismi finalizzati all’interlocuzione preventiva, come, ad esempio, l’inoltro di questionari, il riconoscimento dell’accesso agli atti ovvero l’espletamento di altre attività che risultino funzionali a detto obbiettivo.

Le forme in concreto adottate – in assenza, come su osservato, di una disciplina che ne declini in modo specifico le conseguenze per l’inosservanza – assolvono ad una funzione solo strumentale rispetto all’obbiettivo di assicurare il contraddittorio, sicché esse, quale sia lo specifico ambito sostanziale su cui è lamentata l’intervenuta lesione del diritto di difesa, sono tutte ancorate al principio di effettività e, quindi, alla cd. prova di resistenza.

Significativa sul punto è la giurisprudenza della Corte di Giustizia con riguardo all’esercizio del diritto di accesso, che, con riguardo ai procedimenti tributari, è consentito nel nostro ordinamento nei limiti e alle condizioni previste dalla L. n. 241 del 1990, art. 24, comma 1, lett. b) e comma 2, ferma la generale previsione di cui al successivo comma 7, secondo il quale “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.

Sulla questione la Corte di Giustizia ha rilevato che “Benché le autorità tributarie nazionali non siano soggette ad un obbligo generale di fornire un accesso integrale al fascicolo di cui dispongono né di comunicare d’ufficio i documenti e le informazioni a sostegno della decisione prevista, ciò non toglie che, nei procedimenti amministrativi relativi alla verifica e alla determinazione della base imponibile dell’IVA, un soggetto dell’ordinamento deve avere la possibilità di ricevere in comunicazione, su sua richiesta, le informazioni e i documenti contenuti nel fascicolo amministrativo e presi in considerazione dalla pubblica autorità al fine di adottare la sua decisione, a meno che non vi siano obiettivi di interesse generale che giustifichino la restrizione dell’accesso a dette informazioni e a detti documenti” (v. sentenza 4 giugno 2020, SC C.F. SRL, in C-430/19, punto 31; in precedenza v. già sentenza del 9 novembre 2017, Ispas, C-298/16, punti 32 e 39).

Ha, tuttavia, posto in risalto che una eventuale violazione non è idonea, di per sé sola, a determinare l’ineludibile annullamento della decisione adottata poiché “il principio di effettività… non esige che una decisione contestata, in quanto adottata in violazione dei diritti della difesa, sia annullata in tutti i casi” potendo ciò derivare “soltanto se, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso” (sentenza SC C.F. SRL cit., punti 35 e 37).

3.8. E’ opportuno precisare – da ultimo – che non è significativa, in senso contrario a fondare una più circoscritta nozione di effettività, la decisione della Corte di Giustizia 16 ottobre 2019, Glencore Agriculture Hungary Kft, in C-189/18, che si basa su presupposti in fatto e diritto affatto diversi da quelli qui in rilievo.

L’affermazione della Corte, difatti, si inseriva in un contesto in cui lo stesso diritto di difesa era negato dalla disciplina nazionale in discussione, intesa a tutelare, ma con una latitudine estrema, le esigenze di certezza del diritto.

La normativa ivi in giudizio (e la relativa prassi amministrativa), infatti, da un lato, vincolava l’Amministrazione finanziaria alle constatazioni di fatto e alle qualificazioni giuridiche già effettuate nell’ambito di procedimenti amministrativi connessi avviati nei confronti dei fornitori del soggetto passivo; dall’altro, esonerava la stessa dal far conoscere al soggetto passivo gli elementi di prova a suo carico, inclusi quelli tratti dai procedimenti connessi a causa del carattere definitivo delle decisioni così adottate; escludeva, infine, la possibilità per il giudice di riesaminare e mettere in discussione le prove e gli accertamenti già eseguiti.

Da ciò, dunque, la necessità per la Corte di Giustizia di stabilire con nettezza, senza accennare al temperamento della prova di resistenza (in realtà neppure pertinente alla problematica in esame), che l’Amministrazione finanziaria non può essere esonerata dall’obbligo di far conoscere al soggetto passivo gli elementi di prova, compresi quelli provenienti dai procedimenti connessi avviati nei confronti dei suoi fornitori, nonché che il soggetto passivo non può essere privato del diritto di rimettere in discussione utilmente le constatazioni di fatto e le qualificazioni giuridiche compiute dall’Amministrazione nell’ambito dei procedimenti collegati.

La vicenda, quindi, involgeva profili e connotazioni attinenti alla stessa esistenza del diritto di difesa e non alle conseguenze della sua violazione, da cui l’estraneità delle relative questioni.

3.9. Venendo alla vicenda in giudizio, appare decisivo che la doglianza, avuto riguardo anche alle complessive deduzioni nei gradi precedenti per come riprodotte dal ricorrente, è del tutto carente quanto alla richiesta prova di resistenza.

Parte ricorrente lamenta la violazione del contraddittorio rispetto ad atti acquisiti da indagini presso terzi ma in alcun modo deduce o articola come, in mancanza di tale vizio, il procedimento si sarebbe potuto concludere in maniera diversa e quali ragioni avrebbe potuto in concreto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato.

In altri termini, la lamentata violazione è dedotta solo in sé e per sé, neppure deducendo ulteriori elementi suscettibili di una diversa, anche solo potenziale, considerazione del merito dell’accertamento, da ciò, dunque, il rigetto della censura.

4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia: ED in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, e, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la CTR considerato legittima la motivazione per relationem dell’avviso in questione, ancorché la segnalazione della DRE e il p.v.c. della G.d.F. elevato a carico di altro soggetto (la ditta Novi Legno) non fossero stati allegati all’atto e non fosse possibile evincere dallo stesso i presupposti di fatto e di diritto della pretesa impositiva giacché privo del contenuto essenziale degli atti richiamati.

4.1. Il motivo – che involge due sub censure – si profila inammissibile per le ragioni di seguito indicate.

4.2. In primo luogo, il ricorrente, in difetto di autosufficienza, omette di riportare o di allegare al ricorso, il contenuto dell’avviso di accertamento la sufficienza della cui motivazione (per relationem) viene censurata. Al riguardo, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale quanto al giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass. sez. 5, n. 16147 del 28/06/2017) essendo il predetto avviso non un atto processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento (Cass. sez. 5, n. 9536 del 19/04/2013).

4.3. Inoltre, premesso che, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, l’onere dell’Ufficio, di mettere in grado il contribuente, attraverso la motivazione dell’atto impositivo, di conoscere le ragioni della pretesa tributaria, può essere assolto per relationem mediante il riferimento a elementi offerti da altri documenti conosciuti o conoscibili dal destinatario, come il processo verbale di constatazione della Guardia di finanza che sia stato notificato o consegnato al contribuente; né un tale rinvio può considerarsi illegittimo, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (v. ex plurimis Cass. n. 24038 del 2018; n. 2806 del 2017; Cass. 13/10/2011, n. 21119; Cass. 10/02/2010, n. 2907); considerato, peraltro, che, in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, la L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione. Parimenti il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, u.p., stabilisce che solo se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale (Cass. n. 28713 del 2017; n. 407 del 2015; n. 18073 del 2008); nella specie, il primo profilo del motivo di ricorso, pur prospettando una violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, in realtà tende inammissibilmente ad una nuova interpretazione di questioni di merito, avendo la CTR, con una valutazione in fatto non sindacabile dinanzi al giudice di legittimità, ritenuto che “dall’avviso di accertamento di cui si occupa emerge(ssero) chiaramente gli elementi che (avevano) portato alla sua emissione” (pag.5 del ricorso).

4.4. Inammissibile si profila, altresì, il secondo profilo del terzo motivo, non avendo il ricorrente, nel denunciare li vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 15 marzo 2016) assolto all’onere di dedurre l’omesso esame di un “fatto storico”, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, ma avendo prospettato – quanto all’assunto difetto di motivazione dell’atto impositivo in questione – profili attinenti a “questioni” che, pertanto, risultano irrilevanti (v. in tal senso, da ultimo, Cass. Sez. 6 – 1, Ord. n. 22397 del 06/09/2019; Cass. n. 21152/2014, Cass. n. 14802/2017).

5.Con il quarto motivo il ricorrente denuncia: 1) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54; 2) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere a CTR ritenuto erroneamente le operazioni fatturate inesistenti, da un lato, sul presupposto della rilevata mancanza di organizzazione imprenditoriale della ditta fatturante al momento della verifica ne 2012, ancorché i fatti contestati risalissero al 2007, dopo che quest’ultima avesse già cessato l’attività nel 2009 (e senza considerare che, pur in assenza di organizzazione aziendale, non fosse da escludere l’esercizio di un’attività di intermediazione attraverso lo schema tipico dell’operazione triangolare) e, dall’altro, affermando che fosse onere del contribuente provare a contrario la mancanza di consapevolezza della falsità delle operazioni.

5.1. Il primo profilo del quarto motivo, quanto alla assunta violazione di legge, è fondato per le ragioni di seguito indicate.

Sulla scia della giurisprudenza unionale, questa Corte ha chiarito che “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi”(Cass. Sez. 5, n. 9851 del 2018; n. 27566 del 30/10/2018; Sez. 6 – 5, n. 5873 del 28/02/2019).

Nella specie, il giudice a quo non si è attenuto ai suddetti principi, in quanto, a fronte della contestazione dell’Ufficio della inesistenza soggettiva della fatturazione emessa nei confronti della contribuente dalla ditta Novi Legno, ha ritenuto legittimo l’avviso per avere l’Amministrazione assolto l’onere probatorio circa la fittizietà della fatturazione in base all’emerso carattere di c.d. cartiera della fornitrice fatturante in quanto priva di organizzazione imprenditoriale; con ciò, senza verificare l’assolvimento dell’ulteriore onere probatorio a carico dell’ufficio, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, circa la consapevolezza del meccanismo fraudatorio da parte del contribuente, facendo, al riguardo, ricadere erroneamente su quest’ultimo l’onere – ritenuto non assolto con la esibizione di mezzi di pagamento – di provare “la mancata consapevolezza della falsità dell’operazione”.

5.2. L’accoglimento del primo profilo del quarto motivo rende inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il secondo profilo dello stesso articolato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

6.Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, convertito dalla L. n. 44 del 2012, non avendo la CTR rilevato la deducibilità dei costi, ai fini delle imposte dirette, in quanto i beni acquistati non erano stati utilizzati direttamente per commettere reato ma per essere commercializzati.

L’accoglimento del quarto motivo, quanto al profilo della violazione di legge, rende inutile la trattazione del quinto, con assorbimento dello stesso.

7. In conclusione, va accolto il quarto motivo, nei sensi di cui in motivazione, rigettati il primo e il secondo, dichiarato inammissibile il terzo, assorbito il quinto; con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR della Campania, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo nei sensi di cui in motivazione, rigetta il primo e il secondo, dichiara inamrnissbile il terzo, assorbito il quinto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Campania, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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