Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.20973 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28315-2016 proposto da:

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO ORESTANO 21, presso lo studio dell’avvocato VITTORIO GIORDANO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

E contro

UNICREDIT SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO ORESTANO n. 21, presso lo studio dell’avvocato VITTORIO GIORDANO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente successivo –

E contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4113/2016 della COMM. TRIB. REG. CAMPANIA, depositata il 05/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/2021 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha chiesto che la Corte di Cassazione riunisca i ricorsi ed accolga i motivi dal quarto al sesto di entrambi, respinti gli altri.

FATTI DI CAUSA

Con avviso di liquidazione del 12/2/2013 l’Agenzia delle entrate liquidava in misura proporzionale l’imposta di registro relativamente al decreto di omologazione del concordato preventivo dell’Impresa C. Costruzioni s.r.l., emesso dal Tribunale di Napoli, avendo ritenuto che la previsione della stipula di contratti preliminari di vendita di immobili con ricavato destinato a garantire il buon esito del concordato, contenuta nella proposta approvata dai. creditori, integrasse un vero e proprio trasferimento di beni, tassabile in ragione del valore venale dei diritti ceduti per evitare il fallimento.

Le creditrici privilegiate Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. e Unicredit s.p.a., destinatarie dell’atto impositivo, proposero entrambe impugnazione innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, la quale accolse i riuniti ricorsi, con sentenza, appellata dall’Agenzia delle entrate e riformata dalla Commissione tributaria regionale della Campania.

Il giudice di secondo grado osservava, tra l’altro, che dal decreto di omologazione si ricava la volontà di sostituire al trasferimento, proposto inizialmente, dell’intero patrimonio immobiliare di I.c.c. s.r.l. e di Sofip s.p.a. ad apposito trust, la previsione di “un contratto preliminare di trasferimento dei medesimi beni con la garanzia dell’attribuzione all’organo della procedura di un mandato irrevocabile a stipulare i contratti definitivi ed a rinnovare la trascrizione al trascorrere del triennio ai sensi dell’art. 2645 bis c.c.”, e che “l’utilizzo del negozio indiretto a fini della elusione fiscale (…) è legittimo solo in campo civilistico e non anche dal punto di vista tributario, laddove il D.P.R. n. 131 del 1986, già menzionato art. 20, si pone come un chiaro sbarramento antielusivo dell’imposta di registrazione per tutte le pratiche che vorrebbero nascondere dietro una diversa forma apparente il reale effetto giuridico del trasferimento di beni e/o diritti reali”.

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania hanno proposto ricorso per cassazione sia Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., che, successivamente, Unicredit s.p.a., con sei motivi, cui l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Fissati all’udienza pubblica del 17 giugno 2021, entrambi i ricorsi sono stati trattati in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal sopravvenuto del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla L. di conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento in presenza del Procuratore Generale, che ha depositata conclusioni scritte nel senso dell’accoglimento del quarto, quinto e sesto motivo dei ricorsi, e dei difensori delle parti, che hanno depositato memoria, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso le ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, della L. n. 241 del 1990, art. 3, 21-septies e 21-octies, del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 54, perché il giudice di appello ha erroneamente ritenuto l’avviso impugnato sorretto da idonea motivazione, pur non essendo allegato il decreto oggetto di tassazione, indicato peraltro non correttamente, né tantomeno ne è stato riprodotto il contenuto essenziale, con compromissione del diritto di difesa.

Con il secondo motivo lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 112 c.p.c.. e nullità della sentenza per extrapetizione, perché il giudice di appello ha superato l’eccezione di decadenza dell’Agenzia delle entrate dal potere di emettere l’avviso impugnato, applicando il termine quinquennale di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, trattandosi di registrazione d’ufficio, ipotesi mai dedotta dalla difesa erariale.

Con il terzo motivo lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 76, commi 1 e 2, dell’art. 13, dell’art. 67, comma 4-bis, perché il giudice di appello non ha considerato che il decreto tassato è stato debitamente inviato per la registrazione all’Amministrazione finanziaria da uno dei soggetti obbligati, segnatamente, il Cancelliere del Tribunale di Napoli, donde il termine di decadenza applicabile è quello triennale di cui all’art. 76, comma 2, lett. a), decorrente non dalla richiesta di registrazione, ma dalla data (25/2/2009) di deposito del decreto tassato o dalla data ultima (2/3/2009) per la registrazione.

Con il quarto motivo lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c., della L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, comma 9, e nullità della sentenza per extrapetizione, perché il giudice di appello ha ritenuto sussistere un intento elusivo nella intervenuta modifica della iniziale proposta di concordato, che prevedeva l’affidamento degli immobili ad un trust con vincolo in favore dei clienti del ricavato della loro vendita, ipotesi mai contestata dall’Amministrazione finanziaria che aveva basato l’avviso sul valore dei beni pretesamente trasferiti.

Con il quinto motivo lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, stante la motivazione perplessa, contraddittoria, considerato che perché il giudice di appello, per un verso, individua quale oggetto della tassazione il trasferimento dei beni attuato con l’espediente del negozio indiretto e, per altro verso, non smentisce che il decreto di omologazione del concordato prevede la stipula di un contratto preliminare di compravendita dei detti immobili.

Con il sesto motivo di ricorso le ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, al D.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa, parte prima allegata, artt. 8 e 10, all’art. 1351 c.c., perché il giudice di appello non ha adeguatamente considerato che il decreto tassato si limita alla omologazione dell’accordo concluso tra l’azienda debitrice ed i suoi creditori, e che in relazione agli effetti prodotti l’imposta di registro è dovuta in misura fissa.

Va, preliminarmente, disposta la riunione dell’impugnazione (nella specie, il ricorso per cassazione di Unicredit s.p.a.) proposta avverso la medesima sentenza in via principale anziché incidentale, atteso che ogni ricorso successivo al primo (nella specie, il ricorso per cassazione di Banca Nazionale del Lavoro s.p.a.) si converte in ricorso incidentale, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante.

Le ricorrenti Banca Nazionale del Lavoro ed Unicredit, con memoria datata 3/6/2021, hanno esposto che, in pendenza del giudizio, l’Agenzia delle entrate aveva posto in riscossione il credito di cui all’avviso di liquidazione dell’imposta di registro oggetto d’impugnazione, notificando apposita cartella di pagamento, e che a seguito di istanza di annullamento e sulla scorta dell’invocata estensione del giudicato favorevole (art. 1306 c.c., comma 2) formatosi sulle autonome impugnazioni degli analoghi avvisi notificati alle coobbligate società Impresa C. Costrizioni in liquidazione e Sofip, l’Agenzia delle entrate, con provvedimento del 18/7/2017, ha disposto in autotutela “lo sgravio totale della cartella, in quanto ricorrono i presupposti per l’applicazione della norma dettata dall’art. 1306 c.c., comma 2, (estensione degli effetti del giudicato al coobbligato…”.

Le ricorrenti deducono, quindi, la sopravvenuta carenza d’interesse alla decisione e la conseguente sussistenza dei presupposti per la declaratoria di cessazione della materia del contendere, come disposto dalla CTP di Napoli, adita per l’impugnazione della predetta cartella di pagamento.

Orbene, poiché il richiamato provvedimento in autotutela, ha riguardato “lo sgravio totale della cartella” di pagamento emessa, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, per la riscossione dell’imposta provvisoriamente iscritta a ruolo non può ritenersi venuto meno l’interesse delle contribuenti ad una pronuncia sull’avviso di accertamento impugnato, sia pure di contenuto identico a quello oggetto di giudicato, stante la natura costitutiva del processo tributario volto all’annullamento di atti autoritativi, perché, secondo quanto riportato dalle stesse ricorrenti, esso non è stato – ad oggi formalmente rimosso.

Peraltro, nel processo tributario, la sentenza resa tra creditore e condebitore solidale è opponibile al creditore da parte di altro condebitore soltanto ove ricorrano le seguenti condizioni: 1) la sentenza sia passata in giudicato; 2) non si sia già formato un giudicato tra il condebitore solidale che intende avvalersi del giudicato e il creditore; 3) ove si tratti di giudizio pendente, la relativa eccezione sia stata tempestivamente sollevata (non dovendo il giudicato essersi formato prima della proposizione del giudizio di impugnazione nel corso del quale viene dedotto); 4) il giudicato non sia fondato su ragioni personali del condebitore solidale (Cass. n. 18154/2019).

Ma da quanto è dato ricavare dagli atti di causa non ricorrono tutte le condizioni affinché le ricorrenti possano avvalersi, nel presente giudizio, del giudicato favorevole ottenuto dalle altre due società coobbligate.

La prima censura è infondata e non merita accoglimento.

Questa Corte ha affermato che se le indicazioni di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 54, comma 4, risultano riportate nell’atto, tanto basta ai fini della motivazione dell’avviso di liquidazione, “non essendo neanche necessario allegare agli atti la sentenza o il suo contenuto essenziale ai fini del pagamento dell’imposta di registro, trattandosi di pronuncia resa a seguito di giudizio che ha visto i ricorrenti quali parti in causa, trattandosi di provvedimento conosciuto dalle parti, non potendosi ravvisare alcuna violazione del diritto di difesa tutelato dalla L. n. 212 del 2020. Art. 7 (Statuto dei diritti del contribuente).” (Cass. n. 24098/2014).

Il principio sopra enunciato, ribadito anche di recente dalla Corte (Cass. n. 21713/2020; n. 239/2021; n. 593/2021 e n. 9344/2021), è applicabile al caso di specie proprio perché il decreto di omologazione pronunciato dal tribunale campano, pacificamente soggetto ad imposta di registro, è atto conosciuto o conoscibile dalle Banche, in quanto parti della relativa procedura, e risultano agevolmente ricavabili i valori imponibili e le aliquote applicate, in relazione all’imposta liquidata, mentre alcun concreto pregiudizio al diritto di difesa le contribuenti hanno potuto dedurre circa la qualificazione dell’atto tassato operata dall’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20.

Com’e’ noto, una volta ricevuto l’atto per la registrazione, per applicare la tassazione più rispondente al contenuto dell’atto medesimo ed alla volontà delle parti, l’Ufficio provvede al suo inquadramento in una delle categorie individuate dalla Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, suddivise in relazione agli effetti che gli atti sono in grado di produrre o del rispettivo nomen iuris, e che prevedono nel contempo aliquote d’imposta differenziate, diversi potendo essere anche i criteri di determinazione dell’imponibile, e la norma che regola tale attività e’, appunto, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20.

Pertanto è su tali profili che si deve misurare l’idoneità concreta della motivazione dell’avviso impugnato, in relazione alle censure svolte dal contribuente, e non sull’adempimento del preteso obbligo di allegazione dell’atto tassato, considerato che la motivazione del provvedimento giudiziario oggetto di tassazione, che secondo il dettato costituzionale (art. 111 Cost.) è diretto ad esplicitare le ragioni giuridiche e fattuali sottese alla decisione dell’organo giurisdizionale, non è affatto detto che contenga informazioni sufficienti in relazione all’obbligo dell’amministrazione finanziaria (L. n. 241 del 2012, art. 7) di indicare “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche” che hanno determinato la pretesa impositiva, al fine di consentire un’efficace contestazione, da pare del contribuente, dell’an e dei quantum debeatur (Cass. n. 9344/2021; n. 239/2021).

Del resto, anche con riguardo alla prospettata – materiale – erronea indicazione del provvedimento del Tribunale di Napoli, è il contribuente che deve dimostrare che il difetto di motivazione ha pregiudicato il proprio diritto di difesa, ingenerando insuperabile incertezza sulla sua identificazione, dovendo altrimenti ritenersi esclusa la limitazione di detto diritto in virtù della puntuale contestazione, in sede di impugnazione dell’atto impositivo effettivamente oggetto di tassazione, come nel caso di specie è avvenuto (Cass. n. 18224/2018).

La seconda e terza censura, scrutinabili congiuntamente, sono infondate e non meritano accoglimento.

La corretta individuazione del termine decadenziale applicabile, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, appare questione di diritto rispetto alla quale non si pone un problema di extrapetizione, quantomeno nei termini formulati dalle ricorrenti, trattandosi nella esaminata fattispecie non già di registrazione d’ufficio, ipotesi neppure dedotta dalla difesa erariale, ma di registrazione (a termine fisso) di atto giudiziario su richiesta del cancelliere del tribunale che ha provveduto all’omologazione del concordato preventivo, soggetto obbligato a chiedere la registrazione (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 10).

Risulta, conseguentemente, rispettato il termine triennale decorrente dalla richiesta di registrazione (8/10/2010), D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 76, comma 2, poiché l’avviso impugnato è stato notificato il 13/2/2013, mentre la tesi delle contribuenti, che non trova nella citata disposizione alcun appiglio testuale, finirebbe per far dipendere incongruamente la decadenza non dall’iniziativa dell’Amministrazione finanziaria, in relazione a circostanze alla stessa note, ma da attività proprie dell’Ufficio giudiziario.

La motivazione della sentenza di secondo grado va in tal senso integrata e corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., considerato che il dispositivo è conforme a diritto.

La quarta, quinta e sesta censura, scrutinabili congiuntamente, sono invece fondate e meritano accoglimento.

Va osservato che con l’omologa, da parte del Tribunale di Napoli, del concordato preventivo per cui è causa (il contenuto essenziale del relativo decreto è stato riportato nel ricorso e non è oggetto di contestazione), alcun effetto traslativo si è immediatamente verificato, ed a garanzia dei versamenti che l’Impresa C. Costruzioni s.r.l. si era impegnata ad effettuare in favore dei creditori privilegiati (100 % del credito da essi vantato) si contempla la stipula, da parte della predetta società e della coobbligata Sofip s.p.a., di un contratto preliminare di trasferimento (…) di parte o di tutti i beni di Sofip s.p.a. alla I.c.c. s.r.l. per sé o persona da nominare”, nonché l’ulteriore impegno di utilizzare l’eventuale corrispettivo incassato per le esigenze del concordato, con mandato irrevocabile all’organo della procedura per stipulare i contratti definitivi ed a rinnovare la trascrizione ex art. 2645 c.c. una volta decorso il triennio.

Come è stato più di recente chiarito anche nei documenti di prassi (Risoluzione n. 27/E del 21 giugno 2012), i decreti di omologazione del concordato preventivo con garanzia (così come quello con cessione di beni) devono essere assoggettati ad imposta di registro in misura fissa, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa, parte prima, allegata, art. 8, lett. g), che disciplina la tassazione degli atti di “omologazione”, mentre l’imposta trova applicazione in misura proporzionale nelle differenti ipotesi di concordato con trasferimento dei beni al terzo assuntore (Cass. n. 17371/2021).

La sentenza impugnata pone l’accento sugli “effetti giuridici del concordato preventivo piuttosto che sulla forma apparente del decreto di omologazione”, e cioè sul “titolo” che porta all’applicazione del residuale “criterio nominalistico”, rinveniente dal D.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa, parte prima, allegata, art. 8, lett. g), che fa generico e nominale riferimento agli “atti di omologazione” (Cass. n. 11585/2007, in tema di concordato con garanzia – senza immediato effetto traslativo), richiama lo “sbarramento antieiusivo” posto dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, “secondo il quale l’imposta di registrazione deve essere applicata a prescindere dal titolo e dalla forma apparente (decreto di omologazione) ed in base alla sostanza intrinseca (concordato preventivo per il soddisfacimento di debiti) ed agli effetti giuridici (trasferimento di beni tramite l’espediente del negozio indiretto)”, e conclude nel senso che il ricorso alla figura del “negozio indiretto” ha procurato un rilevante risparmio d’imposta (l’Ufficio ha liquidato Euro 365.444,38 a fronte di Euro 2.330.000) e spiega il voto favorevole dei creditori della società I.c.c., anche se “il decreto di omologazione del Tribunale di Napoli non può ritenersi abbia attributo “una patente di legittimità” fiscale alla procedura.

Le argomentazioni svolte dal giudice di secondo grado a sostegno della ritenuta corretta applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura proporzionale (e non fissa) appaiono intrinsecamente contraddittorie ed inconcludenti.

E’ senz’altro corretto, in linea generale, ancorare l’imposta di registro agli “effetti” dell’atto, piuttosto che al relativo “titolo” (così Cass. n. 3286/2018), al fine di sottoporre l’atto medesimo a tassazione, applicando la tariffa più rispondente al contenuto del contratto ed alla volontà delle parti contraenti.

Ciò non toglie, però, che l’assenza di un immediato – ovvero già verificato – effetto traslativo, presupposto indefettibile della tassazione pretesa dall’Ufficio, costituisce un dato decisivo che, nella esaminata fattispecie, non può essere superato mediante la prospettazione di un “negozio indiretto”, connotato dalla previsione di una pluralità di obbligazioni e dai perseguimento di un intento di elusione fiscale, atteso che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, non è destinato a contrastare l’abuso del diritto e neppure l’Ufficio lo ha contestato nell’avviso impugnato alle contribuenti.

(ndr: testo originale non comprensibile), nel caso in esame, è diretto ad individuare un risultato economico, che è lo scopo ulteriore che le parti vogliono raggiungere, fiscalmente illecito, perché determina un risparmio fiscale ottenuto differendo – artatamente – il trasferimento della proprietà dei beni destinati a soddisfare le ragioni dei creditori.

Ma siffatto modo di argomentare non risolve, va ribadito, la questione della assenza di effetti immediatamente traslativi del provvedimento omologatorio dell’autorità giudiziaria.

Il D.P.R. citato, art. 20, dispone che “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

Il testo attuale della disposizione è frutto delle modifiche introdotte dalla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), nn. 1) e 2), (di “interpretazione autentica” della L. n. 145 del 2018, ex art. 1, comma 1084), che recano l’espressa previsione della irrilevanza degli elementi extra testuali e del collegamento negoziale, mentre le questioni di incostituzionalità sollevate da questa Corte in merito al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, risolte dalla Corte Costituzionale con due recenti pronunce (sentenze n. 158/200 e n. 39/2001) non incidono direttamente sulla fattispecie in esame, per la quale non appare in contestazione il collegamento con altri atti o l’utilizzo di elementi extra testuali per l’opera di qualificazione negoziale (oggetto dei giudizi di costituzionalità), ma essenzialmente l’indagine sulla corretta interpretazione dell’atto tassato, nella specie, il decreto di omologazione di un concordato preventivo del quale si discute la produzione di effetti traslativi nell’immediatezza ed attualità o nel momento degli eventuali negozi attuativi.

Il legislatore ha voluto imporre una interpretazione isolata dell’atto da sottoporre a registrazione, fondata unicamente sugli elementi da esso desumibili, ribadendo così la natura d’imposta d’atto dell’imposta di registro, la quale colpisce l’atto sottoposto a registrazione quale risulta dallo scritto, escludendo qualsiasi operazione ermeneutica della norma in chiave antielusiva che provocherebbe, come efficacemente evidenziato dalla Corte Costituzionale, incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione della L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, consentendo all’Amministrazione finanziaria di operare, appunto, in funzione antielusiva, senza peraltro l’applicazione della garanzia del contraddittorio endoprocedimentale, svincolandosi da ogni riscontro probatorio di indebiti vantaggi fiscali e di operazioni prive di sostanza economica, precludendo di fatto al contribuente ogni legittima possibilità di pianificazione fiscale.

Come già affermato da questa Corte “La detta condotta elusiva non potrà comunque ravvisarsi nella mera scelta di un’operazione fiscalmente più vantaggiosa, laddove sia lo stesso ordinamento tributario a prevedere tale facoltà, a condizione che non si traduca in uso distorto dello strumento negoziale o in un comportamento anomalo rispetto alle ordinarie logiche d’impresa, posto in essere per realizzare non la causa concreta del negozio ma esclusivamente o essenzialmente il beneficio fiscale.” (Cass. n, 11023/2021; n. 7157/2021).

Esclusa, dunque, la possibilità di inquadramento in una delle ipotesi da a) ad f) del D.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa, parte prima, allegata, art. 8 o art. 10, non resta che rivalutare il criterio “nominalistico” e ritenere, quindi, che il decreto di omologazione del concordato preventivo rientri nella dizione di cui al più volte cit. art. 8, lett. g), che per l’appunto comprende genericamente gli atti “di omologazione” (Cass. n. 3286/2018; 11585/2007).

In conclusione, la sentenza impugnata merita di essere cassata, e non essendo necessari accertamenti ulteriori, la causa va decisa nel merito con l’accoglimento dell’originario ricorso delle contribuenti.

L’evolversi della vicenda processuale giustifica la compensazione delle spese processuali dei gradi di merito, mentre quelle del giudizio di legittimità seguono la soccombenza sono liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte, accoglie il quarto, il quinto ed il sesto motivo dei riuniti ricorsi, rigetta gli altri motivi, cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e decidendo nel merito accoglie l’originario ricorso delle contribuenti. Compensa le spese dei gradi di merito e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 10.200,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed altri accessori di legge, in favore di ciascuna parte ricorrente.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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