Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.20984 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14913/2012 R.G. proposto da:

C.W. e B.F., rappresentati e difesi dagli avvocati Luigi Ferrajoli e Giuseppe Fischioni, elettivamente domiciliati presso quest’ultimo in Roma, via della Giuliana 32;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 61/2011, depositata il 18/5/2011, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/11/2019, 24/06/2020, 25/03/2021 dal Consigliere Adet Toni Novik.

RILEVATO

che:

– C.W. e B.S. (di seguito, i contribuenti), quali soci della Wanted elettrodomestici SNC di C.W. e B.S., propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, (CTR), n. 61/8/11, depositata il 18/5/2011, confermativa di quella di primo grado che aveva rigettato i ricorsi contro l’accertamento di maggiori ricavi Iva, e Irap effettuato nei confronti della società per i periodi d’imposta 2003-2004 e la rettifica, per il medesimo periodo, del reddito di partecipazione dichiarato ai fini Irpef dai soci;

– risulta dalla sentenza impugnata che nei confronti della società erano stati elevati i seguenti addebiti:

a) mancata prova dell’uscita di merci dal territorio comunitario in relazione ad esportazioni effettuate dalla società nei confronti dell’impresa M.N.N., con sede in Bulgaria;

b) contabilizzazione di fatture di acquisto, relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, attraverso lo schema della c.d. frode carosello;

c) emissione da parte della società, nel corso del 2003, di tre fatture per operazioni soggettivamente inesistenti;

– il giudice di appello disattendeva le difese dei contribuenti, ritenendo:

a) quanto a quella relativa alla mancanza di prova dell’uscita delle merci dal territorio comunitario, che l’uscita era stata accertata dalla Guardia di Finanza con atti aventi valore fidefaciente: infatti, le indagini, svolte in collaborazione con l’organo doganale greco, avevano evidenziato che: – i documenti prodotti recavano timbri falsi; – erano privi della firma del funzionario doganale greco; – la certificazione doveva essere allegata alla copia n. 3 della specifica di esportazione anziché sulle fatture;

b) quanto alla mancanza di consapevolezza di partecipare ad una frode carosello, a fronte della contestazione di indebita detrazione per operazioni inesistenti, scaturente dalla ricostruzione operata dalla GdF, che la prova della legittimità e della correttezza della detrazione dei costi doveva essere fornita dai contribuenti, atteso che il principio della neutralità dell’Iva era applicabile solo in relazione a operazioni legittime e regolari;

c) quanto al supposto contrasto sul numero delle fatture, che l’eccezione era frutto di un errore del ricorrente atteso che le fatture contestate erano effettivamente quattro, di cui tre per il 2003 e una per il 2004;

– il ricorso è affidato a quattro motivi; l’agenzia delle entrate ha resistito con controricorso;

– con ordinanza interlocutoria del 24/6/2020, la Corte, avendo rilevato che nel periodo di imposta accertato i contribuenti erano soci di società di persone, ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti della Società C.W. e B.F. s.n.c.;

– con memoria depositata e datata 27 novembre 2020, la difesa dei contribuenti ha precisato che il ricorso era stato proposto dai ricorrenti nella qualità di ex soci della Società C.W. e B.F. s.n.c., e che la società, messa in liquidazione, era stata cancellata dal registro delle imprese il 22/10/2008.

CONSIDERATO

che:

– Preliminarmente va revocata l’ordinanza con cui la Corte ha ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti della C.W. e B.F. s.n.c.: prendendo atto che la società è stata cancellata dal registro delle imprese con atto iscritto il 22/10/2008, si osserva che il Collegio, nel disporre l’integrazione, non era a conoscenza che la anzidetta s.n.c. (già Wanted Elettrodomestici di C.W. e B.F. s.n.c.) era estinta, non solo perché nessuna delle parti aveva rappresentato questa situazione, ma soprattutto perché, al contrario, la Wanted Elettrodomestici era compresa tra le parti che avevano proposto appello contro la sentenza di primo grado con atto depositato il 29/7/2009, in data cioè successiva alla sua estinzione.

– Con il primo motivo di ricorso, i contribuenti testualmente denunciano “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 1, lett. a), e degli artt. 2697 e 2700 c.c., in combinato disposto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1”;

– rilevano che, in relazione alla mancata prova dell’uscita delle merci dirette in Bulgaria dal territorio comunitario, il giudice di appello a sostegno della pretesa erariale aveva richiamato gli accertamenti eseguiti dalle autorità estere sulla documentazione doganale relativa all’esportazione, omettendo di valutare che la richiesta di collaborazione amministrativa all’autorità doganale greca non era stata allegata, né erano stati specificati i motivi per cui era stata ritenuta non autentica la timbratura apposta sulla documentazione;

– contestano che sia stata attribuita fede privilegiata alle valutazioni della Guardia di Finanza su fatti che non erano stati dalla stessa compiuti né avvenuti in sua presenza, così determinandosi una inammissibile inversione dell’onere probatorio;

– rilevano che i documenti di esportazione erano conformi al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8;

– il motivo è inammissibile sotto plurimi e concorrenti profili;

– pur denunziando nella specie violazione di legge, i contribuenti omettono di indicare i ravvisati profili di erronea interpretazione di norme da parte della corte di merito, e dal fornire la prospettazione della diversa lettura delle medesime ritenuta viceversa “corretta” (cfr. Cass., 8/5/2006, n. 10500); in conformità, in particolare, a una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, infatti, il ricorso per Cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata;

– il riferito principio comporta – in particolare – tra l’altro che è inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la sentenza impugnata (Cass. 15 febbraio 2003, n. 2312);

– nella specie, i contribuenti non solo si astengono di indicare quali siano le ragioni in forza delle quali il principio applicato dalla CTR non può essere condiviso, ma trascurano che il vizio di violazione (o falsa applicazione) di legge può essere formulato solo assumendo l’accertamento di fatto, così come operato dal giudice del merito, in guisa di termine obbligato, indefettibile e non modificabile, del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione, là dove, diversamente (ossia ponendo in discussione detto accertamento), si verrebbero ad esercitarsi poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass., ord., 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);

– la CTR, anche se ha fatto cenno al valore legale degli accertamenti, ha poi effettuato una valutazione complessiva in fatto, attribuendo agli accertamenti compiuti il valore di prova dei fatti, ed affermando che, rispetto ad essi, i contribuenti non avevano “in alcun modo provato la veridicità delle operazioni poste in essere”;

– la contestazione sul “fatto” andava effettuata con la proposizione di censura nell’ottica del vizio di motivazione;

– si osserva infine che nessuna norma prevede l’allegazione alla verifica della richiesta di collaborazione.

– Con il secondo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54, in combinato disposto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per aver la CTR affermato che la società aveva contabilizzato fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, ritenendo irrilevante la mancata dimostrazione della corresponsabilità della medesima nel sistema frodatorio e la regolarità delle fatture e dei pagamenti;

– la censura è inammissibile;

– la CTR ha ritenuto “attendibile” la ricostruzione operata dalla GdF secondo la quale la società amministrata dai contribuenti era coinvolta in una c.d. frode carosello, ponendo in risalto che: – la merce fatturata in esenzione Iva non usciva dal territorio nazionale; – i pagamenti venivano eseguiti in via anticipata “modalità che non accade mai in presenza di imprese nuove o sconosciute”; – la merce veniva sempre ritirata dalla Wanted; – le società intermediarie erano cartiere; – i soggetti che gestivano la ditta estera erano pregiudicati italiani “che ne variavano in continuazione la sede legale”;

– la CTR ha quindi compiuto una valutazione in fatto, con la conseguenza che la censura si risolve nella denuncia di un “error facti” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (in tale categoria di vizio di legittimità ricade infatti la denuncia della illogica inferenza probatoria, o della inesatta rilevazione dei fatti accertati), da cui deriva l’inammissibilità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, del motivo con il quale è stato invece, dedotto il diverso vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, relativo ad attività di giudizio, in punto di violazione della regola del riparto probatorio ex art. 2697 c.c..

– Con il terzo motivo, è dedotta “omessa ed insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”;

– con richiamo a quanto già dedotto nell’atto di appello, secondo i contribuenti la GdF aveva desunto l’inesistenza soggettiva delle operazioni di acquisto effettuate dalla Wanted s.n.c., per aver detta società acquistato dai fornitori fittiziamente interposti (Napstore di M.F., Media Service s.r.l., Infoyme s.r.l., Big Trade s.r.l.) merce da rivendere ai clienti nazionali ad un prezzo inferiore al prezzo di vendita praticato dal fornitore comunitario;

– osservano che essi avevano dimostrato nel giudizio di avere effettuato il pagamento della merce acquistata e che i prezzi erano conformi a quelli di mercato, né avevano responsabilità in merito al mancato versamento dell’Iva da parte dei fornitori; di converso, la CTR non aveva preso in esame il fatto controverso e decisivo che la Wanted aveva fatto gli acquisti ad un prezzo di mercato e pagato l’Iva;

– la censura è inammissibile in quanto il fatto dedotto non può essere considerato decisivo: per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza avrebbe condotto a diversa decisione con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data (Cass. n. 28634 del 2013; Cass. n. 25608 del 2013; Cass. n. 524092 del 2013; Cass. n. 18368 del 2013; Cass. n. 3668 del 2013; Cass. n. 14973 del 2006);

– questa Corte, alla luce della giurisprudenza comunitaria, ha statuito il seguente principio di diritto: “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Sez. 5 -, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018, Rv. 651269 – 01; Cass. n. 9851 del 2018)”;

– sul punto, il giudice a quo si è attenuto ai suddetti principi avendo positivamente scrutinato gli indizi idonei ad avvalorare il sospetto che il soggetto formalmente cedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta e partecipato a una frode, valorizzando, sulla base della “attendibile ricostruzione della G.d.F.”, non solo l’abbattimento del costo delle merci attraverso la speculazione sui meccanismi dell’Iva, ma ulteriori elementi, realizzati di concerto (prova della consapevolezza del meccanismo frodatorio), sui quali i contribuenti non si confrontano, quali il pagamento anticipato della merce, logicamente definito non usuale; il ritiro della merce direttamente da parte della Wanted senza l’intervento delle “cartiere”; le vicende giudiziarie della Aticom.

– Con il quarto motivo, si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (o, – per il 2004 – art. 109) in combinato disposto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per aver la CTR affermato la indeducibilità, ai fini delle imposte dirette e dell’Irap, dei costi documentati dalle fatture contestate, in quanto riferibili ad operazioni oggettivamente poste in essere e non contestate;

– la censura, ammissibile in rito perché correttamente dedotta con uno specifico motivo di appello, come risulta dal testo del gravame, riportato ai fini dell’autosufficienza nel ricorso (pagina 36), è fondata;

– questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto “In tema di imposte sui redditi, a norma della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1 (conv. in L. n. 44 del 2012), poiché nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente “al fine di commettere il reato”, bensì per essere commercializzati, non è sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da un soggetto diverso dall’effettivo venditore per escludere la deducibilità, ai fini delle imposte dirette, dei costi relativi a siffatte operazioni anche ove ricorrano i presupposti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109". (Sez. 5 -, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018, Rv. 651269 – 02);

– si è osservato, in conseguenza di quanto dispone la L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, che quale ius supervienens trova applicazione d’ufficio, ai soggetti coinvolti nelle “frodi carosello”, non essere più contestabile la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente “al fine di commettere il reato”, ma, salvo prova contraria, per essere commercializzati e venduti;

– poiché nel caso in esame non è in contestazione la oggettività delle operazioni commerciali poste in essere dalla Wanted s.n.c., risulta del tutto irrilevante l’accertamento della consapevolezza della frode da parte della ditta cessionaria, anche se rimangono fermi i criteri ordinari, previsti dal Testo Unico delle imposte dirette, art. 109, che impongono la verifica della sussistenza dei principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza e determinabilità dei componenti negativi che possono essere portati in deduzione dal reddito imponibile.

In conclusione, i primi tre motivi di ricorso sono inammissibili, mentre va accolto il quarto motivo di ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili i primi tre motivi di ricorso; accoglie il quarto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla CTR della Lombardia in diversa composizione per nuovo esame.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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