Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.21008 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8930/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

IMMOBIARE ORSA MAGGIORE di D.P.G.P. & C. Sas (già

IMMOBILIARE ORSA MAGGIORE di A.E. & C. Sas), in persona del legale rappresentante pro tempore D.P.G.P., rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Vincenzi in virtù di procura speciale a margine del controricorso ed elettivamente domiciliato in Roma, nella via Borgognona n. 47 presso lo studio dell’Avv. G. Brancadoro;

e A.E. in proprio, rappresentata e difesa dall’Avv. Antonio Vincenzi in virtù di procura speciale a margine del controricorso ed elettivamente domiciliata in Roma, nella via Borgognona n. 47 presso lo studio dell’Avv. G. Brancadoro;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 203/4/2014 della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, depositata in data 3 febbraio 2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 aprile 2021 dal Consigliere Dott. Grazia Corradini.

FATTI DI CAUSA

A seguito di una preventiva verifica della Guardia di Finanza nei confronti della allora Immobiliare Orsa Maggiore di A.E. & C. Sas, esercente attività di valorizzazione e vendita immobiliare, di cui erano soci i coniugi D.P.G.P. e A.E., nel corso della quale erano state eseguite anche indagini sui conti correnti della società verificata nonché del socio accomandatario ed amministratore D.P.G.P. e dell’altra socia A.E., attraverso le quali erano emersi versamenti non giustificati per un totale di Euro 197.982,37 e prelevamenti non giustificati per Euro 136.563,59, la Agenzia delle Entrate di Ravenna accertò nei confronti della società il conseguente reddito di impresa ai fini IRAP ed IVA per l’anno 2001 sulla base della presunzione di ricavi delle somme risultanti dai movimenti bancari, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 33, ritenendo che la presunzione non fosse stata vinta dai soci, nel corso di numerose interlocuzioni, con riguardo alle somme accertate.

Proposero ricorso la società nonché in proprio i due soci lamentando, per quanto ancora interessa, l’utilizzazione acritica dei dati bancari relativi ai due soci per determinare il reddito della società e la Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna, con sentenza n. 2010/1/2009, accolse il ricorso ritenendo che i soci avessero indicato le causali dei movimenti bancari contestati in relazione alla rispettiva attività professionale (di psicologa per la A. e di consulente aziendale per il D.P.) e che comunque la società, trattando affari immobiliari, non poteva avere una rilevante mole di movimenti, risultando così smentita la ricostruzione induttiva per cui i predetti movimenti erano stati imputati alla società.

Investita dall’appello della Agenzia delle Entrate – che ribadì come, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, le risultanze delle indagini bancarie e finanziarie sono poste come compensi se il contribuente non ne indica il beneficiario e se non risultano dalle scritture contabili e che tale presunzione era legittimamente estensibile dai conti dei soci alla società, non avendo fra l’altro i soci mai fornito la prova contraria ed avendo comunque dichiarato redditi personali assai modesti – la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, con sentenza n. 203/4/2014, rigettò l’appello rilevando che i soci avevano dimostrato di svolgere attività professionali potenzialmente idonee a generare redditi per cui l’Ufficio avrebbe dovuto svolgere puntuali e dettagliate verifiche dirette a vagliare altre ipotesi alternative e ad accertare se quei movimenti bancari fossero o meno riferibili, invece, alle attività professionali dei soci, considerato che la A. aveva dichiarato un reddito modestissimo mentre il D.P. non aveva presentato alcuna dichiarazione dei redditi dal 2001 al 2005, invece di insistere, onde evitare una forse più impegnativa attività investigativa, sulla attribuzione dei redditi alla società che era un ente giuridicamente distinto; tanto più che, trattandosi di una società immobiliare, sarebbe stato agevole per l’Ufficio accertare se e quali immobili fossero stati posseduti e contrattati nell’anno di interesse, così da confutare le opposte difese.

Contro la sentenza di appello, depositata in data 3 febbraio 2014, non notificata, ha presentato ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate, con atto notificato il ***** alla società ed alla socia A. nella rispettiva sede e residenza, nonché per entrambi al procuratore costituito nel domicilio eletto, affidato ad un solo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, art. 115 c.p.c., artt. 2697,2727 e 2729 c.c., per avere la sentenza impugnata fatto malgoverno della presunzione legale relativa di evasione discendente dalle movimentazioni bancarie sui conti intestati alla società ma anche si soci e ai loro familiari, salvo prova contraria fornita dagli stessi, in assenza della prova analitica e rigorosa, a carico del contribuente, che i proventi desumibili dalle singole movimentazioni bancarie non debbono essere recuperati a tassazione o perché egli ne ha già tenuto conto nelle dichiarazioni o perché non sono fiscalmente rilevanti in quanto non si riferiscono ad operazioni imponibili.

Resistono con controricorso la Immobiliare Orsa Maggiore di D.P.G.P. & C. Sas (già Immobiliare Orsa Maggiore di A.E. & C. Sas) nonché A.E. personalmente.

La Agenzia delle Entrate ha depositato successiva memoria illustrativa in data 2.4.2021 con cui ha ribadito la legittimità dell’accertamento.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Occorre premettere che è incontestato in causa – e risulta comunque dalla parziale trascrizione dell’atto introduttivo in modo conforme sia nel ricorso per cassazione che nel / controricorso – che l’atto impositivo iniziale fu notificato alla società ed ai due soci ( D.P.G.P. ed A.E.) e che sia la società che i soci si costituirono in giudizio per cui la sentenza di primo grado fu pronunciata nel contraddittorio fra tutte le parti suddette. Dall’esame degli atti processuali inseriti nel fascicolo d’ufficio del processo di appello, eseguito da questo Collegio, trattandosi di questione processuale, fra l’altro rilevabile d’ufficio, è risultato, poi, che la Agenzia delle Entrate notificò l’atto di appello solo alla società e si costituirono in giudizio la società ma anche la socia A.. Il ricorso per cassazione è stato infine notificato dalla Agenzia delle Entrate sia alla società che alla socia A., che si era volontariamente costituita in appello e la società e la socia A. si sono costituite con controricorso anche nel presente giudizio.

Ciò posto, è principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte – cui si ritiene di dare continuità in questa sede – quello per cui in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento, che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società, riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali – sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa, a pena di nullità assoluta rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, limitatamente ad alcuni soltanto di essi (v., per tutte, Sezioni Unite n. 14815 del 2008; da ultimo, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25300 del 28/11/2014 Rv. 633451 – 01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7789 del 20/04/2016 Rv. 639568 – 01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16730 del 25/06/2018 Rv. 649377 – 01).

Ciò vale, poi, anche per l’accertamento di maggior imponibile IVA poiché nella specie l’Ufficio ha contestualmente proceduto, con un unico atto, ad accertamenti ai fini anche di altre imposte (nella specie, IRAP), fondati su elementi comuni, atteso che, in detta ipotesi, il profilo dell’accertamento concernente l’imponibile IVA, in assenza comunque di aspetti di esso specifici, non emersi in causa, non si sottrae al vincolo necessario del “simultaneus processus” per l’inscindibilità delle due situazioni, in quanto insuscettibile di autonoma definizione (v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 6303 del 14/03/2018 Rv. 647467 – 01; Cass. N. 26071 del 2015 Rv. 638421 – 01; Cass. n. 13452 del 2017; Cass. n. 10145 del 2012).

Peraltro nel caso in esame vi è stata anche violazione del litisconsorzio processuale poiché in primo grado erano in causa sia la società che entrambi i soci ed, in tema di contenzioso tributario, in caso di litisconsorzio processuale, che determina l’inscindibilità delle cause anche ove non sussisterebbe il litisconsorzio necessario di natura sostanziale (comunque sussistente nella specie), l’omessa impugnazione della sentenza nei confronti di tutte le parti non determina l’inammissibilità del gravame, ma la necessità per il giudice d’ordinare l’integrazione del contraddittorio, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., nei confronti della parte pretermessa, pena la nullità del procedimento di secondo grado e della sentenza che l’ha concluso, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10934 del 27/05/2015 Rv. 635458 – 01; Sez. 5 -, Ordinanza n. 27616 del 30/10/2018 Rv. 651077 – 01); cosicché il giudice di appello, al fine di evitare una nullità rilevabile anche d’ufficio nei successivi gradi del processo, avrebbe dovuto disporre l’integrazione del contraddittorio, anche laddove il litisconsorte necessario pretermesso non era stato neppure indicato nell’atto di impugnazione (v. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8065 del 21/03/2019 Rv. 653796 – 01).

Ne consegue che l’accertato difetto del simultaneus processus nel grado di appello, peraltro rilevabile d’ufficio da questo giudice, comporta la nullità della sentenza impugnata e del processo di appello per violazione del litisconsorzio sia necessario che processuale.

La sentenza impugnata deve essere in conseguente cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, la quale, previa integrazione del contraddittorio fra le parti necessarie, dovrà decidere sul merito della causa e provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 15 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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