LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –
Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25291-2015 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
T.D., elettivamente domiciliato in ROMA, Piazza Cavour presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato CARMELA DE FRANCISCIS;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3617/2015 della COMM. TRIB. REG. CAMPANIA, depositata il 17/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/05/2021 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO.
RILEVATO
che:
con sentenza n. 3617/18/15 pubblicata il 17 aprile 2015 la Commissione tributaria regionale della Campania ha accolto l’appello proposto da T.D. avverso la sentenza n. 120/8/13 della Commissione tributaria provinciale di Napoli n. 120/8/13 con la quale era stato rigettato il suo ricorso avverso l’avviso di accertamento n. ***** emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle Entrate e con il quale era stato rideterminato in Euro 142.011,00 il reddito per l’anno 2007 ai fini IRPEF con metodo sintetico ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5, sulla base di incrementi patrimoniali costituiti, in particolare, dal possesso di cavalli da competizione e di tre autoveicoli;
che la Commissione tributaria regionale ha fra l’altro considerato illegittimo l’accertamento per l’omessa instaurazione del previo contraddittorio, e per difetto di motivazione non essendo state considerate le giustificazioni fornite dal contribuente che aveva provato che uno degli autoveicoli contestati era stato acquistato con il ricavato della vendita di altro autoveicolo, mentre i cavalli da competizione erano stati posseduti per un periodo limitato dell’anno ed in numero inferiore a quello contestato;
che l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su due motivi;
che T.D. ha eccepito l’inammissibilità del ricorso notificato oltre il termine di legge, ed ha comunque resistito deducendo l’infondatezza del ricorso stesso.
CONSIDERATO
che:
l’eccezione di inammissibilità del ricorso non è fondata. L’Agenzia ricorrente ha infatti tentato la notifica presso il domicilio eletto della parte nei termini di legge consegnando l’atto all’Ufficio UNEP della Corte d’appello di Roma in data 28 ottobre 2015 e, solo a seguito dell’esito negativo della notifica a motivo del trasferimento del destinatario, ha provveduto al rinnovo della notifica stessa. A tale riguardo va considerato il principio affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. 24 luglio 2009 n. 17352) ed al quale si è adeguata la successiva giurisprudenza di questa stessa Corte, secondo cui in tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie. Nel caso in esame il notificante attuale ricorrente si è attivato in tempi ragionevolmente brevi per il rinnovo della notifica che deve conseguentemente ritenersi tempestiva in virtù di detto principio di diritto (cfr. Cass. Sez. Unite (ndr: testo originale non comprensibile)).
che con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; in particolare si lamenta che la CTR avrebbe illegittimamente considerato l’omessa instaurazione del previo contraddittorio;
che con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59, n. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4; in particolare si assume che la CTR, dopo avere considerata non congrua la ricostruzione del reddito operata dall’Ufficio ha annulla in toto l’avviso di accertamento impugnato anziché provvedere alla rideterminazione del reddito considerando tutti gli elementi forniti dalle parti;
che il primo motivo è fondato. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno invero affermato (Cass. 24823/2015) il seguente principio di diritto: “Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizone, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”. Le Sezioni Unite hanno evidenziato, appunto, come, nella normativa tributaria nazionale, in relazione ai tributi non armonizzali, non si rinviene alcuna disposizione espressa che sancisca in via generale l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, al di fuori di precise disposizioni che tale contraddittorio prescrivono peraltro a condizioni e con modalità ed effetti differenti, in rapporto a singole ben specifiche ipotesi, quale “il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, (come modificato dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, convertito in L. n. 122 del 2010), in tema di accertamento sintetico”. Nella specie, è pacifico che si verte in ipotesi di accertamento sintetico relativo all’anno d’imposta 2007, in relazione al quale non opera la modifica normativa di cui al D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010. Invero, Il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, ha disposto (con l’art. 22, comma 1), con specifica norma di diritto transitorio, che le modifiche operano in relazione agli “accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto” e quindi la norma ha effetto dal periodo d’imposta 2009 (cfr. Cass.21041/2014; Cass. 22746/2015);
che anche il secondo motivo è fondato. La CTR, dopo avere affermato l’illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato per l’omessa instaurazione del contraddittorio endoprocessuale, ha comunque valutato le prove fornite dal contribuente riguardo agli elementi su cui si fonda l’accertamento impugnato, pervenendo ad un giudizio di sproporzione del reddito accertato rispetto ai beni effettivamente goduti dal contribuente; in particolare il giudice d’appello ha considerato il numero dei cavalli da competizione e la durata del possesso di ciascun cavallo nel corso dell’anno di imposta in questione, ed il numero di autoveicoli effettivamente posseduto. A tale riguardo va ricordato il principio ripetutamente affermato da questa Corte (per tutte e da ultimo Cass. 30 ottobre 2918, n. 27560) secondo cui il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio. Ne consegue che il giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali), è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte. Nel caso in esame la CTR ha annullato in toto l’atto impugnato anziché provvedere alla rideterminazione della pretesa impositiva sulla base degli elementi valutati;
che la sentenza impugnata va conseguentemente cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso; Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 12 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021