Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.21059 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22164/2019 proposto da:

H.Y., rappresentato e difeso dall’avvocato Massimo Gilardoni, con studio in Brescia Via Vittorio Emanuele II;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, ope legis domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente a debito –

avverso il decreto del Tribunale di Brescia, depositato il 31/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 03/11/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

RILEVATO

che:

– H.Y., cittadino senegalese, ha impugnato per cassazione il decreto che ha respinto il ricorso proposto avverso il diniego dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed il mancato riconoscimento delle condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari statuito dalla competente Commissione territoriale;

– a sostegno delle domande il richiedente asilo ha esposto di aver subito maltrattamenti dopo la morte della madre da parte della matrigna cui l’aveva affidato il padre trasferitosi in *****; ha precisato che dopo il ritorno del padre la situazione era ulteriormente peggiorata e perciò, dopo essere stato cacciato di casa dal padre, era stato consigliato di andarsene lasciando il Senegal; dopo aver attraversato il Mali, la Costa d’Avorio, il Burkina Faso, il Niger e la Libia era giunto in Italia nel gennaio 2017;

– il tribunale ha statuito che, anche ritenendo il richiedente credibile nel riferimento ai maltrattamenti patiti ad opera del padre, la vicenda riferita non integra una situazione meritevole di protezione internazionale anche in ragione della possibilità del figlio di rendersi ormai autonomo dalla famiglia; neppure ha ritenuto sussistente nel Paese di provenienza la fattispecie della violenza indiscriminata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), né alcuna situazione di oggettiva o soggettiva vulnerabilità rilevante ai fini del riconoscimento dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

– la cassazione del decreto impugnato è chiesta sulla base di tre censure, cui resiste con controricorso il Ministero dell’interno.

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo si solleva la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, n. 3, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2 e dell’art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che il procedimento è definito con decreto non reclamabile entro 60 giorni dalla presentazione del ricorso;

– in altri termini, assume il ricorrente l’illegittimità della eliminazione del grado d’appello;

– la questione è manifestamente infondata avendo la Corte già considerato che la disposizione in esame è ispirata alla necessità di soddisfare esigenze di celerità e che non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado; inoltre, il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (cfr. Cass. 27700/2018);

– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per avere escluso la protezione sussidiaria sul convincimento espresso dal collegio circa la non credibilità del richiedente, senza avere considerato le condizioni di persecuzione cui egli sarebbe esposto in caso di rientro forzato sulla scorta di fonti informative, ricercate solo limitatamente al conflitto politico nella regione della Casamance;

– la censura è inammissibile perché non impinge la motivazione giacché, diversamente da quanto dedotto, la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c), è stata esclusa per l’inesistenza nel Paese di provenienza di una condizione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno od internazionale, prevista dalla norma invocata;

– il tribunale bresciano ha, infatti, accertato, sulla scorta delle fonti informative specificamente indicate (cfr. pag. 3 del decreto) che il conflitto attualmente esistente nel Senegal riguarda soltanto la regione della Casamance, coinvolge i ribelli e le forze governative e non è più qualificabile come un conflitto armato generatore di una diffusa ed indiscriminata violenza e, perciò, non integra una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona riguardo a tutti i soggetti abitanti nella regione in questione;

– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, per avere il tribunale escluso i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria in capo al ricorrente in quanto non avrebbe allegato fattori di oggettiva vulnerabilità;

-la censura appare generica e, pertanto, inammissibile;

– il ricorrente non indica quale condizione specifica di vulnerabilità sebbene allegata non sarebbe stata considerata dal tribunale, né indica elementi attestanti l’inserimento sociale e lavorativo ai fini riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari (cfr. Cass. 4455/2018);

– attesa dunque l’inammissibilità dei motivi, il ricorso va dichiarato inammissibile;

– in applicazione del principio della soccombenza parte ricorrente è condannata alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;

– ricorrono i presupposti per il doppio contributo ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente e liquidate in Euro 2100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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