LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14116/2020 proposto da:
L.S., rappresentato e difese dall’avv. MICHELE TORRE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente a debito –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO CAGLIARI SEZ. DIST. DI SASSARI, depositata il 04/03/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/12/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.
RITENUTO
che:
– la Corte d’appello di Cagliari ha accolto l’opposizione proposta dal Ministero della Giustizia contro l’ingiunzione chiesta e ottenuta da L.S. per il riconoscimento dell’equo indennizzo per l’eccessiva durata della procedura fallimentare nei confronti della Gestioni Commerciali s.r.l.;
– in tale procedura il L., già dipendente della società fallita, era stato ammesso al passivo per un credito di lavoro;
– la corte d’appello ha ridotto l’importo dell’ingiunzione nei limiti del credito residuo detratto quanto percepito dal lavoratore dal Fondo di Garanzia gestito dall’Inps: ha quindi ridotto il quantum, originariamente liquidato in Euro 3.902,14, a Euro 614,79, derivante appunto dalla detrazione della somma di Euro 3.625,26 pagata dall’Inps;
– la corte d’appello ha compensato per due terzi le spese di lite, poste a carico del Ministero per il terzo residuo;
– per la cassazione del decreto il L. ha proposto ricorso, affidato a sette motivi;
– il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso;
-il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
– il primo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che il provvedimento di ammissione al passivo fallimentare riconosceva interessi e rivalutazione, trattandosi di credito di lavoro, il che imponeva alla corte d’appello adita di stabilire, quale valore della domanda, la somma di Euro 7.551,00;
– il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che, al fine di determinare il parametro a cui ancorare la liquidazione dell’indennizzo, occorreva considerare, in aggiunta alla rivalutazione, l’incidenza degli interessi, da calcolarsi sul capitale annualmente rivalutato;
– il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo, costituito dal mancato riconoscimento degli interessi legali sulla somma capitale annualmente dovuta alla ricorrente;
– il quarto motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il contrasto irriducibile fra affermazioni inscindibili del medesimo provvedimento e quindi la sua nullità sotto il profilo della motivazione;
– l’affermazione, posta quale premessa del ragionamento della corte di merito, che la entità del credito oggetto del diritto presupposto costituisce il parametro massimo indennizzabile ex lege n. 89 del 2001, avrebbe dovuto indurre la stessa corte, una volta operata la corretta imputazione del pagamento eseguito dall’Inps, a determinare il credito nella somma capitale non soddisfatta, maggiorata degli interessi sino alla data del progetto di riparto;
– il quinto motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza perché, nel determinare l’aliunde perceptum, ha indicato un importo diverso e superiore rispetto a quello effettivo, quale risultante dal relativo tabulato Inps, e ciò a causa di un refuso commesso dal Ministero della Giustizia nel proprio atto introduttivo, poi trasfuso con un copia e incolla nel provvedimento impugnato;
– il sesto motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’errore di diritto commesso dalla corte d’appello, non essendo previsto da alcuna norma che l’aliunde perceptum operi nel senso di un’automatica e aritmetica riduzione dell’importo indennizzabile per la non ragionevole durata del processo;
– si evidenzia che, nel caso di specie, non c’erano stati né intervento, né surroga dell’Inps;
– nella procedura concorsuale l’attuale ricorrente è rimasta quale parte processuale sino alla chiusura del fallimento;
-il settimo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’errore incorso nella liquidazione delle spese di lite;
– la corte d’appello avrebbe dovuto assumere, quale parametro, il maggior valore della causa e applicare lo scaglione corrispondente;
– si denuncia, in ogni caso, anche a volere assumere lo scaglione di valore riferito all’importo erroneamente ridotto dal giudice di merito, che la corte d’appello era incorsa nella violazione dei minimi;
– il primo motivo è fondato e il suo accoglimento determina l’assorbimento dei restanti motivi;
– il limite posto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 3 (nel testo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2102), all’indennizzo per ingiusta durata del processo presuppone che il giudice dell’equa riparazione individui l’esatto valore della causa, del quale l’eventuale accertamento del diritto da parte del giudice a quo costituisce un dato oggettivo, a prescindere dalla soccombenza della parte istante nel processo presupposto (Cass. n. 25711/2015);
– in tema di equa riparazione per la durata irragionevole del processo, il limite quantitativo dell’indennizzo, previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 3, va determinato sulla base del valore della vicenda oggetto del giudizio presupposto, includendovi gli interessi liquidati nella pronuncia con cui tale giudizio sia stato definito (Cass. n. 7695/2019);
– è stato anche chiarito che in tema di equa riparazione, in caso di violazione del termine di ragionevole durata del processo di esecuzione, il valore della causa va identificato, in analogia con il disposto dell’art. 17 c.p.c., con quello del credito azionato con l’atto di pignoramento (Cass. n. 24362/2018);
– consegue da tali principi che la Corte d’appello, nel detrarre le somme percepite dal L. dal Fondo di Garanzia (ai fini dell’applicazione del principio che l’indennizzo non può eccedere il valore della causa) avrebbe dovuto considerare che il giudice delegato, in conformità alla natura del credito, aveva provveduto al riconoscimento della rivalutazione monetaria sino al deposito dello stato passivo e degli interessi legali da conteggiarsi sul ricavato della vendita dei beni gravati da privilegio (cfr. Cass. n. 19657/2017);
– la corte d’appello, invece, ha identificato il valore della “posta in gioco” (Cass. n. 2195/2009) con il valore nominale del credito ammesso;
– il decreto, pertanto, deve essere cassato in relazione al primo motivo e la causa rinviata alla Corte d’appello di Cagliari, in diversa composizione, che provvederà a nuovo esame attenendosi a quanto sopra e liquiderà le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo; dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa il decreto in relazione al motivo accolto; rinvia la causa alla Corte d’appello di Cagliari in diversa composizione anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021