LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17510-2019 proposto da:
P.R., elettivamente domiciliato in Roma, Via Dardanelli, 46, presso lo studio dell’avvocato Marina Petrolo, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Antonello Tomanelli;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI BOLOGNA, elettivamente domiciliato in Roma, Via Antonio Bertoloni 35, presso lo studio dell’avvocato Federico Cappella, rappresentato e difeso dagli avvocati Giulia Carestia, Antonella Trentini;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 20975/2018 del Tribunale di Bologna, depositata il 27/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/12/2020 dal Consigliere Annamaria Casadonte.
RILEVATO
che:
– il sig. P.R. impugna per cassazione la sentenza del Tribunale di Bologna con la quale in totale riforma della sentenza del Giudice di pace è stato accolto l’appello presentato dal Comune di Bologna e sono state confermate le ordinanze-ingiunzione emesse dal Comune appellante in relazione ai verbali di accertata violazione del Reg. comunale di polizia urbana, art. 15, comma 2, poiché il ricorrente, in qualità di titolare di pubblico esercizio di somministrazione di alimenti e bevande, non aveva adottato tutte le misure idonee a contenere il fenomeno del disturbo della quiete pubblica, arrecato dagli avventori che stazionando all’uscita dello stesso e nelle immediate vicinanze emettevano urla e schiamazzi;
– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta sulla base di due motivi, cui resiste il Comune di Bologna con controricorso;
– la relatrice ha formulato proposta ex art. 380 bis c.p.c., di rigetto del ricorso.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione delle norme a tutela della quiete pubblica e cioè l’art. 659 c.p., comma 1, il Reg. di polizia urbana del comune di Bologna, art. 15, comma 2, e art. 12, comma 1, lett. a);
– assume il ricorrente con riguardo al primo profilo che il tribunale bolognese aveva escluso che il ricorrente abbia esercitato il potere di controllo sulla clientela sulla scorta del richiamo a precedenti giurisprudenziali sull’art. 659 c.p., inconferenti;
– aggiunge il ricorrente che, con riguardo al Reg. di polizia urbana del Comune di Bologna, art. 15, comma 2, il comportamento posto in essere dal gestore dell’esercizio di somministrazione di cibo e bevande nei confronti degli avventori, al fine di evitare il disturbo, sarebbe conforme a quello previsto dalla disposizione richiamata;
– osserva ancora il ricorrente che l’interpretazione della normativa sostenuta dal tribunale finiva per imputare al gestore dell’esercizio di somministrazione di cibo e bevande la responsabilità per la condotta degli avventori e non la propria;
– la censura e’, sotto tutti i profili, inammissibile perché, sebbene formalmente articolata come violazione di legge, propone, in realtà, una diversa interpretazione delle circostanze valorizzate dal giudice d’appello;
– il tribunale ha, infatti, fondato l’accoglimento del gravame sulla ricostruzione del duplice obbligo sancito dal regolamento comunale di polizia a carico del gestore dell’esercizio commerciale e consistente nel sensibilizzare gli avventori e nello svolgere adeguata azione informativa all’interno ed all’esterno;
– alla luce di tale ricostruzione ha poi ritenuto che l’accertata esposizione di cartelli informativi all’esterno non fosse sufficiente ad assolvere all’obbligo in capo al gestore del pubblico esercizio di adottare tutte le misure idonee a contenere il disturbo della quiete e che neppure l’eventuale presenza di collaboratori con funzione di controllo, ove provata, diversamente dal caso de quo in cui tale prova non era stata raggiunta, fosse sufficiente, richiedendo, al fine di escludere la responsabilità del titolare, comportamenti quali l’aver chiamato le Forze dell’Ordine e l’essersi avvalso dello ius excludendi nei confronti dei clienti che non si attengono alla condotta richiesta dalla tutela della pubblica quiete alle ore 00.55 del 17/3/2016, alle ore 00,20 del 10/4/2016 ed alle ore 00,30 del 19/5/2016 in cui i tre separati verbali erano stati elevati;
– l’interpretazione dell’obbligo posto a carico del gestore dell’esercente così ricostruita dal giudice di appello non appare contraria a principi di diritto, che peraltro, il ricorrente non ha indicato e la censura mira a contestarla senza specificare quale errore di diritto avrebbe commesso il giudice nella sentenza impugnata, finendo per attingere, come già anticipato, l’apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito;
– con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;
– ad avviso del ricorrente, il provvedimento impugnato avrebbe configurato la responsabilità del sig. P. senza considerare che egli aveva incaricato alcuni suoi collaboratori di svolgere i controlli per evitare i comportamenti dei clienti lesivi della quiete pubblica;
– la censura è inammissibile perché non considera la ratio decidendi atteso che il giudice d’appello ha affermato che la suddetta circostanza non era provata e che, ove anche confermata, la stessa non era decisiva aì finì di escludere la responsabilità del ricorrente, non risultando né la chiamata, da parte del P. delle Forze dell’Ordine, né lo ius excludendi nei confronti degli avventori irrispettosi della pubblica quiete;
– in definitiva ed avuto riguardo all’inammissibilità di entrambi i motivi, il ricorso è inammissibile e, in applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese di lite a favore del Comune controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;
– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente e liquidate in Euro 510,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del Sesta sezione civile-2, il 9 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021