Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.21101 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32151-2019 proposto da:

D.F.N., quale erede di D.F.R. e V.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato DUCCIO COTTINI;

– ricorrente –

contro

A.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1771/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 19/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 13/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Siena, con sentenza n. 222/2011, dichiarava risolto il contratto preliminare di vendita concluso tra D.F.R. e V.E. – promittenti venditori – e A.S. -promissario acquirente – per causa non imputabile alle parti dovuta al venir meno dell’evento presupposto – ossia la concessione in sanatoria della scala esterna di accesso all’appartamento promesso – e, per l’effetto, condannava i coniugi D.F. a restituire ad A. la caparra confirmatoria da quest’ultimo versata, oltre gli interessi legali. In virtù dell’impugnazione interposta dai coniugi D.F. – V., la Corte di appello di Firenze, nella resistenza dell’appellato, con sentenza n. 1771/2019, rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata, ritenendo che le parti necessitavano di ridefinire i termini dell’accordo perché incompatibili con le condizioni poste dal provvedimento rilasciato.

Avverso la sentenza della Corte di appello, D.F.N., in qualità di erede dei coniugi D.F. – V., propone ricorso per cassazione fondato su quattro motivi.

L’ A. è rimasto intimato.

Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata al difensore della parte ricorrente, il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha anche curato il deposito di memoria illustrativa.

ATTESO che:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1372 e 1453 – 1469 c.c.. Secondo il D.F. il giudice di appello, dichiarando la risoluzione del contratto preliminare per “causa non imputabile alle parti”, avrebbe non solo abusato di una definizione generica e superficiale, ma anche violato le regole previste dal Codice Civile concernenti le cause di scioglimento del contratto. Precisa il ricorrente che il riferimento ad una causa terza – “causa non imputabile alle parti” – non sarebbe idoneo a determinare la risoluzione del contratto, non trovando alcun riscontro normativo.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la nullità della sentenza o del procedimento in violazione dell’art. 132 c.p.c.. Ad avviso dello stesso la sentenza impugnata sarebbe totalmente priva di una motivazione logico/giuridica considerato il generico riferimento ad uno scioglimento del contratto “per causa non imputabile alle parti” non meglio definita dal giudice di merito. Quanto esposto comporterebbe, secondo il ricorrente, la totale insussistenza delle ragioni di diritto della decisione imposte dall’art. 132 c.p.c., rilevanti anche ai fini della nullità della sentenza.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1467 c.c., per errata applicazione della figura della presupposizione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, nonché la nullità della sentenza per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Secondo il ricorrente le parti del giudizio non avrebbero mai fatto alcun riferimento – nelle proprie domande, eccezioni o difese – al tema della presupposizione, né tantomeno all’istituto dell’impossibilità sopravvenuta, per tale ragione il giudice di appello avrebbe violato il principio della corrispondenza tra chiesto e giudicato, rilevando d’ufficio un’eccezione in senso proprio che il ricorrente ritiene essere rinvenuta nella presupposizione.

In secondo luogo, il ricorrente lamenta la mancata indicazione nella sentenza di secondo grado dei presupposti di merito necessari per poter pronunciare lo scioglimento del contratto per venir meno dell’evento presupposto.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1490,1492 e 1497 c.c.. Ad avviso del ricorrente la diversità parziale del bene promesso in vendita accertata dal giudice di merito – non costituirebbe un elemento essenziale dell’accordo o una qualità irrinunciabile, pertanto il giudice di appello avrebbe dovuto far conseguire alle deduzioni svolte l’applicazione degli artt. 1490,1492 e 1497 c.c., e, di conseguenza, affermare che l’unico diritto del promissario acquirente sarebbe stato quello di ottenere la riduzione del prezzo del bene promesso.

I motivi di ricorso, che meritano di essere trattati congiuntamente per la loro stretta connessione argomentativa, sono infondati.

Occorre in primo luogo precisare che secondo la giurisprudenza di questa Corte, qualora l’oggetto di un contratto preliminare sia un immobile affetto da irregolarità urbanistiche, il carattere abusivo dello stesso deve risultare nel contratto e deve essere accettato dal promissario acquirente, considerando che un immobile in tale situazione, sebbene commerciabile, è pur sempre esposto al grave rischio del rigetto della richiesta di concessione in sanatoria da parte della autorità amministrativa (Cfr. Cass. n. 1501/1999).

Nel caso di specie, era pacifico tra le parti che il reale stato di fatto del bene promesso era costituito anche da opere abusive – quali il locale di sgombero adibito a camera con bagno e la scala esterna di accesso a quest’ultimo – ragion per la quale D.F., promittente venditore, si era (correttamente) impegnato a chiedere il condono per dette opere, in modo da poter stipulare il contratto definitivo una volta ottenuta la regolarità urbanistica necessaria dell’immobile medesimo.

A sua volta A., promissario acquirente, aveva manifestato il proprio consenso in sede di conclusione dell’accordo nel senso che l’oggetto del preliminare di vendita doveva ricomprendere anche l’accesso all’esterno locale di sgombero ancora da condonare.

Ebbene, considerando le volontà manifestate da entrambi i contraenti, il giudice di merito ha dichiarato la risoluzione del contratto preliminare per causa non imputabile alle parti, non potendo essere ritenuti inadempienti né i promittenti venditori che – si ribadisce – avevano esternato l’irregolarità dell’immobile e si erano altresì attivati per ottenere la relativa concessione in sanatoria; né tantomeno il promissario acquirente che non aveva alcun onere al riguardo e che, per giunta, aveva versato la somma di Euro 142.000,00 a titolo di caparra confirmatoria, a fronte di corrispettivo complessivo di Euro 242.000,00, da convertirsi in conto del prezzo pattuito al momento della stipula del rogito.

In altri termini, la Corte distrettuale ha scrutinato le condotte dei contraenti alla luce del regolamento autonomo del contratto in base alle ordinarie regole di ermeneutica negoziale, e pur rilevando che nessuna delle parti poteva essere ritenuta inadempiente per essersi il promittente venditore adoperato affinché l’amministrazione adottasse il provvedimento promesso per la realizzazione integrale dell’accordo convenzionale, tuttavia lo stesso non si era compiuto per fatti estranei alle parti, sicché, qualora nonostante l’esatto adempimento dell’obbligazione di “facere”, il promissario non abbia ottenuto il risultato sperato a causa del rifiuto del terzo, diviene impossibile procedere alla stipula del contratto definitivo (v. in tal senso Cass. n. 24853 del 2014; Cass. n. 13105 del 2004 secondo cui diverrebbe attuale l’altra obbligazione di “dare”, in virtù della quale il promittente sarà tenuto a dare l’indennizzo, che seppure orientamento riferito alla diversa fattispecie della promessa del fatto del terzo, ex art. 1381 c.c., condivide con l’ipotesi in esame la circostanza che la realizzazione del programma negoziale prevedeva necessariamente il provvedimento del terzo, l’Amministrazione, nei termini pattuiti).

Nel caso in esame lo stesso ricorrente qualifica la natura giuridica dell’impegno assunto nei confronti dell’ A. come promessa dell’obbligazione di sanare l’immobile nei termini pattuiti, e sulla base di tale ricostruzione, avendo il giudice di merito osservato che la concessione in sanatoria era stata rilasciata dal Comune di Sovicille a condizione che venisse eliminata la scala esterna e realizzata una interna, con la conseguenza che veniva a mutare lo stato di fatto dei luoghi descritto nel preliminare, con la sottrazione all’immobile promesso di superficie utile, ha giustamente ritenuto di non poter accettare alla pronuncia di sentenza che tenesse del contratto definitivo di vendita, risultando un bene in parte diverso e di minor pregio rispetto a quello contemplato nell’accordo preliminare, oltre a comportare la realizzazione della scala interna dei costi maggiori rispetto alla conservazione della preesistente scala esterna.

In definitiva, si comprende l’iter logico seguito dal giudice di secondo grado nel respingere l’appello, a fronte della necessità di ridefinire fra le parti i termini dell’accordo perché incompatibile con le condizioni contenute nella sanatoria rilasciata.

Poste tali premesse, è evidente che il caso di specie non integra gli estremi della presupposizione – come erroneamente sostenuto dal ricorrente nel ricorso – né quella degli inadempimenti reciproci, come sostenuto nella memoria, giacché la mancata realizzazione del regolamento negoziale senza responsabilità di alcuna delle parti legittima la risoluzione del contratto ed è proprio quello che è accaduto nella caso in esame, stante il diniego dell’autorità amministrativa di sanare l’immobile nei termini di cui al contratto preliminare.

In conclusione il ricorso deve essere respinto.

Nessuna pronuncia sulle spese processuali in difetto di difese da parte della intimata.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 1,3 comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-2" Sezione Civile, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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