Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.21124 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31475-2018 proposto da:

SOCIETA’ AGENZIA MARITTIMA EUROPA SRL IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PO 45, presso lo studio dell’avvocato ANNA CHIARA FORTE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI MONTANELLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6618/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/03/2021 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

RILEVATO

che:

Società Agenzia Marittima Europea s.r.l. convenne in giudizio l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato e l’Agenzia delle Dogane innanzi al Tribunale di Roma chiedendo la condanna in solido al pagamento delle somme di Euro 74.679,66, Euro 34.968,24, Euro 13.932,45, Euro 52.525,74 e Euro 240.766,34, oltre accessori, a titolo di custodia ed incarico altresì di agente marittimo raccomandatario per il periodo di giorni 408 in relazione alla motonave “*****” sequestrata per contrabbando di tabacchi lavorati esteri. Il Tribunale adito rigettò la domanda. Avverso detta sentenza propose appello l’originaria attrice.

Con sentenza non definitiva di data 13 aprile 2016 la Corte d’appello di Roma rigettò la domanda relativa ai compensi richiesti quale raccomandatario marittimo. Osservò la corte territoriale che “si rileva che da un lato non v’e’ prova del conferimento del relativo incarico, dall’altro l’effettiva necessità di tale attività. Nulla è dovuto per l’attività svolta quale raccomandatario, trattandosi di attività che avrebbe potuto essere svolta direttamente dal custode e che, semmai, avrebbe dovuto essere autorizzata”. Aggiunse che, come precisato da Cass. n. 18491 del 2006, il contratto di raccomandazione marittima integrava un’ipotesi di mandato con rappresentanza. L’appellante propose riserva di impugnazione della sentenza.

A seguito di CTU, con sentenza di data 18 ottobre 2017 la Corte d’appello rigettò l’appello. Osservò la corte territoriale, con riferimento ai costi per il personale di bordo ingaggiato, che a fronte di una richiesta di Lire 723.360.000 il CTU aveva riscontrato, mediante gli atti di quietanza dei marinai, Lire 441.600.000, mentre era stato liquidato l’importo autorizzato di Lire 588.120.000, da cui l’istanza di restituzione da parte dell’AAMS della somma di Lire 146.520.000, non corrisposta ai marinai. Aggiunse, quanto ai compensi per diritti di agenzia come raccomandatario marittimo, che “sulla questione si è formato il giudicato interno in virtù della sentenza non definitiva” e, quanto ai costi per vitto e servizi, che erano riconoscibili gli importi di Lire 37.600.000 per vitto e di Lire 73.440.000 per indennità di custodia in quanto non contestati. Concluse che “non vi è prova di un maggior credito rispetto a quanto liquidato ante causam dall’Amministrazione”.

Ha proposto ricorso per cassazione Società Agenzia Marittima Europea s.r.l. in liquidazione contro entrambe le sentenze sulla base di quattro motivi e resiste con controricorso Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. Il pubblico ministero ha depositato le conclusioni scritte. E’ stata presentata memoria.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 2697 c.c., L. n. 135 del 1977, artt. 2 e 4 nonché omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la parte ricorrente, in relazione alla sentenza di data 13 aprile 2016, che la corte territoriale ha omesso di esaminare i fatti, rappresentati da una molteplicità di documenti, dai quali emergeva lo svolgimento delle attività corrispondenti a quelle di cui alla L. n. 135 del 1977, artt. 2 e 4 (“disciplina della professione di raccomandatario marittimo”). Aggiunge che per lo svolgimento di tali attività è per legge indispensabile il raccomandatario marittimo e non possono essere eseguite da un mero custode che non abbia tale qualifica professionale.

Il motivo è inammissibile. Al di là del richiamo in rubrica alla violazione di norme di diritto, la censura verte esclusivamente sul vizio motivazionale, in relazione al quale, benché vi sia indicazione dei documenti da cui risulterebbero i fatti il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di merito, secondo l’assunto della ricorrente, non risulta specificatamente indicato se trattasi di circostanze documentali ritualmente indicate in appello e se dunque abbiano costituito materia del giudizio di impugnazione. In ogni caso la ratio decidendi della sentenza impugnata è non solo nel senso della mancanza di prova, ma anche nel senso che “nulla è dovuto per l’attività svolta quale raccomandatario, trattandosi di attività che avrebbe potuto essere svolta direttamente dal custode”. Quest’ultima ratio non risulta idoneamente impugnata con il motivo in esame.

A sostegno della decisività dei fatti elencati nel motivo, la ricorrente afferma che le attività di cui alla L. n. 135 del 1977, artt. 2 e 4 non possono che essere eseguite da un soggetto che abbia la qualifica professionale di raccomandatario marittimo. Il giudice di merito non a caso ha però richiamato Cass. n. 18491 del 2006 a proposito della qualifica del contratto di raccomandazione marittima come ipotesi di mandato con rappresentanza. L’agire in nome e per conto di altro soggetto comporta che quest’ultimo abbia la facoltà di compiere gli atti compiuti dal rappresentato. Custode e raccomandatario, nel caso di specie, coincidono sicché, ha inteso affermare il giudice di merito, non si comprende quale avrebbe potuto essere il senso di un contratto di raccomandazione marittima a fronte di un soggetto, il custode, che poteva svolgere direttamente le attività in discorso, senza necessità di acquisire anche l’investitura di raccomandatario. Tale ratio decidendi non è incisa dal rilievo che per svolgere le attività in questione era necessaria una determinata “qualifica professionale”. Trattandosi del medesimo soggetto, anche la qualità di custode, secondo il giudice di merito, era sufficiente per svolgere quanto, secondo invece la ricorrente, richiedeva il conferimento dell’incarico di raccomandatario. Permanendo, all’esito della censura proposta, la ratio decidendi evidenziata, i fatti richiamati sono privi di decisività.

Con il secondo motivo, diretto contro la seconda decisione, si denuncia violazione degli artt. 2697,2727,2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente, con riferimento ai costi per il personale di bordo, che erroneamente il giudice di merito ha valutato solo le quietanze sottoscritte dai lavoratori e non anche la presunzione desumibile dal fatto noto dei 408 giorni nei quali è stata svolta l’attività lavorativa, secondo quanto risultava in modo incontroverso, e cioè che per tali giorni di lavoro era dovuta la retribuzione sulla base delle disposizioni inderogabili del c.c.n.l..

Il motivo è inammissibile. In materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass. 19 giugno 2016, n. 11892 ed altre conformi). Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892, ribadita in motivazione da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016, oltre che da numerose conformi).

Resta inoltre fermo che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (fra le tante Cass. 16 giugno 2014, n. 13485).

E’ appena il caso di aggiungere, ove si intenda ravvisare nella censura una denuncia di mancata applicazione dell’art. 2729 c.c., che il mero fatto dei giorni di durata della custodia non è qualificabile sotto i tre caratteri identificativi della presunzione (gravità, precisione e concordanza). In violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. la ricorrente non ha specificato il luogo processuale dal quale risulterebbe la non contestazione del fatto che per tutti i 408 giorni di custodia i marinai avrebbero prestato attività lavorativa. Resta dunque il mero fatto dei giorni di custodia, il quale non ha in astratto le caratteristiche per costituire la premessa di un’inferenza presuntiva ai sensi dell’art. 2729 c.c. (cfr. Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018, in motivazione non massimata – paragrafi 4 e ss.) Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 327 e dell’art. 361 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che, stante la riserva di impugnazione, erroneo è il rilievo, contenuto nella sentenza di data 18 ottobre 2017, di esistenza del giudicato interno circa i diritti di agenzia come raccomandatario marittimo.

Il motivo è infondato. La corte territoriale ha inteso soltanto dire che, avendo pronunciato con la prima sentenza, non poteva ovviamente pronunciare sulla domanda da essa decisa quanto alla raccomandazione.

Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 1241 e 1242 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale ha compensato d’ufficio il credito per Lire 37.600.000 e per Lire 73.440.000 con il debito ritenuto di Lire 137.160.000, in mancanza quindi dell’eccezione di compensazione da parte dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

Il motivo è infondato. Quando tra due soggetti i rispettivi debiti e crediti hanno origine da un unico – ancorché complesso – rapporto, non vi è luogo ad una ipotesi di compensazione “propria”, bensì ad un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, cui il giudice può procedere senza che siano necessarie l’eccezione di parte o la domanda riconvenzionale; tale accertamento, che si sostanzia in una compensazione “impropria”, pur producendo risultati analoghi a quelli della compensazione “propria”, non è sottoposto alla relativa disciplina tipica, sia processuale sia sostanziale (fra le tante da ultimo Cass. 19 febbraio 2019, n. 4825).

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 – quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito e gli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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