Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.21148 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3421-2019 proposto da:

D.G.N., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati MARCO SANVITALE, ROCCO DRAGANI;

– ricorrente –

Contro

D.G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MICHELE MERCATO 38, presso lo studio dell’avvocato MARCO DI CENCIO, rappresentato e difeso dall’avvocato PEPPINO POLIDORI;

– controricorrente –

contro

C.M., C.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1128/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 13/06/2018.

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 6 dicembre 2006, D.G.N. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Chieti, Sezione distaccata di Ortona, D.G.G., C.M. e C.A. deducendo di essere proprietario di un terreno agricolo sul quale insisteva un immobile diroccato e che tale stabile, in data 31 agosto 2005, era stato illegittimamente demolito dai convenuti che si erano introdotti nel fondo clandestinamente. Per tale motivo chiedeva la condanna degli stessi al risarcimento dei danni. Si costituivano i convenuti contestando la domanda e rilevando che nel terreno dell’attore esistevano un cumulo di macerie e detriti residui di un vecchio manufatto demolito da tempo. Aggiungevano che, a causa delle precarie condizioni igieniche del fondo dell’attore, era stato chiesto al proprietario di pulire il terreno o, quantomeno, di consentire a D.G.G. di farlo direttamente. Questi, era stato autorizzato ad eseguire le opere di sistemazione del fondo, incaricando i convenuti C.M. e C.A., i quali avevano fatto uso di una piccola ruspa;

il Tribunale di Chieti, Sezione distaccata di Ortona, con sentenza del 14 marzo 2012 rigettava la domanda con condanna dell’attore al pagamento delle spese. Secondo il Tribunale i testi escussi non erano credibili perché, dopo l’esecuzione, nell’anno 2005, da parte dell’attore di una serie di interventi richiesti dal Comune, tra cui la rimozione delle macerie e della residua struttura muraria, non vi era la prova che lo stato dei luoghi raffigurato nella foto scattata nell’anno 2003 fosse ancora quello indicato in citazione;

avverso tale decisione proponeva appello D.G.N., lamentando l’errata valutazione del materiale probatorio. Si costituiva D.G.G., eccependo, preliminarmente, l’inammissibilità del gravame ai sensi dell’art. 342 c.p.c. e, nel merito, l’infondatezza perché dalla risultanze processuali era emerso che era stato proprio l’attore a rimuovere i resti del fabbricato diroccato, ottemperando alle ordinanze del Sindaco del Comune;

la Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza del 13 giugno 2018, rigettava l’impugnazione condannando D.G.N. al pagamento delle spese di lite;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione D.G.N. affidandosi ad un motivo illustrato con memoria. D.G.G. resiste con controricorso. Le altre parti intimate non svolgono attività processuale in questa sede.

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c, n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 116 e 232 c.p.c., in relazione alla valutazione delle prove espletate e al riparto dell’onere della prova. In particolare, le dichiarazioni rese dai testi escussi sarebbero chiare e precise nell’individuare la condotta dei convenuti e nel riferirla alla data del 31 agosto 2005. Inoltre, il primo teste, G.G., sarebbe indifferente e quindi attendibile. Infine, ulteriori elementi emergerebbero dal mancato interrogatorio formale con gli effetti previsti dall’art. 232 c.p.c. oltre che dalla documentazione fotografica e dal contenuto della consulenza tecnica d’ufficio;

il motivo è inammissibile perché si traduce in una richiesta di rivalutazione dell’intero materiale probatorio, che è attività di esclusiva competenza del giudice di merito, il quale, con una argomentazione ragionevole, ha esaminato tutti i profili evidenziati dal ricorrente. Si tratta di valutazioni non sindacabili in questa sede;

con riferimento alla prova testimoniale, il giudice di appello ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni dei testi perché buona parte di essi sarebbero parenti del ricorrente e tale circostanza non è contestata in questa sede, giacché l’unica precisazione di senso contrario riguarda la posizione del teste G.G., mentre alcuna differente specificazione riguarda le dichiarazioni testimoniali trascritte e riferite ai testimoni D.G.F., D.G.L.F. e L.G., moglie del ricorrente;

anche la questione relativa alla mancata risposta all’interrogatorio è stata esaminata e il ricorrente non si confronta in alcun modo con le argomentazioni della Corte territoriale. Mentre il riferimento alla prova documentale ed alla consulenza tecnica d’ufficio è dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, omettendo di trascrivere, allegare e localizzare all’interno del fascicolo di legittimità i documenti richiamati che, peraltro, sono stati puntualmente esaminati dal giudice di secondo grado;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 1400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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