LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 35572-2019 proposto da:
MARINA DI CERVIA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO BIGARI;
– ricorrente –
Contro
COMUNE di CERVIA (RA), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 30, presso lo studio del Dott. ALFREDO PLACIDI, rappresentato e difeso dagli avvocati GIACOMO GRAZIOSI, BENEDETTO GRAZIOSI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 370/2019 del TRIBUNALE di RAVENNA, depositata il 09/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 13/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FALASCHI MILENA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Tribunale di Ravenna dichiarava inammissibile l’appello contro la sentenza del giudice di pace che aveva rigettato l’opposizione proposta da Marina di Cervia s.r.l. contro la sanzione amministrativa irrogata dal Comune di Cervia, perché proposto oltre il decorso del termine di sei mesi previsto dall’art. 327 c.p.c., comma 2, nel testo risultante dal combinato disposto con il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, comma 4, per essere stata la citazione in appello depositata il 07.06.2018 a fronte delle motivazioni della sentenza di primo grado avvenuto il 28.11.2018.
Per la cassazione della sentenza Italmedia s.r.l. ha proposto ricorso affidato a un unico motivo, con il quale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si censura tale specifico contenuto della decisione.
Il Comune di Cervia è rimasto intimato.
Ritenuto che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata al difensore della parte ricorrente, il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di Consiglio.
Atteso che:
con l’unico motivo la società la violazione o la falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 2, art. 4, comma 5, e art. 6, nonché degli art. 433 e 434 c.p.c. per avere il giudice del gravame ritenuto non applicabile al giudizio in materia di sanzioni amministrative la possibilità di conversione sanatoria a norma del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4.
Il motivo è priva di pregio per essere la statuizione del Tribunale conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte.
Infatti è stato affermato il principio secondo cui il giudizio di opposizione a verbale di accertamento di violazione di norme del C.d.S., instaurato successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, è soggetto al rito del lavoro, sicché l’appello avverso la sentenza di primo grado, da proporsi con ricorso, è inammissibile ove l’atto sia stato depositato in cancelleria (oltre il termine di decadenza di trenta giorni dalla notifica della sentenza o, in caso di mancata notifica) oltre il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., senza che incida a tal fine che l’appello sia stato irritualmente proposto con citazione, assumendo comunque rilievo solo la data di deposito di quest’ultima (Cass. 11 dicembre 2015 n. 25061).
Pertanto, è irrilevante la data in cui l’atto di citazione in appello è stato avviato alla notifica, occorrendo avere riguardo, esclusivamente, alla data di deposito di tale atto, nella specie pacificamente avvenuto il 7 giugno 2018, una volta scaduto il termine lungo di sei mesi decorrente dal 28 novembre 2017;
Si tratta di un orientamento costante nella giurisprudenza di questa Corte, essendosi affermato: (a) per un verso, che nelle controversie soggette al rito del lavoro, l’inammissibilità dell’impugnazione, perché depositata in cancelleria oltre il termine di decadenza, non trova deroga nell’ipotesi in cui l’appello sia stato irritualmente proposto con citazione anziché con ricorso, laddove l’atto, pur suscettibile di sanatoria ai sensi dell’art. 156 c.p.c., u.c., non venga depositato entro il termine per proporre impugnazione (Cass. 10 luglio 2015 n. 14401); (b) per l’altro verso, che, in forza del D.Lgs. n. 150 del 2011, ai giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione e a quelli di opposizione a verbali di accertamento di violazioni del C.d.S., introdotti dopo il 6 ottobre 2011, si applica il rito del lavoro, e in particolare l’art. 434 c.p.c., sicché, in detti giudizi, l’appello deve essere proposto in forma di ricorso, con le modalità e nei termini ivi previsti, e ai fini della tempestività del gravame vale la data di deposito dell’atto introduttivo (Cass. 7 novembre 2016 n. 22564).
D’altra parte, come già affermato da Cass. n. 19298 del 2017, la decadenza maturata a carico dell’appellante non può essere superata disponendo la conversione del rito, introdotto con citazione invece che con ricorso, e facendo conseguentemente applicazione, in grado di appello, del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, comma 5, che per il caso di mutamento del rito prevede che “gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento”.
Tale norma non può trovare qui applicazione, essendo riferita – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. 6 luglio 2016 n. 13815; Cass. 16 febbraio 2017 n. 4103; Cass. 12 maggio 2017 n. 11937; Cass. 16 maggio 2017 n. 12133) – al solo mutamento del rito disposto in primo grado, non già in grado di appello.
Invero – come già è stato chiarito da Cass. n. 17192 del 2016 – l’art. 4 dispone la salvezza degli effetti processuali della domanda secondo le norme del rito seguito prima del mutamento nel contesto di una disposizione che prevede, al comma 2, che la conversione del rito venga pronunciata “non oltre la prima udienza di comparizione delle parti”: la norma in esame riguarda il solo caso in cui il giudizio sia stato erroneamente instaurato in primo grado secondo un rito difforme da quello previsto dalla legge, e non può quindi essere estesa all’ipotesi in cui l’errore sia caduto sulle modalità di proposizione dell’appello, essendosi correttamente svolto il primo grado nelle forme prescritte.
In conclusione il Collegio reputa che il ricorso sia inammissibile per essere la pronuncia impugnata conforme ai principi affermati da questa Corte.
Le spese processuali di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore del Comune controricorrente che vengono liquidate in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori previsti come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 13 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021
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