LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 22251-2016 proposto da:
R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI DARDANELLI 23, presso lo studio dell’avvocato MATTEO ADDUCI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIACOMO FRANCESCO SACCOMANNO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
Contro
IMINVEST SAS, rappresentata e difesa dall’avvocato DOMENICO SORACE, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 242/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 22/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/06/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le conclusioni scritte del PUBBLICO MINISTERO, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. CERONI FRANCESCA, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso;
Lette le memorie depositate dalle parti.
RAGIONI IN FATTO DELLA DECISIONE Con citazione del 24 novembre 1999, la CISI S.r.l. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia la Iminvest S.a.s. al fine di sentire dichiarare la risoluzione del preliminare dell’8 gennaio 1999 per il grave inadempimento della convenuta, che, quale promissaria acquirente, non aveva provveduto alla stipula del definitivo nel termine di sei mesi concesso anche per il perfezionamento di un mutuo ipotecario.
Si costituiva la convenuta che in via riconvenzionale chiedeva la risoluzione del contratto per colpa dell’attrice in quanto non le aveva messo a disposizione gli atti necessari per la stipula del mutuo e della stessa vendita.
Il Tribunale adito, con la sentenza n. 371/2006, affermò la grave responsabilità dell’attrice che, quale unico soggetto legittimato a richiedere il certificato di agibilità del bene, aveva omesso di dimostrarne l’esistenza, e per l’effetto dichiarò la risoluzione del contratto, condannando l’attrice al versamento del doppio della caparra confirmatoria, al netto dei canoni mensili dovuti dalla convenuta per effetto del godimento del bene.
La Corte d’Appello di Catanzaro, con la sentenza n. 1039 del 14 ottobre 2001, in riforma della decisione di primo grado, ritenne fondato l’appello incidentale dell’attrice, e stante la produzione in appello del certificato di abitabilità, redatto 11 mesi prima della stipula del preliminare, ma consegnato solo nel marzo del 2007, addebitò alla convenuta la mancata conclusione del definitivo, in quanto si era indebitamente sottratta agli obblighi scaturenti dal preliminare, adducendo un inesistente inadempimento della controparte.
Per l’effetto, assorbito l’appello principale quanto al riconoscimento degli interessi e della rivalutazione sulla somma dovuta a titolo di caparra, accolse il secondo motivo dell’appello principale della convenuta, quanto alla condanna al pagamento dell’indennità di occupazione, per la violazione dell’art. 112 c.p.c.
Avverso tale sentenza propose ricorso per cassazione la Iminvest, cui resistette la società attrice.
Questa Corte, con ordinanza n. 21071/2014, ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata rinviando ad altra sezione della Corte d’Appello di Catanzaro.
Riassunto il giudizio da Iminvest, il giudice del rinvio, con la sentenza n. 242 del 22 febbraio 2016, in parziale accoglimento dell’appello principale a suo tempo proposto dalla stessa Iminvest, ha riconosciuto gli interessi legali sulla somma dovuta a titolo di restituzione del doppio della caparra confirmatoria ed ha confermato per il resto la sentenza del Tribunale, condannando la CISI al rimborso delle spese di lite.
La sentenza, dopo aver ribadito la preclusione al riesame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto affermato dal giudice di legittimità, riteneva non più suscettibile di riesame la questione concernente l’ammissibilità della produzione documentale effettuata in appello dalla società attrice, avendo la stessa Corte di Cassazione ritenuto che si trattasse di documentazione non utilizzabile.
Non poteva quindi reputarsi consentita al giudice del rinvio la rivalutazione della ammissibilità e della rilevanza della documentazione prodotta nel giudizio di appello, il che quindi escludeva che potesse tenersi conto del documento sul quale invece si fondava la sentenza poi cassata.
Infatti, la Suprema Corte aveva evidenziato che era specifico onere dell’attrice procurare il certificato di abitabilità e che la stessa era nelle condizioni di produrlo, avendone in precedenza curato la consegna ad un professionista di sua fiducia.
Per l’effetto doveva essere confermata la risoluzione del contratto per inadempimento della promittente venditrice.
Ancora, in assenza di impugnazione da parte della stessa attrice, non era più in discussione il diritto della parte a ricevere un indennizzo per il godimento dei beni da parte della promissaria acquirente, e pertanto, confermata la debenza del doppio della caparra, risultava fondato il motivo di appello principale con il quale si chiedeva il riconoscimento dei soli interessi legali a far data dalla consegna della somma fino al soddisfo, non potendo invece trovare accoglimento la richiesta di riconoscimento della rivalutazione monetaria o del maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione R.A., quale unico socio della disciolta CISI S.r.l. sulla base di due motivi.
La società intimata resiste con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Il ricorso è stato quindi esaminato in camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, secondo la disciplina dettata dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176.
RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Il primo motivo di ricorso denuncia l’illegittimità e la nullità della sentenza per palese e/o falsa applicazione delle norme di legge, per error in procedendo e/o iudicando, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, omessa motivazione ed esame di circostanze decisive per il giudizio che sono state oggetto di discussione tra le parti in relazione agli artt. 112,115,116,345,383 e 384 c.p.c. e art. 2697 c.c.
Si deduce che a seguito della ordinanza di questa Corte, che aveva cassato la sentenza di appello, poiché la cassazione era stata determinata dal vizio di contraddittoria o insufficiente motivazione, la Corte di merito in sede di rinvio avrebbe dovuto riesaminare anche la rilevanza ed indispensabilità della documentazione prodotta nel precedente giudizio di appello, senza poter invece affermare che la produzione fosse ormai definitivamente preclusa.
Ciò ha determinato la violazione delle regole processuali indicate nella rubrica del motivo essendo mancata una rinnovata valutazione circa l’indispensabilità della prova documentale. Al contrario la società attrice, in sede di rinvio, aveva adeguatamente valorizzato le ragioni da rivalutare ai fini del giudizio di indispensabilità della documentazione, sottolineando ancora una volta che il documento era acquisibile anche dalla controparte e che era stato in ogni caso posto a disposizione di un notaio, al quale si sarebbe potuta agevolmente rivolgere Iminvest.
Il motivo è fondato.
Appare a tal fine opportuno riportare il contenuto della motivazione dell’ordinanza di questa Corte n. 21071/2014:
“RELAZIONE EX ART. 380 bis in rel. Art. 375 c.p.c. nel procedimento vertente tra IMINVEST S.a.s (ricorrente) contro CISI S.r.l.
(intimata non costituita), avente ad oggetto il ricorso avverso la sentenza n. 1039 del 4/14-10.2011 della Corte d’Appello di Catanzaro.
La controversia, instaurata dalla CISI s.r.l., promittente venditrice, con citazione del 24.11.99, attiene ad un contratto preliminare di compravendita immobiliare concluso con la IMINVEST s.a.s in data 8.1.1999, cui non aveva fatto seguito quello definitivo entro il previsto semestre, la cui mancata stipula le parti si addebitarono reciprocamente, nelle rispettive domande, principale e riconvenzionale, la prima ascrivendone la responsabilità alla seconda per non aver pagato il saldo del prezzo e per essersi pretestuosamente sottratta alla stipulazione traslativa, la seconda deducendo la legittimità del proprio rifiuto, per non esserle stata consegnata, nonostante le reiterate e documentate richieste, la documentazione come previsto in contratto, segnatamente il certificato di agibilità dell’immobile (un locale commerciale con annessi terreno e garage in Vibo Valentia), indispensabile per il conseguimento di un mutuo bancario ipotecario.
Il Tribunale di Vibo Valentia con la sentenza n. 371/2006, aveva accolto, anche sulla scorta delle risultanze di prova orale, la tesi della convenuta ma tale decisione veniva ribaltata dalla Corte di Catanzaro con la sentenza n. 1039/2011, valorizzando la produzione, avvenuta in quel grado, del certificato di “agibilità” (di semplice “abitabilità, secondo la ricorrente), che risultava rilasciato fin dal 5.2.1998, e che un notaio di fiducia della promittente venditrice aveva alla medesima (o, meglio, al suo avvocato costituito in giudizio) spedito in data (come da timbro postale) 15.3.2007, in pendenza del giudizio di appello.
Secondo la corte territoriale detta circostanza provava l’impossibilità da parte della attrice appellante, di produrre in primo grado quel documento (in quanto trattenuto dal professionista), indispensabile ai fini della decisione, la cui esistenza e, peraltro, agevole reperibilità in copia presso il pubblico ufficio che l’aveva rilasciato, fin da epoca anteriore a quella della prevista stipula del definitivo ed, addirittura, dello stesso contratto preliminare, escludeva l’inadempienza della promittente venditrice, comportando per converso quella della controparte.
Il ricorso proposto da IMINVEST s.a.s. sulla base di quattro motivi, ove ritualmente notificato (agli atti non si rinviene, allo stato, l’avviso postale di ricevimento, comprovante il perfezionamento della notifica), ad avviso del relatore si palesa meritevole di accoglimento per manifesta fondatezza del primo e del secondo motivo (assorbenti rispetto ai rimanenti e tra loro strettamente connessi) con i quali si deducono violazioni di norme processuali, segnatamente dell’art. 345 c.p.c. in tema di acquisizione della prova e connessi vizi della motivazione. Sotto il profilo della citata norma di rito, l’acquisizione del certificato in questione (quand’anche si tratti di quello di agibilità, necessario ai fini della destinazione commerciale dell’immobile, e non anche di abitabilità, come si lamenta in ricorso), in quanto prodotto soltanto in grado di appello dalla promittente venditrice, che pur risultava essersi impegnata con precise clausole contrattuali a fornire la necessaria documentazione alla promissaria acquirente, non risulta adeguatamente giustificata, posto che il documento era nella disponibilità di un professionista di fiducia della medesima, al quale (e non alla promissaria acquirente) è pertanto da presumersi che la stessa l’abbia consegnato, pur essendo lo stesso indispensabile (come risultato accertato dalla prova testimoniale) ai fini del mutuo, che per la relativa omissione, come acclarato dalla prova orale, la futura acquirente non aveva conseguito. Tale circostanza esclude quella “impossibilità” di poter produrre in precedenza il documento, che l’art. 345 cit. esige ai fini dell’ammissibilità della relativa produzione; né la corte motiva la ravvisata indispensabilità dell’acquisizione, non indicando altri eventuali elementi di prova che lo stesso avrebbe integrato, in un contesto nel quale è lo stesso giudice d’appello a dare atto che erano risultati comprovati dal carteggio intercorso tra le parti le “plurime richieste, rivolte dalla IMINVEST alla CISI, nonché le risposte della CISI circa il fatto che la documentazione fosse disponibile presso il notaio”, mentre quest’ultimo, testimonialmente sentito al riguardo si era limitato a rispondere di “non ricordare nulla” (salvo, poi ad inviare, dopo anni, il documento al legale di fiducia della propria cliente).
La corte, incorrendo in una evidente contraddizione, ha ritenuto da una parte, impossibile la produzione del documento de quo da parte dell’appellante, e, dall’altra, possibile, per l’appellata promissaria acquirente, che neppure ne conosceva gli estremi, procurarsene una copia per le proprie necessità, senza tener conto che, sulla base di precisa clausola contrattuale (riportata dalla ricorrente, in osservanza dell’onere di autosufficienza), era la prima che era tenuta a fornire alla seconda “tutto l’operato necessario per ogni atto o pratica inerente all’immobile”. Evidente e’, dunque, anche il vizio di motivazione, tanto più che la corte territoriale neppure ha accertato le ragioni per le quali il documento, sebbene reiteratamente richiesto, fosse venuto alla luce dopo tanti anni, né se si trattasse proprio del certificato di agibilità (e non di quello di abitabilità), conferente alla destinazione commerciale dell’immobile, che se già esistente all’epoca della stipula del preliminare non si comprende perché non venne consegnato in quella circostanza dalla promittente venditrice alla promissaria acquirente, o, comunque, specificamente menzionato nel contratto.
Si propone, conclusivamente, l’accoglimento del ricorso, ove ne risulti provata la rituale notifica.
Roma 10 ottobre 2013.
F.to IL CONS. REL. L. PICCIALLI.
La Corte, rilevato che è stata fissata l’adunanza in camera di consiglio a seguito della surriportata relazione che il Collegio condivide e fa propria; dato atto che la C.I.S.I. srl ha depositato elezione di domicilio con procura non valida perché non notarile, trattandosi di giudizio instaurato in primo grado prima dell’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, art. 45 (Cass. 26.3.2010 n. 7241) e che parte ricorrente ha depositato la ricevuta di ritorno”.
Va preliminarmente evidenziato che, sebbene il secondo motivo del ricorso a suo tempo proposto prospettasse anche la violazione dell’art. 345 c.p.c., quanto al profilo della tempestività della produzione del documento in appello, avuto riguardo al termine previsto per la costituzione dell’appellante, la questione non è più tuttavia suscettibile di rivalutazione in questa sede, avendo la Corte di Cassazione cassato la prima volta la pronuncia, come illustrato di seguito, in relazione al difetto di motivazione quanto al diverso profilo del giudizio di indispensabilità della prova, e ciò sul presupposto che fosse stato superato il vaglio di ammissibilità della produzione documentale quanto ai tempi di ingresso nel processo.
Esaurita tale precisazione, ritiene il Collegio che, alla luce delle argomentazioni di cui al provvedimento che ha cassato la prima decisione della Corte distrettuale, non possa accedersi alla tesi della ricorrente secondo cui la cassazione sarebbe stata disposta solo per vizio di motivazione, risultando invece evidente come la Corte abbia in realtà riscontrato anche la violazione di legge ritenendo che effettivamente mancasse il requisito della non imputabilità ai fini dell’ingresso in appello dei nuovo documento, sulla scorta della previsione di cui all’art. 345 c.p.c. nella formulazione anteriore alla novella del 2012.
In tal senso rilevano le considerazioni in merito alla sostanziale disponibilità della prova in capo all’attrice in epoca anteriore alla proposizione dell’appello, avendo lei stessa confermato che il documento era nella disponibilità di un notaio di sua fiducia, al quale aveva indirizzato la controparte.
La decisione di questa Corte ha altresì sottolineato come, in base alle previsioni del contratto, tra gli impegni assunti dalla promittente venditrice, e finalizzati a porre in essere “tutto l’operato necessario per ogni atto o pratica inerente all’immobile”, rientrasse anche quello di porre tempestivamente a disposizione della controparte il certificato di abitabilità, aggiungendo poco prima che anche dalle prove raccolte non vi fosse la certezza che il documento fosse stato già in passato messo a disposizione della controparte, tramite deposito presso il notaio (sentito anche come teste).
Le suddette motivazioni se appaiono effettivamente idonee a ritenere non più contestabile in sede di rinvio il giudizio circa l’imputabilità alla parte della mancata produzione del documento in primo grado, inducono però a ritenere che in merito al diverso presupposto della indispensabilità, cui la vecchia formula dell’art. 345 c.p.c., applicabile ratione temporis, ancora la produzione anche di nuovi documenti in appello, al giudice di rinvio fosse demandato un vaglio circa la ricorrenza dei presupposti di ingresso della prova nuova in appello, vaglio non compiuto nella prima sentenza di appello, che aveva drasticamente ritenuto possibile il ricorso al certificato versato in atti.
Al riguardo, infatti, l’ordinanza di questa Corte ha rilevato un vizio di motivazione, per avere indebitamente addebitato alla promissaria acquirente la mancata acquisizione di un documento che in realtà era la controparte a doverle procurare, ma ha altresì ritenuto che la Corte d’Appello non avesse motivato sulla ravvisata indispensabilità dell’acquisizione (non indicando altri elementi di prova che il documento avrebbe integrato) né avesse accertato le ragioni in base alle quali il documento era venuto alla luce dopo tanti anni, senza altresì verificare se si trattasse proprio del certificato di abitabilità e non anche di quello di agibilità (che attiene invece alla destinazione commerciale del bene).
Ritiene la Corte che, alla luce delle ragioni poste a fondamento della precedente ordinanza di questa Corte, fosse sollecitata al giudice di rinvio anche una rivalutazione circa la possibilità di dare applicazione alla previsione di cui all’art. 345 c.p.c., quanto al profilo della indispensabilità, le censure della ricorrente si palesino fondate.
Ed, infatti, una volta esclusa la possibilità di avvalersi del documento in questione sul presupposto dell’impossibilità della sua produzione in primo grado per causa non imputabile alla parte, in relazione alla diversa ipotesi di indispensabilità del documento, deve richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte a mente della quale (Cass. n. 12574/2019) la produzione di nuovi documenti in appello è ammissibile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nella formulazione successiva alla novella attuata mediante la L. n. 69 del 2009, a condizione che la parte dimostri di non avere potuto produrli prima per causa a sé non imputabile ovvero che essi, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado, siano indispensabili per la decisione.
A tale rinnovata valutazione il giudice di rinvio si è però sottratto, ritenendo, peraltro erroneamente che l’ordinanza n. 21071/2014 avesse “inequivocabilmente escluso di essere a cospetto di documento acquisibile e quindi utilizzabile ai fini della decisione” (cfr. pag.8), affermazione che se appare corretta quanto al profilo della non imputabilità della precedente produzione, risulta però erronea nel sostenere che il profilo della indispensabilità che invece era specificamente attinto dal secondo motivo del ricorso a suo tempo proposto ed accolto, avesse valenza meramente corroborativa della decisione presa in punto di non imputabilità.
L’errore commesso, quanto alla corretta individuazione del mandato conferito al giudice di rinvio a seguito della precedente cassazione, denota quindi la fondatezza del motivo in esame ed impone la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio nuovamente alla Corte d’Appello di Catania in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
2. Il secondo motivo di ricorso denuncia l’omessa valutazione delle circostanze emergenti dall’istruttoria svolta per come segnalate dalla Corte Suprema e sulla assoluta assenza di congrua, adeguata e sufficiente motivazione. Rileva la ricorrente che aveva evidenziato nel corso del giudizio di non essere nella disponibilità del documento e che lo stesso avrebbe potuto essere recuperato dalla controparte recandosi presso il notaio che le era stato segnalato.
Si aggiunge che gli obblighi scaturenti dal contratto sono stati assolti una volta consegnato il certificato al notaio.
Si contesta la necessità del documento in questione ai fini dell’ottenimento del mutuo da parte della società promissaria acquirente e si riportano le deduzioni di cui alla memoria di replica del 16 gennaio 2016.
Il motivo resta assorbito alla luce dell’accoglimento del primo motivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo nei termini di cui in motivazione, ed assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Catania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021
Codice Civile > Articolo 1224 - Danni nelle obbligazioni pecuniarie | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2697 - Onere della prova | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 115 - Disponibilita' delle prove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 116 - Valutazione delle prove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 345 - Domande ed eccezioni nuove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 383 - Cassazione con rinvio | Codice Procedura Civile