LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11872-2019 proposto da:
ALPIN SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE LIEGI 16, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO BARILE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE SAUCHELLA;
– ricorrente –
contro
MONTEDIL SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso CORTE DI CASSAZIONE, e rappresentata e difesa dagli avvocati VINCENZO MEGNA, e VINCENZO ZAHORA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1206/2018 del TRIBUNALE di BENEVENTO, depositata il 02/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/03/2021 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.
RILEVATO
che:
Montedil s.r.l. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Benevento Alpin s.r.l. chiedendo, previo accertamento dell’avvenuto distacco di cinque dipendenti dell’attrice presso il cantiere della convenuta per l’esecuzione di lavori, la condanna al pagamento della somma a saldo di Euro 32.313,66. Il Tribunale adito con sentenza di data 2 luglio 2018 accolse la domanda.
Osservò il Tribunale che per determinare l’importo dovuto era stato necessario disporre accertamenti tecnici, essendo stata contestata la somma dovuta, e che il CTU, pur rilevando la non esaustività della documentazione allegata dalla Montedil, sulla base delle buste paga prodotte in giudizio (attestanti il netto corrisposto ai lavoratori), aveva rilevato che l’importo preteso corrispondeva a tale pagamento, mentre la somma di Euro 42.000,00, corrisposta dalla convenuta, riguardava i soli contributi previdenziali INPS, quelli versati a Cassa Edile, i premi assicurativi INAIL ed il TFR, versati per ciascun dipendente, ed aveva quindi calcolato la somma dovuta (per le retribuzioni pagate). Aggiunse che le incertezze indicate dal CTU non apparivano tali da inficiare la domanda attorea, “atteso peraltro l’inferiorità della somma accertata rispetto a quella richiesta e risultante da buste paga relative a retribuzioni versate ai lavoratori (come dagli stessi confermato)”
Avverso detta sentenza propose appello Alpin, dichiarato inammissibile dalla Corte d’appello di Napoli ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c. con ordinanza di data 12 febbraio 2019.
Ha proposto ricorso per cassazione Alpin s.r.l. sulla base di due motivi e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. E’ stata presentata memoria.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 30, comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il Tribunale, nonostante il rilievo che per determinare il quantum era stata necessaria la CTU, ha sovvertito gli oneri probatori, perché era onere di Montedil provare il credito, laddove invece mancava la documentazione (a parte le buste paga, documento unilateralmente formato dal creditore), come attestato dallo stesso CTU, e non potendo la consulenza supplire alle lacune probatorie dei fatti allegati dall’attrice.
Il motivo è inammissibile. Va premesso che la regola sull’onere della prova assume rilievo solo nel caso di fatto rimasto ignoto. Si tratta quindi della regola residuale di giudizio grazie alla quale la mancanza, in seno alle risultanze istruttorie, di elementi idonei all’accertamento, anche in via presuntiva, della sussistenza o insussistenza del diritto in contestazione determina la soccombenza della parte onerata della dimostrazione rispettivamente dei relativi fatti costitutivi o di quelli modificativi o estintivi (Cass. 16 giugno 1998, n. 5980; 16 giugno 2000, n. 8195; 7 agosto 2002, n. 11911; 21 marzo 2003, n. 4126). Tale regola non viene qui in rilievo perché il giudice ha positivamente accertato il fatto costitutivo rappresentato dall’avvenuto pagamento delle retribuzioni.
Il giudice di merito, sulla base di un giudizio di fatto non sindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto il fatto costitutivo provato sia sulla base delle buste paga prodotte, “attestanti il netto corrisposto ai lavoratori”, afferma il Tribunale, sia sulla base della circostanza che le buste paga sono “relative a retribuzioni versate ai lavoratori (come dagli stessi confermato)”, corna ha soggiunto sempre il Tribunale.
Quest’ultimo rilievo, e cioè che rappresentasse acquisizione istruttoria la conferma da parte dei lavoratori del riferimento delle buste paga alle retribuzioni versate, costituisce ratio decidendi non specificatamente impugnata dalla ricorrente, che si è limitata ad evidenziare la formazione unilaterale della busta paga (nel contesto di una censura comunque inammissibile perché relativa al giudizio di fatto), ma non a censurare l’accertamento da parte del Tribunale di una conferma del versamento delle retribuzioni risalente agli stessi lavoratori. Questo profilo di non decisività della censura rende ulteriormente inammissibile il motivo.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente, premesso che la circostanza che non era provato che quanto pagato dalla Alpin riguardasse il rimborso della contribuzione previdenziale ed assistenziale, che Montedil non aveva mai specificato a che titolo venisse richiesto l’importo di Euro 32.123,00 in quanto nella domanda era stato soltanto indicato il nome del singolo lavoratore e la somma complessiva che gli era stata corrisposta, con l’aggiunta che il rimborso per tali importi, nonostante la richiesta di parte attrice, non era stato effettuato. Aggiunse che il fatto che gli importi versati da Alpin corrispondessero al rimborso di contributi e premi assicurativi costituiva una presunzione del tutto personale del CTU.
Il motivo è inammissibile. La censura è formulata in termini, oltre che di violazione dell’art. 2697 (su cui si rinvia a quanto detto a proposito del precedente motivo), di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.. Sul punto è sufficiente rammentare che una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (fra le tante Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000). In tali termini non risulta formulata la censura.
Quanto al resto la censura non appare comprensibile ed è dunque inidonea a raggiungere lo scopo della critica della decisione. E’ la stessa ricorrente che, trascrivendo l’originaria domanda attorea, illustra che l’attore ha indicato per ogni lavoratore la somma “corrisposta”. Il totale richiesto (Euro 32.313,66) coincide esattamente con i singoli importi che la società attrice asserisce di aver corrisposto. E’ dunque del tutto evidente che la parte ha domandato il pagamento di quanto “corrisposto” ai cinque lavoratori. E che si trattasse di quanto “ancora dovuto” è ciò che corrisponde all’accertamento del giudice di merito, secondo il quale quello corrisposto dalla convenuta rappresentava il rimborso non delle retribuzioni, ma di contributi e premi assicurativi.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 – quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 3 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2021
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