Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.21375 del 26/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31823-2018 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MANGLI 29, presso lo studio dell’avvocato STEFANO MASTRONARDI, rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE ALLAMPRESE;

– ricorrente –

contro

GENERTEL ASS.NI SPA;

B.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2541/2018 del TRIBUNALE di FOGGIA, depositata il 11/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/03/2021 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

RILEVATO

che:

il Giudice di Pace di Cerignola accolse la domanda di risarcimento danni (conseguenti a sinistro stradale) proposta da M.G. nei confronti della Genertel s.p.a., ma compensò per metà le spese di lite in considerazione della “condotta scarsamente collaborativa tenuta dalla parte danneggiata” prima del giudizio;

pronunciando sull’appello del M., il Tribunale di Foggia ha ritenuto che la statuizione di parziale compensazione delle spese fosse giustificata dal fatto che, contrariamente a quanto convenuto col perito fiduciario della compagnia assicuratrice, il danneggiato non aveva richiesto di sottoporsi ad una seconda visita per accertare i postumi delle lesioni (che non risultavano ancora stabilizzati in occasione della prima), cosicché la compagnia non era stata in grado di acquisire elementi oggettivi per formulare la sua offerta prima che il M. la convenisse in giudizio;

il Tribunale ha pertanto rigettato il gravame, condannando l’appellante al pagamento delle spese del grado, liquidate in “Euro 1620 per compenso professionale, oltre rimborso forfetario per spese generali al 15%, Iva e Cpa come per legge”;

ha proposto ricorso per cassazione il M., affidandosi a tre motivi; gli intimati non hanno svolto attività difensiva;

la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

CONSIDERATO

che:

il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115,88 e 92 c.p.c. “per avere il giudice d’appello ritenuto provata la circostanza dell’accordo tra medico fiduciario della compagnia e danneggiato finalizzato alla sottoposizione di quest’ultimo a nuova visita una volta conclusa la malattia”;

il secondo motivo deduce la falsa applicazione degli artt. 148 e 149 codice delle Assicurazioni e degli artt. 92 e 88 c.p.c. “per avere il giudice d’appello erroneamente ritenuto il giudizio causalmente collegato alla mancata presentazione a nuova visita del danneggiato e non già alla volontà espressa dall’assicuratore di non indennizzare il danno per la contestazione della storicità dell’evento”;

i due motivi – da esaminare congiuntamente per la connessione fra gli argomenti e la natura delle censure – sono inammissibili;

risulta rispettato solo in modo incompleto l’onere di indicazione specifica di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 in merito agli atti rilevanti ai fini dell’applicazione delle norme richiamate; infatti:

a) in relazione alla motivazione censurata resa dal giudice d’appello assume valore decisivo quella che la sentenza indica come “nota in atti del 29 ottobre 2009”, ma di tale lettera il ricorso non solo non fornisce la riproduzione diretta od indiretta del contenuto, là dove la evoca a pag. 15, tanto che esso si apprende indirettamente solo dalla sentenza, ma soprattutto non ne fornisce la localizzazione in questo giudizio di legittimità, posto che non dichiara né di produrla né di voler fare riferimento – giusta Cass., Sez. Un. 22726 del 2011 – alla sua presenza nel fascicolo d’ufficio del tribunale ed eventualmente in quello della controparte, in ipotesi colà presente;

b) sempre a pag. 15 del ricorso, si allude del tutto genericamente al fatto che detta lettera sarebbe stata “disconosciuta a verbale di prima udienza” e si dichiara di produrre il relativo verbale (evidentemente in copia); senonché, non si specifica il senso di tale “disconoscimento”, trattandosi di documento proveniente dalla controparte e, dunque, l’assunto appare privo di specificità ed in iure incomprensibile, ferma comunque l’assorbenza di quanto sub a);

a ciò deve aggiungersi che, pur prospettando la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, il ricorrente non deduce alcuna erronea ricognizione della fattispecie astratta delle disposizioni richiamate, ma censura esclusivamente l’accertamento che ha condotto il Tribunale a considerare accertato che il danneggiato fosse venuto meno all’impegno di ripresentarsi a visita medica dopo la stabilizzazione dei postumi e a ritenere sussistente un nesso causale fra tale mancata collaborazione e l’impossibilità per l’assicuratrice di formulare un’offerta risarcitoria e, in via consequenziale, il successivo avvio del giudizio da parte del M.; si tratta, dunque, di censure che investono il complessivo accertamento di merito compiuto dal giudice di appello in punto di incidenza causale della condotta del danneggiato sulla proposizione del giudizio e che risultano volte, sotto l’apparenza della deduzione di errori di diritto, a sollecitare una nuova e diversa lettura dei fatti in sede di legittimità;

non risulta, peraltro, specificamente censurata – in iure – la stessa possibilità di disporre la parziale compensazione a fronte di condotte extraprocessuali non collaborative della parte vittoriosa, che -invero-risulta riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., per tutte, Cass. n. 6635/2007 e Cass. n. 15353/2000);

il terzo motivo denuncia – in via gradata – la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, “per avere il giudice d’appello erroneamente liquidato le competenze di causa in favore di parte appellata in Euro 1.620,00”: il ricorrente rileva che lo scaglione della causa da considerare era quello compreso fra zero e 1.100,00 Euro (atteso che il valore dichiarato nell’atto di appello era di 1.000,00 Euro) e che, pertanto, esclusa la sussistenza della fase istruttoria, il compenso avrebbe dovuto essere liquidato in 440,00 Euro (Euro 125,00 per fase di studio, Euro 125,00 per fase introduttiva ed Euro 190,00 per fase decisionale), “in luogo di Euro 1.620,00, somma che non ha alcuna giustificazione nel D.M. n. 55 del 2014”;

il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto omette di indicare i precisi termini della statuizione sulle spese compiuta in primo grado, sì da consentire alla Corte di individuare il valore del giudizio di appello (volto a conseguire la residua metà delle spese, ossia quella per cui era stata disposta la compensazione); al riguardo, il ricorrente si limita ad indicare il valore della causa dallo stesso dichiarato nell’atto di appello (Euro 1.000,00), ma tanto non basta a consentire la verifica dell’entità della somma (per compensi, esborsi, rimborso forfettario ed accessori) costituente l’oggetto del giudizio di secondo grado;

atteso che gli intimati non hanno svolto attività difensiva, non deve provvedersi sulle spese di lite;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Nulla per spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2021

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