LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
Dott. GUIZZI GIAIME Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 33116/2019 proposto da:
CONDOMINIO di *****, (*****) sedente in *****, in persona dell’amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato SANNA GIOVANNI PIETRO;
– ricorrente –
contro
GIFO SAS;
– intimata –
avverso la sentenza n. 462/2019 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 27/03/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GUIZZI STEFANO GIAIME.
RITENUTO IN FATTO
– che il Condominio di ***** (*****), in Loano, ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 462/19, del 27 marzo 2019, della Corte di Appello di Genova, che -accogliendo parzialmente il gravame esperito dalla società Gifo S.a.s. contro la sentenza n. 680/15, del 5 giugno 2015, del Tribunale di Savona, sezione distaccata di Albenga – ha condannato l’odierno ricorrente a risarcire il danno patrimoniale cagionato alla predetta società, in ragione della caduta di tegole di ardesia dal tetto dell’edificio condominiale;
– che, in punto di fatto, il ricorrente riferisce di essere stato convenuto in giudizio, lamentando la società Gifo di aver subito un danno patrimoniale, in ragione della chiusura dell’attività commerciale da essa gestita – a causa del già segnalato distacco di tegole di ardesia dal tetto dello stabile condominiale – dal 23 gennaio al 25 febbraio 2007;
– che autorizzata dal primo giudice la chiamata in causa, su domanda del convenuto, del Comune di Loano e della compagnia assicuratrice Allianz Subaplina S.p.a., costituitisi i terzi chiamati ed istruita la causa anche mediante prova orale, l’adito Tribunale rigettava la domanda;
– che esperito gravame dalla società Gifo (senza, peraltro, che il Condominio odierno ricorrente reiterasse le proprie domande verso i terzi chiamati), il giudice di appello lo accoglieva parzialmente, condannando l’odierno ricorrente a pagare Euro 1.500,00, “in valuta attuale”, oltre interessi corrispettivi dalla sentenza al saldo;
– che avverso la sentenza della Corte ligure il Condominio di ***** in Loano ricorre per cassazione, sulla base – come detto – di un unico motivo;
– che esso denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), – violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. e dell’art. 54, coma 1, lett. a), e comma 2, del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, nonché dell’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile;
– che, in particolare, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui, nel decidere sull’eccezione dell’odierno ricorrente di difetto di specificità dell’appello, ha applicato l’art. 342 c.p.c. nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. 0a), convertito con modificazioni nella L. n. 134 del 2012, ritenendo che le stesse non operassero “ratione temporis”, mentre ai sensi del medesimo art. 54, comma 2, esse avrebbero dovuto trovare applicazione, essendo stato l’atto di citazione in appello notificato il 28 ottobre 2015, e dunque dopo il trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 83 del 2012, ovvero dopo l’11 settembre 2012, dal momento che la L. n. 134 del 2012 fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’11 agosto 2012;
– che, in ogni caso, la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità del gravame anche sulla scorta del vecchio testo dell’art. 342 c.p.c., non contenendo una critica circostanziata della sentenza impugnata;
– che è rimasta intimata la società GIFO; – che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata al ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 26 novembre 2020.
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso è manifestamente infondato;
– che, invero, sebbene sia conclamato l’errore commesso dalla sentenza impugnata, giacché essa, effettivamente, avrebbe dovuto applicare il vigente testo dell’art. 342 c.p.c. (e ciò perché, risalendo la notificazione dell’atto di appello al 28 ottobre 2015, al giudizio innanzi alla Corte ligure si applicava, “ratione temporis”, il novellato testo della norma suddetta, destinato ad operare per tutti i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dopo l’11 settembre 2012), lo stesso è rimasto, in concreto, privo di incidenza, non essendo errata la valutazione compiuta dal giudice di appello circa la specificità del proposto gravame;
– che, al riguardo, va rammentato che la “denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione” (da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2020, n. 26419, Rv. 659858-01), sicché, nella specie, ciò che occorre stabilire è se il motivo di gravame della società Gifo fosse effettivamente specifico, o meglio se contenesse una critica argomentata della sentenza resa dal giudice di prime cure;
– che, sul punto, va rammentato che la “specificità dei motivi di appello presuppone la specificità della motivazione della sentenza impugnata” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 24 aprile 2019, n. 11197, Rv. 653588-01), nel senso che la prima va sempre “commisurata all’ampiezza e alla portata delle argomentazioni spese dal primo giudice” (Cass. Sez. 3, sent. 29 luglio 2016, n. 15790, Rv. 641584-01);
– che, pertanto, l’appellante “che intenda dolersi di una erronea ricostruzione dei fatti da parte del giudice di primo grado può limitarsi a chiedere al giudice di appello di valutare “ex novo” le prove già raccolte e sottoporgli le argomentazioni difensive già svolte in primo grado, senza che ciò comporti di per sé l’inammissibilità dell’appello”, e ciò in quanto, sostenere il contrario, “significherebbe pretendere dall’appellante di introdurre sempre e comunque in appello un “quid novi” rispetto agli argomenti spesi in primo grado, il che – a tacer d’altro – non sarebbe coerente col divieto di “nova” prescritto dall’art. 345 c.p.c.” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 8 febbraio 2018, n. 3115, Rv. 648034-01; in senso analogo, sempre in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2020, n. 24464, Rv. 659759-01);
– che tale evenienza è quella verificatasi nel caso che occupa, dal momento che l’appellante – a fronte dell’affermazione del primo giudice, secondo cui “la produzione di copia autentica dei registri dei corrispettivi relativi ai mesi di gennaio e febbraio 2007, e dei tre anni antecedenti e (dei) due successivi”, non avrebbe fornito “la prova di quelli che sarebbero stati i guadagni, l’utile, nel periodo in questione”, (ovvero, quello (durante l’esercizio commerciale gestito dalla società Gifo fu chiuso, a causa del distacco delle tegole di ardesia dal tetto del condominio odierno ricorrente) – altro non poteva, o meglio, doveva, fare se non ribadire come tale documentazione, invece, fosse idonea a fornire la prova del danno patrimoniale subito;
– che, dunque, risulta corretta l’affermazione della Corte ligure secondo cui il gravame manifestava “sufficientemente e analiticamente quali censure” muovesse “alla sentenza di primo grado nelle sue statuizioni nonché l’obiettivo di dette censure”;
– che, pertanto, l’odierna doglianza circa il difetto di specificità dell’appello risulta destituita di fondamento;
– che nulla va disposto quanto alle spese del presente giudizio di legittimità, essendo rimasta solo intimata la società Gifo;
– che in ragione del rigetto del ricorso, va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 1, comma 1-bis.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2021