LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3178/2015 R.G. proposto da:
I.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Rosario Maglio, con domicilio eletto in Roma, via S. Tommaso D’Aquino, n. 80, presso lo studio dell’Avv. Severino Grassi;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro Tempore;
– intimata –
e contro
Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Napoli II, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Napoli, piazza Duca degli Abruzzi, n. 31;
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 5823/8/14 depositata il I1 giugno 2014;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 giugno 2021 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle entrate, Ufficio di Napoli 3, notificò ad I.A., esercente l’attività di commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi e lubrificanti, un avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2002.
Con tale atto – sulle considerazioni che la contribuente: a) aveva dichiarato una perdita di esercizio sia nell’anno d’imposta 1999 (per Euro 247.600,00), sia nell’anno d’imposta 2000 (per Euro 546.100,00) sia nell’anno d’imposta 2002 (per Euro 73.194,00); b) ciò nonostante, aveva continuato ad acquistare immobilizzazioni materiali e merce (per Euro 7.444.489,00); c) aveva sostenuto costi per il personale dipendente per Euro 20.000,00, “mentre non esiste alcuna remunerazione del capitale di rischio, tenuto conto del risultato ancora negativo della gestione”; d) dal processo verbale n. 000240, risultava che aveva “effettuato acquisti di beni in evasione d’imposta, non autofatturati, per l’importo di Euro 19.193,00 e, conseguentemente, (aveva) effettuato cessioni di beni omettendone la fatturazione attiva”; e) da un processo verbale del 18 settembre 2008, risultava che aveva “effettuato acquisti in evasione d’imposta, non autofatturati, per un valore imponibile di Euro 83.304,00 e, conseguentemente, (aveva) effettuato la cessione di detti beni omettendone la fatturazione attiva”; f) avendo il coniuge e due figli a carico, nonostante le suddette perdite, nel 2002 aveva acquistato: f.1) un’azienda per Euro 325.367,00; f.2) un fabbricato per Euro 78.501,00; f.3) una costruzione commerciale per Euro 99.934,00 riteneva che le stesse evidenziassero “incongruenze ed anomalie” che, “anche a causa dell’antieconomicità dell’attività svolta (per la maggior parte degli anni sempre in perdita)”, consentivano, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), di desumere l’esistenza di attività non dichiarate.
Quindi, l’Ufficio di Napoli 3 dell’Agenzia delle entrate quantificava i ricavi effettivamente conseguiti dalla contribuente applicando al costo del venduto di Euro 7.231.871,00 “la percentuale nazionale minima di ricarico del 7% rilevata attraverso le medie regionali in virtù dei dati presenti nella “Banca dati – Indici di bilancio” sviluppati dall’Agenzia delle Entrate, inserendo i dati contabili relativi ai codici di attività per regione e per provincia di appartenenza”, accertando, pertanto, maggiori ricavi non contabilizzati per Euro 231.948,00, con i conseguenti maggior reddito, ai fini dell’IRPEF e delle relative addizionali regionale e comunale, maggior valore della produzione netta, ai fini dell’IRAP, e maggior volume d’affari, ai fini dell’IVA, oltre agli interessi e alle sanzioni.
2. L’avviso di accertamento fu impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale di Napoli (hinc anche: “CTP”), che, ritenendo l’incompetenza per territorio dell’Ufficio di Napoli 3, accolse il ricorso della società contribuente.
3. Avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle entrate propose appello alla Commissione tributaria regionale della Campania (hinc anche: “CTR”), che lo accolse parzialmente, riducendo i maggiori ricavi non contabilizzati a Euro 123.470,00, con la motivazione che: a) “(i)n merito alla competenza territoriale dell’Agenzia delle entrate di Napoli, si osserva che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la competenza territoriale dell’Ufficio accertatore è determinata dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 31 con riferimento al domicilio fiscale indicato dal contribuente, la cui variazione, comunicata nella dichiarazione annuale dei redditi, costituisce pertanto atto idoneo a rendere noto all’Amministrazione il nuovo domicilio non solo ai fini delle notificazioni, ma anche ai fini della legittimazione a procedere, che spetta all’Ufficio nella cui circoscrizione il contribuente ha indicato il nuovo domicilio. Tale “ius variandi” dev’essere peraltro esercitato in buona fede, nel rispetto del principio dell’affidamento che deve informare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario: pertanto, il contribuente che abbia indicato nella propria denuncia dei redditi il domicilio fiscale in un luogo diverso da quello precedente, non può invocare detta difformità, sfruttando a suo vantaggio anche un eventuale errore, al fine di eccepire, sotto il profilo dell’incompetenza per territorio, l’invalidità dell’atto di accertamento compiuto dall’ufficio finanziario del domicilio da lui stesso dichiarato” (Cass. Sez. 5, sentenza n. 5358 del 10/03/2006). Nel caso di specie, si osserva che l’appellata, secondo quanto riportato nel ricorso introduttivo, nell’anno d’imposta 2001, esercitava l’attività di commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi e lubrificanti “nella sede di ***** e residente in *****, pertanto, il domicilio fiscale ricadeva nella competenza territoriale dell’Agenzia delle Entrate di Napoli e non di Casoria. Non risulta che la ricorrente abbia comunicato la variazione domicilio per l’anno 2002. Mancando la comunicazione di variazione del domicilio, la contribuente non può fare valere tale “ius variandi”per avere indicato nella propria dichiarazione dei redditi il domicilio fiscale in un luogo diverso da quello precedente va riconosciuta la competenza territoriale dell’Ente impositore de quo”; b) “(p)er quanto riguarda la eccezione di mancata notifica dei PVC si osserva che essi sono stati redatti in contraddittorio con la parte, che, tra l’altro, dichiarava di non avere subito il furto di tutta la documentazione fiscale”; c) “(p)er quanto riguarda la eccezione di decadenza, va evidenziato che nel caso di specie opera il raddoppio dei termini per l’accertamento ai sensi della L. 4 luglio 2006, n. 223/6 conv. nella L. n. 248 del 2006, pertanto, l’avviso di accertamento impugnato è stato notificato nei termini di legge”; d) “(i)nfine, ai fini della determinazione induttiva dei ricavi si rammenta come la possibilità di valutare l’antieconomicità del comportamento imprenditoriale quale elemento di fatto utilizzabile per supportare, in via anche presuntiva, una certa pretesa, risulta affermata nella sentenza della Corte di Cassazione n. 1821 del 18 ottobre 2000, depositata il 9 febbraio 2001, in cui fra l’altro si legge: “… in tema di imposte sui redditi, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento ai sensi del D.P.R. n. n 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d); ad un tale riguardo il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatica di possibili violazioni di disposizioni tributarie”. Così come nella sentenza del 15 ottobre 2010, n. 21317, l’antieconomicità del comportamento imprenditoriale e’, tra gli altri, un canone di valutazione che rafforza diversi elementi presi a base per la decisione della Corte. Si afferma, in definitiva, il principio secondo cui un comportamento, non spiegato, contrario ai canoni dell’economicità, possa essere utilizzato quale argomento presuntivo per la rettifica di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d). Nel caso di specie, il ricorso all’accertamento induttivo è legittimato dai risultati reddituali negativi per più esercizi e dalla totale assenza delle scritture contabili che la contribuente non è stata in grado di ricostruire a seguito del furto che asserisce di avere subito”; d) “(t)uttavia, il collegio ritiene ridondante la percentuale di ricarico del 7% applicata dall’Ufficio per determinare i maggiori ricavi di Euro 231.948,00, tenuto conto che la ditta esercitava commercio all’ingrosso, la cui percentuale di ricarico si attesta intorno al 5-6 per cento, mentre la percentuale applicata dall’Ufficio è riferita al commercio al minuto. Pertanto, il Collegio ritiene che la suddetta percentuale debba essere opportunamente ridotta dal 7% al 5,5% con conseguente riduzione dei maggiori ricavi da Euro 231.948,00 a Euro 123.470,00”.
4. Avverso tale sentenza della CTR – depositata l’11 giugno 2014 e non notificata – ricorre per cassazione I.A., che affida il proprio ricorso, notificato il 23 gennaio 2015, a otto motivi.
5. L’Agenzia delle entrate, con sede in Roma, si è costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione alla discussione orale.
L’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Napoli II, non ha svolto attività difensiva.
6. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni motivate, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
7. I.A. ha depositato una memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 31, 58 e 60 e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-octies per avere la CTR “sostanzialmente ritenuto (…) che il contribuente non avrebbe potuto modificare (se pure una modifica fosse stata necessaria, considerato che da sempre la ricorrente ha avuto il domicilio fiscale in Casalnuovo) il proprio domicilio fiscale con la presentazione della dichiarazione dei redditi, ma sarebbe stato necessario un’apposita “comunicazione di variazione”” (e per avere, perciò, omesso di rilevare che, poiché nella dichiarazione dei redditi per il periodo d’imposta 2002 aveva indicato, come proprio domicilio fiscale, Casalnuovo di Napoli, la competenza per territorio a emettere l’avviso di accertamento era dell’Ufficio di Casoria – competente, appunto, per i contribuenti con domicilio fiscale nel Comune di Casalnuovo di Napoli – e non dell’Ufficio di Napoli 3, con la conseguente invalidità dell’avviso in quanto emesso da quest’ultimo, incompetente, Ufficio).
2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36 (comma 2, n. 4) dell’art. 132 c.p.c., (comma 2, n. 4) e dell’art. 111 Cost., comma 6, sotto i profili che la CTR: a) in modo contraddittorio e incomprensibile, “prima ha riconosciuto e ammesso che la comunicazione del domicilio fiscale contenuta nella dichiarazione annuale dei redditi ed IVA sia sufficiente ad individuare il domicilio fiscale del contribuente e, di conseguenza, a determinare la competenza dell’Ufficio accertatore (peraltro richiamando la sentenza della Suprema Corte n. 5358/2006) 1-.4 mentre poi, pochi righi più in basso, ha affermato, all’esatto contrario di quanto appena sostenuto, che l’indicazione del domicilio fiscale nella dichiarazione annuale non sarebbe sufficiente a radicare la competenza dell’Ufficio, essendo invece necessaria un’apposita e specifica “comunicazione di variazione del domicilio”, che nel caso in esame sarebbe mancata”; b) “disatteso l’eccezione di decadenza dal potere di accertamento dell’A.F., senza indicare le ragioni del rigetto di tale fondata eccezione del contribuente”.
3. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti costituito dall'”idoneità della dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente a comunicare al fisco il relativo domicilio fiscale”.
4. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione dell’art. 2697 c.c., per avere la CTR “riversa(to) esclusivamente sulla ricorrente l’onere di dimostrare l’incompetenza territoriale dell’Ufficio impositore”, laddove, “(i)n realtà, sulla base dei noti principi generali, sarebbe stato onere dell’Ufficio finanziario (non assolto) dimostrare la propria “competenza” territoriale (o meglio “legittimazione”) ad emettere l’atto impugnato”.
5. Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e del D.P.R. 26 ottobre 1973, n. 633, art. 57 per avere la CTR ritenuto la sussistenza nella specie delle condizioni per il raddoppio dei termini per l’accertamento, comunque venute meno in conseguenza della riduzione, operata dalla stessa CTR, dei maggiori ricavi non contabilizzati a Euro 123.470,00.
6. Con il sesto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, per avere la CTR “determinato in modo del tutto arbitrario e personale (…) una diversa percentuale di ricarico”, in quanto “nessuna spiegazione ha mai fornito per giustificare l’applicazione della percentuale di ricarico del 5.5%”, “determinata, non già sulla base di un elemento concreto, bensì solo facendo una ulteriore media fra quelle del 5-6% che secondo i Giudici si applicherebbero nel settore petrolifero all’ingrosso”.
7. Con il settimo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., comma 6, per la “contraddittori(età) e caren(za) di motivazione della sentenza impugnata, laddove i giudici di merito hanno ritenuto di poter stabilire del tutto arbitrariamente una diversa percentuale di ricarico, dopo aver ritenuto “ridondante” quella del 7% individuata dall’Ufficio”, attesa, in particolare, l'”individuazione, del tutto avulsa dagli atti di causa e da regole di comune esperienza, secondo cui la media di ricarico effettiva del settore sarebbe del 5-6% e finendo per applicare in concreto quella del 5,5%”.
8. Con l’ottavo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, e degli artt. 112 e 113 c.p.c., per avere la CTR “individuato (…) una percentuale di ricarico applicabile del 5,5%, senza alcuna ragione né motivazione, in modo sostanzialmente “equitativo””.
9. Il primo motivo è fondato, nei termini e nei limiti che seguono.
Ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31, comma 2, la competenza territoriale per gli accertamenti e i controlli riguardanti le imposte sui redditi “spetta all’ufficio distrettuale nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o avrebbe dovuto essere presentata”.
A norma dell’art. 58, comma 2, primo periodo, dello stesso decreto, “(l)e persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte”.
Analogamente, per quanto riguarda l’IVA, competente “ad ogni (…) effetto di cui al (…) decreto” del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 “e’ l’Ufficio provinciale dell’imposta sul valore aggiunto nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del contribuente ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 58 e 59” (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 40, comma 1, primo periodo).
Quanto alla variazione del domicilio fiscale, viene in rilievo del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, il comma 4 a norma del quale (nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alle modificazioni apportate al suddetto comma, dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 2, comma 7, lett. a, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 aprile 2012, n. 44), “(Un tutti gli atti, contratti, denunzie e dichiarazioni che vengono presentati agli uffici finanziari deve essere indicato il comune di domicilio fiscale delle parti, con la precisazione dell’indirizzo”.
Alla stregua di tale quadro normativo, questa Corte ha avuto più volte occasione di ribadire che, ai fini della determinazione della competenza territoriale degli uffici, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31 assume rilevanza anche la variazione di domicilio comunicata dal contribuente nella dichiarazione annuale dei redditi, in quanto questa è un atto idoneo a rendere nota detta circostanza all’amministrazione finanziaria (Cass., 04/10/2018, n. 24292; nello stesso senso, tra le tante, Cass., 10/03/2006, n. 5358, 10/05/2013, n. 11170, 08/10/2014, n. 21290, 20/02/2020, n. 4412).
Alla luce di tale principio, che il Collegio condivide e al quale intende, perciò, dare continuità, appare evidente l’error in iudicando commesso dalla CTR col ritenere – in particolare, là dove afferma che “(n)on risulta che la ricorrente abbia comunicato la variazione di domicilio per l’anno 2002. Mancando la comunicazione di variazione del domicilio, la contribuente non può fare valere tale “ius variandi” per avere indicato nella propria dichiarazione dei redditi il domicilio fiscale in un luogo diverso da quello precedente” – che, ai fini, in considerazione nella specie, della determinazione della competenza territoriale dell’ufficio dell’amministrazione finanziaria non assumesse rilevanza l’indicazione/variazione del domicilio fiscale contenuta nella dichiarazione annuale dei redditi, per essere, invece, indispensabile una “comunicazione di variazione del domicilio” da effettuare con altre (imprecisate) modalità.
10. L’esame dei motivi dal secondo all’ottavo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo.
11. In conclusione, il primo motivo deve essere accolto, assorbiti i motivi dal secondo all’ottavo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa deve essere rinviata alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, affinché, tenendo conto dei principi enunciati sopra, provveda a decidere sulla competenza territoriale a emettere l’avviso di accertamento – e, solo nel caso di ritenuta competenza dell’Ufficio emittente, a riesaminare gli ulteriori motivi di appello – nonché a regolare le spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 25 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021