Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.21482 del 27/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizio – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2675-2020 proposto da:

N.G., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato ANDREA MAESTRI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per 2021 il Riconoscimento della Protezione Internazionale di 965 Bologna –

Sezione di Forlì – Cesena, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto numero cronologico 5909/2019 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il 30/11/2019 R.G.N. 6227/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/03/2021 dal Consigliere Dott. CINQUE GUGLIELMO.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. N.G., cittadino della Nigeria, ha impugnato per cassazione il Decreto n. 5909 del Tribunale di Bologna del 30.11.2019, all’esito del procedimento n. 6227/2018, con il quale sono state rigettate le sue domande dirette ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero della protezione sussidiaria ed umanitaria.

2. Il richiedente, in sintesi, aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio paese perché aveva contratto un debito che, a causa di un incendio avvenuto nel suo negozio, non era riuscito ad onorare; aveva precisato che, per tale motivo, l’usuraio al quale si era rivolto lo aveva fatto picchiare e la polizia, cui si era rivolto, in quanto corrotta, aveva arrestato lui ed il medico che lo aveva soccorso; dopo essere stati rilasciati, aveva riferito che il medico fu ucciso e lui, già intimorito da questa vicenda, dopo avere assistito all’assassinio della sorella, era riuscito, attraverso la Libia, ad arrivare in Italia; aveva, infine, dedotto di temere, in caso di rientro in patria, di essere ucciso dall’usuraio.

3. A fondamento della decisione il Tribunale ha rilevato preliminarmente l’inattendibilità del racconto perché contraddittorio ed illogico; ha escluso, avendo riguardo alle dichiarazioni, la sussistenza dei presupposti per la concessione sia dello status di rifugiato che della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 51 del 2007, ex art. 14, lett. a e b); dalle fonti consultate non ha ravvisato gli elementi per il riconoscimento della protezione sussidiaria citato D.Lgs., ex art. 14, lett. c), e, considerando la situazione del richiedente, ha ritenuto che non vi fossero fattori di vulnerabilità che giustificassero il rilascio del permesso di soggiorno ex art. 5, comma 6 TUI.

4. Avverso il provvedimento del Tribunale N.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico articolato.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3, artt. 13,29 e 32 Cost.; artt. 2, 3, 4 e 8 CEDU; art. 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, art. 5, commi 4 e 6, art. 19, comma 1 e 1.1; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere il giudice di merito ossequiato, con specifico riferimento alla protezione umanitaria, al dovere di cooperazione istruttoria e per non avere valutato le particolari condizioni di vulnerabilità personale del ricorrente in riferimento alla peculiare situazione sociale della Nigeria.

2. Preliminarmente deve rilevarsi un profilo di improcedibilità del ricorso.

3. Il provvedimento impugnato del Tribunale di Bologna n. 5909 risulta pubblicato il 30.11.2019.

4. Il presente ricorso per cassazione è stato notificato il 31.12.2019.

5. Nel suddetto ricorso si evidenzia che il provvedimento del Tribunale è stato notificato il 2.12.2019. Anche nella relata di notifica si dà atto di una notifica a mezzo pec avvenuta il 2.12.2019.

6. Orbene, si è affermato, in sede di legittimità, con un indirizzo cui si intende dare seguito, che in tema di protezione internazionale, il ricorrente per cassazione che agisca ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, è tenuto ad allegare l’avvenuta comunicazione del decreto impugnato (o la mancata esecuzione di tale adempimento) producendo, a pena di improcedibilità, copia autentica del provvedimento unitamente alla relazione di comunicazione, munita di attestazione di conformità delle ricevute pec, ferma restando la inammissibilità che il mancato deposito di tale relazione è irrilevante non solo nel caso in cui il ricorso sia comunque notificato entro trenta giorni dalla pubblicazione del decreto (cd. prova di resistenza), ma anche quando essa risulti comunque nella disponibilità della Corte di Cassazione, perché prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita a seguito dell’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio, sempre che l’acquisizione sia stata in concreto effettuata e che da essa risulti l’avvenuta comunicazione, non spettando alla Corte attivarsi per supplire, attraverso tale via, alla inosservanza della parte al precetto posto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, (Cass. n. 14839/2020; Cass. n. 22324/2020).

7. Nel caso in esame, pertanto, il ricorrente non ha fornito la prova della tempestività del ricorso proposto oltre i trenta giorni previsti dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis.

8. Accanto a questo profilo, però, va comunque evidenziata la assoluta genericità ed astrattezza delle censure mosse al provvedimento impugnato che ha svolto, differentemente da quanto sostenuto dal ricorrente, correttamente la valutazione della sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno ex art. 5, comma 6 TUI.

9. Invero, il Tribunale ha evidenziato che il livello di integrazione in Italia, dove in due anni il richiedente risultava svolgere solo un tirocinio lavorativo con prossima scadenza) era scarso e non ostativo al rimpatrio; ha rilevato che il richiedente aveva 32 anni e non aveva problemi di salute; ha sottolineato, infine, che: in Nigeria aveva moglie e tre figli; aveva studiato e lavorato per sei anni come falegname e la inattendibilità del racconto relativo alla mancata restituzione del debito induceva a ritenere che, in caso di rientro, non vi fosse il rischio di alcuna privazione dei diritti fondamentali.

10. Tali argomentazioni non sono state assolutamente scalfite dalle indeterminate censure mosse.

11. Alla stregua di quanto esposto, va dichiarata, per tutte le ragioni sopra esposte, la inammissibilità del ricorso.

12. Nulla va disposto in ordine alle spese di lite non avendo l’Amministrazione resistente svolto attività difensiva.

13. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla in ordine alle spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camera, il 4 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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