LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21717/2015 proposto da:
***** S.p.a. in Liquidazione, in persona del curatore Dott.ssa R.M., elettivamente domiciliata in Roma, Piazza del Popolo n. 18, presso lo studio dell’avvocato Cipriani Carlo, rappresentata e difesa dall’avvocato Impagnatiello Gianpaolo, giusta procura speciale di nomina di nuovo difensore;
– ricorrente –
contro
Banca Popolare di Milano Soc. Coop. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Crescenzio n. 42, presso lo studio dell’avvocato Cozzi Claudia, rappresentata e difesa dall’avvocato Russo Matteo, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di FOGGIA, depositato il 28/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/04/2021 dal cons. FRANCESCO TERRUSI.
RILEVATO IN FATTO
che:
la Banca popolare di Milano ha proposto opposizione allo stato passivo del fallimento di ***** s.p.a. in liquidazione per un credito chirografario di 1.755.517,28 EURO, oltre interessi legali fino alla data del fallimento;
l’adito tribunale di Foggia, ritenuto che il rapporto bancario inter partes era stato provato per documenti, ha accolto l’opposizione per la somma di 1.876.974,51 EURO comprensiva degli interessi, come determinata in base a una c.t.u. contabile;
il Fallimento di ***** s.p.a. ricorre per cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria;
la banca resiste con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
1. – col primo mezzo è dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2704,2710,1832 e 2697 c.c. poiché la documentazione elencata dal tribunale era priva di data certa anteriore al fallimento, e quindi non era idonea a offrire la prova dell’esistenza e dell’entità del credito da scoperto di conto;
il motivo è inammissibile;
non è in discussione che in sede di formazione dello stato passivo il curatore debba considerarsi terzo rispetto al rapporto giuridico posto a base della pretesa creditoria fatta valere con l’istanza di ammissione; né è in discussione che a tanto segua l’applicabilità della disposizione contenuta nell’art. 2704 c.c. e la necessità della certezza della data nelle scritture allegate come prova del credito (v. per tutte Cass. Sez. U n. 4213-13, cui adde Cass. n. 24168-17, Cass. n. 17080-16);
il punto però è che il tribunale ha esplicitamente affermato che nella scrittura transattiva del 19-4-2011, intercorsa tra la banca e il comune di Foggia, alla quale la fallita aveva aderito, era individuabile non solo la prova dell’esistenza e dell’articolazione del rapporto bancario, ma anche l’idoneità “a conferire data certa alla convenzione di tesoreria-cassa tra la banca opponente e la ***** s.p.a.”;
ne deriva che la decisione è stata determinata dalla disciplina contenuta nell’art. 2704 c.c., comma 1, ultima parte, riservandosi alla scrittura transattiva la funzione di “altro fatto” idoneo a stabilire “in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento” in essa richiamato;
in mancanza delle situazioni tipiche di certezza contemplate dall’art. 2704, la data della scrittura privata è opponibile ai terzi se sia dedotto e dimostrato un fatto idoneo a stabilire in modo ugualmente certo l’anteriorità della formazione del documento (cfr. Cass. n. 19656-15);
niente di specifico emerge dal ricorso onde contrastare la suddetta specifica argomentazione, che attiene alla valutazione della prova ed è rimessa come tale al giudice del merito; né è idonea l’obiezione rinvenibile nella memoria della curatela, la quale alludendo alla inidoneità del fax del comune di Foggia ai fini dell’attribuzione della certezza di data al documento rievocativo implica una critica comunque supponente accertamenti in fatto, in contrasto coi noti limiti del giudizio di legittimità;
2. – col secondo mezzo sono dedotti in unico contesto la violazione o falsa applicazione dell’art. 2967 c.c. e l’omesso esame di fatto decisivo; nel concreto si censura la decisione per illogicità e incoerenza nella parte relativa alla quantificazione del credito, per avere il tribunale omesso di considerare gli acconti ricevuti dalla banca dopo l’emissione del decreto ingiuntivo, per la somma di 350.000,00 EURO;
il motivo – in disparte l’erroneità del riferimento all’art. 2967 c.c., che concerne la disciplina della decadenza – è inammissibile perché nuovamente concretizza una censura in fatto;
diversamente da quanto asserito dal Fallimento la ricezione della somma da parte della banca dopo l’emissione del decreto ingiuntivo è stata considerata dal tribunale, come emerge dalla pag. 3 del decreto; di contro ai fini della determinazione del credito il tribunale ha richiamato le conclusioni della c.t.u., attestate sul computo del saldo debitore con aggiunta degli interessi al netto di quelli creditori;
3. – col terzo motivo il ricorrente assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., poiché il tribunale, stabilendo il credito della banca per l’importo finale di 1.876.974,51 EURO, avrebbe superato il limite dell’insinuazione, fatta per la minor somma di 1.755.517,28 EURO;
il motivo è infondato, avendo la banca chiesto l’ammissione per la somma della somma di 1.755.517,28 EURO in sorte capitale, oltre interessi al tasso legale fino alla data del fallimento;
la sorte capitale considerata dal tribunale, de relato dalla c.t.u., è attestata in importo inferiore (1.698.764,08 EURO) e raggiunge l’entità di 1.876.974,51 EURO giustappunto sul rilievo della necessità di considerare gli interessi;
IV. – col quarto motivo il Fallimento denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., poiché la prova del credito vantato dalla banca era stata raggiunta solo in fase di opposizione, all’esito dell’indagine tecnica demandata al c.t.u.; cosicché il tribunale avrebbe dovuto accogliere la domanda della curatela di condanna della banca al pagamento delle spese processuali, siccome giustificata dalla condotta colpevole della banca stessa in ordine alla prova del credito;
il motivo è manifestamente infondato;
non possiede costrutto la pretesa del Fallimento di vedersi liquidare le spese di lite nonostante l’accoglimento dell’avversa opposizione, per l’elementare ragione che le spese vanno regolate secondo il criterio di soccombenza e codesto criterio richiede sempre una valutazione unitaria e globale (per varie applicazioni cfr. Cass. n. 18125-17 e Cass. n. 17854-20, quanto all’opposizione a decreto ingiuntivo; Cass. n. 15483-08 e Cass. 6259-14 quanto ai giudizi di impugnazione); per cui, essendo stata accolta l’avversa pretesa, è ovvia la soccombenza del Fallimento con riferimento all’oggetto del giudizio di cui si discute;
5. – le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in 13.200,00 EURO, di cui 200,00 EURO per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese processuali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione civile, il 21 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021
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