LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22118-2016 proposto da:
M.R., elettivamente domiciliato in ROMA alla VIA DEGLI SCIPIONI n. 268/a, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO PETRETTI, che lo rappresenta e difende, unitamente all’avvocato PAOLO BONOMI, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A.GRAMSCI 36, presso lo studio dell’avvocato PAOLO VALERIO DE VITO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GASPARE BERTOLINO, giusta procura in calce al controricorso;
MI.GI., elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE REGINA MARGHERITA 290, presso lo studio dell’avvocato CARLO PONZANO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANFRANCO CECI, in virtù di procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1282/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 29/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/03/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie depositate da M.R. e Mi.Gi..
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. M.G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bergamo i fratelli Gi. e R. per procedere alla divisione della comunione ereditaria della madre A.G., deceduta il *****, la quale aveva disposto dei suoi beni con testamento pubblico del 15 settembre 1993. Si costituivano i convenuti che evidenziavano la necessità di integrare il contraddittorio con gli eredi A., con i quali la madre defunta era in comunione, prospettando altresì la questione relativa alla corretta interpretazione del testamento, quanto al prelegato disposto in favore del figlio R..
Disposta la chiamata in causa dei coeredi A., il Tribunale con sentenza del 27 giugno 2006 definiva il giudizio quanto ai rapporti tra le originarie parti ed i chiamati in causa, e con successiva sentenza n. 1967/2008 statuiva che il prelegato disposto in favore del convenuto R. non si estendeva a tutti i beni collocati sulla particella catastale n. *****, alla quale pur faceva richiamo la testatrice, ma al solo giardino e piccolo fabbricato rustico, secondo la succinta descrizione fatta dalla de cuius.
Peraltro, la limitazione dell’oggetto della disposizione testamentaria al solo piccolo fabbricato rustico trovava conferma nella dichiarazione dello stesso convenuto, con la quale aveva riconosciuto che la volontà della madre era quella di assegnargli a titolo di prelegato il giardino ed il piccolo rustico terminale verso le stalle.
Avverso tale sentenza proponeva appello M.R., cui resistevano le sorelle.
La Corte d’Appello di Brescia, con la sentenza n. 1282 del 29/10/2014, ha rigettato l’appello.
Il gravame verteva, infatti, solo sulla corretta interpretazione della disposizione a favore dell’appellante, contestandosi l’esito cui era giunto il Tribunale volto a limitare il prelegato al solo fabbricato rustico.
Non poteva accedersi alla diversa tesi sostenuta da M.R. secondo cui l’indicazione numerica della particella catastale n. *****, presente nella previsione de qua consentisse di affermare che anche la casa padronale, pacificamente realizzata sulla particella in questione, fosse stata assegnata a titolo di prelegato.
La Corte d’Appello, dopo aver richiamato i principi che presidiano la corretta interpretazione della volontà testamentaria, e l’esigenza di pervenire ad una più penetrante indagine circa la reale volontà del testatore, reputava che il Tribunale avesse correttamente svolto il ruolo assegnatogli.
Effettivamente emergeva una contraddittorietà nel dato letterale, posto che il riferimento alla particella n. ***** segna un’evidente incoerenza rispetto alla descrizione del bene assegnato a titolo di prelegato.
Infatti, su detta particella risulta edificata la cd. casa padronale, mentre la descrizione del testamento fa riferimento ad un piccolo rustico con giardino.
Il contrasto doveva però essere risolto dando prevalenza alla descrizione effettuata dalla de cuius, essendo invece ricollegabile ad un semplice errore la diversa indicazione dei dati catastali, essendo prevalente la conoscenza fisica dei luoghi rispetto a quella dei dati catastali.
In tal senso rilevava la non corrispondenza tra la descrizione di cui alla scheda con la concreta conformazione del bene immobile invece reclamato dall’appellante a titolo di prelegato, trattandosi di una vera e propria abitazione, dotata di un particolare pregio ed importanza, sia pure in non ottimali condizioni manutentive.
Ne’ contrastava con tale conclusione la successiva attribuzione all’appellante, nell’ambito della divisione dei beni tra i coeredi, sempre operata con il testamento, del fabbricato con accesso da ***** con annesso cortile, descrizione questa che si riferisce proprio all’edificio insistente sulla particella n. *****, posto che la casa padronale ha effettivamente acceso dalla detta via pubblica.
Infine, non poteva trascurarsi la circostanza che l’assetto finale del testamento era volto ad assicurare ad ognuno dei coeredi la proprietà di fabbricati destinati ad uso abitativo, in termini sostanzialmente equivalenti, distribuzione questa che sarebbe vanificata pervenendo alla diversa interpretazione propugnata dall’appellante.
Avverso la sentenza d’appello M.R. proponeva revocazione, e la Corte d’Appello, con provvedimento del 22 aprile 2015 sospendeva il termine per proporre ricorso per cassazione.
La stessa Corte d’Appello con sentenza n. 464/2016 del 19 maggio 2016, passata in cosa giudicata, ha dichiarato inammissibile la revocazione, e Mi.Gi. in data 5 luglio 2016 notificava al fratello la sentenza d’appello.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso M.R. sulla base di un motivo, ricorso notificato in data 29/9/2016.
M.G. e Mi.Gi. resistono con separati controricorsi.
M.R. e Mi.Gi. hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
2. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inesistenza ovvero di nullità assoluta del ricorso proposta da M.G. per il difetto di una valida procura speciale per la proposizione del ricorso.
Si deduce che la procura apposta in calce al ricorso è denominata come mandato, ed omette l’indicazione degli estremi della sentenza impugnata, sicché non consente di riferirla al presente giudizio.
La giurisprudenza di questa Corte ha tuttavia affermato che (Cass. n. 24670/2019) in tema di ricorso per cassazione, mentre l’apposizione del mandato a margine del ricorso già redatto esclude di per sé ogni dubbio sulla volontà della parte di proporlo, quale che sia il tenore dei termini usati, la mancanza di tale prova e la conseguente incertezza sull’effettiva volontà della parte non può tradursi in una pronuncia di inammissibilità del ricorso per mancanza di procura speciale, ma va superata attribuendo alla parte la volontà che consenta alla procura di produrre i suoi effetti, secondo il principio di conservazione degli atti (art. 1367 c.c. e art. 159 c.p.c.); pertanto, nel caso di procura apposta in calce o a margine del ricorso per cassazione, il requisito della specialità resta assorbito dal contesto documentale unitario, derivando direttamente dalla relazione fisica tra la delega, ancorché genericamente formulata, e il ricorso (conforme Cass. n. 18468/2014, secondo cui il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione, e’, per sua natura, speciale e non richiede alcuno specifico riferimento al processo in corso, sicché è irrilevante la mancanza di un espresso richiamo al giudizio di legittimità ovvero che la formula adottata faccia cenno a poteri e facoltà solitamente rapportabili al procedimento di merito).
Nella specie, risulta che la procura (non apparendo rilevante la diversa dizione di mandato utilizzata nell’atto) è stata apposta in calce al ricorso e, pur in assenza della specifica indicazione della sentenza impugnata, contiene un’inequivoca manifestazione di volontà di conferire l’incarico difensivo per il giudizio in Cassazione nei confronti delle odierne controricorrenti, che erano appunto le controparti nel giudizio di appello), sicché appare garantito, anche per il contesto topografico di collocazione della procura, il requisito di specificità imposto da norma.
3. Il motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 603,1362,1363 e 2909 c.c., quanto all’interpretazione cui è pervenuto il giudice di appello, che ha escluso che il prelegato contemplasse anche la casa padronale di cui alla particella n. *****.
Si deduce che nella fattispecie si verte in materia di testamento pubblico e che quindi non poteva trascurarsi il fatto che le volontà fossero state ricevute da un notaio che, quale tecnico del diritto, aveva il compito di raccogliere la volontà della testatrice e di tradurla in forma scritta.
Il richiamo nella disposizione a titolo di prelegato a dati catastali riferibili alla casa padronale non poteva quindi essere superato facendo riferimento alla sola descrizione dei beni fatta dalla testatrice, dovendo prevalere il dato tecnico emergente dal riferimento ai dati catastali.
Inoltre, la stessa de cuius era ben a conoscenza delle vicende che avevano interessato i beni a seguito di numerosi frazionamenti, non potendosi quindi reputare che vi fosse un errore nell’individuazione del bene prelegato.
Le controparti però, pur limitando il prelegato al solo fabbricato rustico, non hanno contestato l’inclusione nella disposizione contestata anche di altri mappali sicuramente non riferibili al fabbricato, che invece la Corte d’Appello ha individuato come oggetto del prelegato, sicché sul punto si è formato un giudicato, che contrasta con la diversa soluzione invece accolta quanto alla casa padronale.
Il motivo è infondato.
Le disposizioni testamentarie rilevanti ai fini della controversia sono quelle aventi ad oggetto un prelegato immobiliare in favore del ricorrente aventi il seguente tenore letterale:
“Lascio a mio figlio R. a titolo di prelegato il piccolo rustico con giardino in ***** del censuario di *****.”
e quella, successiva alla istituzione di eredi in parti eguali dei tre figli, Gi., R. e G., quanto alla formazione della quota del ricorrente, così formulata:
“quanto a mio figlio M.R. il fabbricato in ***** avente accesso da ***** con annesso cortile oggi descritto nella mappa del censuario di ***** con i mappali *****”.
I giudici di appello, nell’individuare i beni oggetto del prelegato hanno ritenuto che dovesse prevalere la descrizione fatta dalla testatrice rispetto all’indicazione dei dati catastali, pur contenuta nella scheda testamentaria, e ciò in quanto, ove si fosse ritenuta prevalente l’indicazione della particella n. *****, il prelegato avrebbe ricompreso anche la casa padronale ivi edificata, casa padronale che invece coincideva, quanto alla descrizione, ed in particolare quanto al riferimento alle modalità di accesso dalla *****, con il fabbricato invece destinato a comporre la quota del ricorrente a seguito della divisione fatta dalla testatrice, e ciò anche al fine di soddisfare la composizione di quote omogenee, non solo dal punto di vista quantitativo (in conformità della volontà di istituire eredi i tre figli in quote eguali) ma anche qualitativo (posto che, ognuno dei tre figli, anche alla luce delle donazioni già effettuate in vita, avrebbe ricevuto un bene destinato ad abitazione).
Hanno ritenuto quindi che l’esigenza di pervenire ad una più penetrante indagine della volontà del testore imponesse una lettura ortopedica delle espressioni letterali che nell’insieme componevano la disposizione a titolo di prelegato e che dovesse avere prevalenza la descrizione del bene stesso, posto che, se appariva maggiormente plausibile un errore in ordine alla corretta identificazione catastale del bene stesso, non altrettanto era possibile affermare quanto all’individuazione delle caratteristiche oggettive del bene, già di proprietà della testatrice, e quindi conscia delle differenze rispetto ad altri beni aventi diversa destinazione.
In questa direzione risultava quindi inverosimile che una descrizione riferita ad un piccolo rustico con giardino potesse ricomprendere in sé, solo in ragione del richiamo ai dati catastali, anche la cd. casa padronale (secondo la terminologia in uso presso le parti), e cioè ad un immobile di pregio, senza altresì alludere alla specifica destinazione della stessa.
Ad avviso della Corte deve però escludersi che ricorra la denunciata violazione di legge.
In materia di interpretazione del testamento, è pur vero che (cfr. Cass. n. 23278/2013) il giudice di merito deve accertare secondo il principio generale di ermeneutica enunciato dall’art. 1362 c.c. – applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria – quale sia stata l’effettiva volontà del testatore, comunque espressa, valutando congiuntamente e in modo coordinato l’elemento letterale e quello logico dell’atto unilaterale “mortis causa”, tuttavia, anche laddove si è ritenuto che (cfr. Cass. n. 24637/2010; Cass. n. 14548/2004) l’esigenza di assicurare una più penetrante ricerca, al di là della mera dichiarazione, della volontà del testatore, impone un esame globale della scheda testamentaria, con riferimento, essenzialmente nei casi dubbi, anche ad elementi estrinseci alla scheda, come la cultura, la mentalità e l’ambiente di vita del testatore, potendosi attribuire alle parole usate dal testatore un significato diverso da quello tecnico e letterale, quando si manifesti evidente, nella valutazione complessiva dell’atto, che esse siano state adoperate in senso diverso, purché non contrastante ed antitetico, e si prestino ad esprimere, in modo più adeguato e coerente, la reale intenzione del “de cuius”. Si è però precisato che (così Cass. n. 20204/2005) qualora dall’indagine di fatto riservata al giudice di merito risulti già chiara, in base al contenuto dell’atto, la volontà del testatore, non è consentito – alla stregua del primario criterio ermeneutico della letteralità – il ricorso ad elementi tratti “aliunde” ed estranei alla scheda testamentaria.
E, invero, va ribadito il principio per cui (Cass. n. 5604/2001; Cass. n. 10882/2018) nell’interpretazione del testamento deve privilegiarsi la ricostruzione della volontà del testatore condotta alla stregua degli elementi intrinseci alla scheda testamentaria, sulla base dell’esame globale della scheda stessa, potendosi solo in via sussidiaria, ove cioè dal testo dell’atto non emerga con certezza l’effettiva intenzione del “de cuius” e la portata della disposizione, far ricorso ad elementi estrinseci al testamento, ma pur sempre riferibili al testatore, quali ad esempio la personalità dello stesso, la sua mentalità, cultura, condizione sociale, ambiente di vita, ecc.
Ribadito altresì il principio per cui l’accertamento della volontà testamentaria, risolvendosi in una indagine di fatto da parte del giudice di merito, e’, quindi, sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole di ermeneutica legali o (in passato) per vizi logici e giuridici attinenti la motivazione (così Cass. n. 7422/2005), appare al Collegio evidente l’infondatezza della censura mossa da parte ricorrente.
I giudici di merito, con motivazione congrua ed esauriente, hanno ritenuto che la descrizione del bene assegnato al ricorrente a titolo di prelegato non lasciasse dubbio alcuno circa la possibilità di poter individuare lo stesso nel solo fabbricato rustico, ma soprattutto che non permettesse di includere anche la cd. casa padronale, solo in ragione del riferimento, ritenuto erroneo, al dato catastale di cui alla particella n. *****.
La censura, invero, non appare idonea a dimostrare l’assoluta implausibilità dell’esito al quale sono giunti i giudici di merito, requisito questo necessario per dare spazio alla denuncia dell’errore interpretativo in sede di legittimità, posto che, in assenza di tale allegazione, la doglianza della parte si risolve in una contestazione, non ammissibile in sede di legittimità, dell’accertamento in fatto operato dal giudice di merito, ed al medesimo riservato, specie laddove, come nella fattispecie, sia accompagnato da una congrua e logica motivazione.
Occorre, altresì, ricordare che, con generale riferimento ai criteri interpretativi da seguire in vista della corretta individuazione del bene oggetto del negozio giuridico, questa Corte ha affermato che (Cass. n. 22038/2004) l’individuazione del bene alienato va compiuta in base alla complessiva ed oggettiva descrizione fattane dai contraenti, ivi compresa la misura del fondo che – essendo, ai sensi dell’art. 1538 c.c., irrilevante esclusivamente in riferimento alla determinazione del prezzo – costituisce un elemento idoneo a concorrere, con gli elementi topografico – catastali e con i confini menzionati dalle parti, nella identificazione dell’immobile, precisandosi che la misura e le risultanze catastali non possono avere valore prevalente rispetto ai confini, con cui le parti abbiano inteso ulteriormente specificare il bene venduto.
Nel caso di divergenza tra descrizione e confinazione dei beni e dati catastali, occorre verificare, sul piano storico, lo stato dei luoghi esistenti e conosciuti dalle parti al momento della stipula dell’atto (in senso sostanzialmente conforme Cass. n. 9215/2004 secondo cui ai fini dell’individuazione dell’immobile oggetto del contratto, i dati catastali non hanno valore determinante rispetto al contenuto descrittivo del titolo ed ai confini indicati nell’atto, ad eccezione solamente del caso in cui le parti ad essi abbiano fatto esclusivo riferimento per individuare l’immobile, e manchi un qualsiasi contrasto tra gli stessi ed i confini del bene; Cass. n. 9896/2010; Cass. n. 3996/2017).
Risulta incensurabile, quindi, e conforme a diritto la soluzione dei giudici di appello che, rispetto al dato catastale, hanno dato prevalenza alla descrizione del bene quale contenuta nel testamento, e ritenuta corrispondente alla oggettiva individuazione del bene, in ragione anche della diversa destinazione del rustico con giardino di cui al prelegato, con quella invece ricevuta dal bene insistente sulla particella n. *****, e precisamente a casa padronale.
Ne’ appare risolutivo il richiamo alla natura pubblica del testamento oggetto di causa, in quanto pur trattandosi di atto ricevuto da notaio, si tratta sempre di traduzione in atto pubblico della manifestazione di volontà unicamente riferibile al testatore, come appunto già affermato da Cass. n. 1063/1962, secondo cui il fatto che la disposizione testamentaria su cui sia sorta contestazione sia contenuta in un testamento pubblico, rogato da notaio, non può essere considerato elemento idoneo o addirittura decisivo per escludere l’ambiguità del contenuto della dichiarazione, potendo l’ambiguità rapportarsi alla portata sostanziale della dichiarazione del testatore, intesa nel suo complesso, anziche al significato lessicale o letterale delle parole usate.
Ne’ appare decisiva la circostanza che il richiamo ai dati catastali sia contenuto in un testamento pubblico, avendo sempre questa Corte ribadito che (Cass. n. 1649/2017) il testamento – olografo o pubblico che sia – non deve necessariamente contenere, a pena di nullità, le indicazioni catastali e di configurazione degli immobili cui si riferisce, essendo invece sufficiente, per la validità dell’atto, che tali beni siano comunque identificabili senza possibilità di confusioni, salva la necessità – non attinente, peraltro, ad un requisito di regolarità e validità del testamento – che gli eredi, in sede di denuncia di successione e di trascrizione del testamento medesimo, indichino specificamente gli immobili predetti, menzionandone dati catastali, confinazioni ed altro (Cass. n. 1112/1980).
Ne deriva che è sempre alla volontà del testatore, nella sua espressione più genuina, che occorre guardare al fine di stabilire la reale portata delle volontà testamentarie, e ciò senza che rilevi che si tratti di testamento pubblico o meno, essendo quindi incensurabile la prevalenza, data in via interpretativa alla descrizione oggettiva del bene, rispetto a quanto risultante dai dati catastali richiamati (peraltro non imposti a pena di invalidità dell’atto), e ciò in ossequio alla regola dettata dall’art. 625 c.c., comma 2, attuativa del principio secondo cui falsa demonstratio non nocet.
Ne’ appare censurabile il richiamo fatto in motivazione dal Tribunale alla dichiarazione dello stesso ricorrente, nella quale riconosceva che in realtà il prelegato si limitava al solo piccolo fabbricato rustico, posto che tale elemento è stato del tutto trascurato dai giudici di appello, che hanno fondato la loro decisione avendo riguardo al solo contenuto della scheda testamentaria.
Ma deve altresì ricordarsi che questa Corte ha già affermato che (Cass. n. 22183/2014) non è precluso agli eredi individuare con autonomo atto i beni immobili oggetto di un testamento olografo, specificando i relativi dati catastali, trattandosi di atto che non esaurisce la propria causa nella strumentalità alla trascrizione, ma che, in quanto definisce il contenuto delle disposizioni testamentarie, svolge la funzione, tipica del negozio di accertamento, di ricognizione del contenuto del precedente negozio dispositivo, e determina l’effetto dell’attribuzione, in favore di ciascuno dei soggetti nominati nel testamento, di determinati beni.
D’altronde l’esito ermeneutico cui sono approdati i giudici di merito si correla anche all’esigenza di offrire un’interpretazione sistematica del testamento che tenga conto anche delle altre previsioni in esso contenute, e ciò al fine di non svilire di contenuto la diversa previsione dettata in tema di distribuzione tra i coeredi dei beni relitti, rinvenendosi proprio nella casa padronale l’identificazione del bene, con accesso da *****, con annesso cortile, espressamente attribuito a titolo di quota ereditaria al ricorrente, previsione che accedendo alla tesi sostenuta dall’appellante, rimarrebbe sostanzialmente svuotata di contenuto precettivo.
Non appaiono idonei a scalfire la conclusione, circa la non denuncibilità dell’interpretazione offerta dalla Corte di merito, sia il richiamo alle vicende catastali che hanno toccato i vari beni ereditari, posto che attengono a profili che, con apprezzamento in fatto, sono stati ritenuti recessivi rispetto al dato oggettivo della descrizione (e che presuppongono l’accertamento in fatto, precluso in sede di legittimità, che la testatrice avesse una piena ed assoluta consapevolezza della corrispondenza tra i singoli immobili, quali individuati in base alla loro attuale destinazione con i dati catastali agli stessi attribuiti) sia il riferimento alle modalità di accesso alla casa padronale da *****, avendo la Corte d’Appello, sempre con accertamento in fatto, riscontrato che anche la casa padronale in realtà fruisce di tale accesso per il collegamento alla pubblica via.
Infine, deve escludersi la violazione dell’art. 2909 c.c., e ciò in considerazione del fatto che la sentenza impugnata, alla luce delle contestazioni sollevate dalle parti era stata chiamata a risolvere la questione concernente l’individuazione dell’oggetto del prelegato unicamente per quanto atteneva all’inclusione nello stesso anche della casa padronale di cui alla particella catastale n. *****.
L’assenza di contestazioni in merito alla inclusione nel prelegato anche di mappali diversi dal ***** e concernenti beni asseritamente diversi dal solo piccolo fabbricato rurale con giardino, esclude che la questione sia stata oggetto di una decisione ancorché implicita da parte del giudice di merito, sulla quale possa essersi formato il giudicato, di tal che l’esclusione dal prelegato della casa padronale non risulta porsi in contrasto con l’individuazione tra i beni inclusi, del piccolo fabbricato rurale con giardino, oltre che di altri mappali, e per i quali non si pone, a differenza della casa padronale, la necessità di verificarne la compatibilità con la restante parte del testamento.
4. Il ricorso deve quindi essere rigettato, dovendosi regolare le spese in base al principio della soccombenza, con distrazione in favore dell’avv. Gianfranco Ceci e Carlo Ponzano per la controricorrente Mi.Gi..
5. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso in favore delle controricorrenti delle spese del presente giudizio che liquida per Mi.Gi. in complessivi Euro 8.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge, se dovuti, con attribuzione all’avv. Gianfranco Ceci ed all’avv. Carlo Ponzano, dichiaratisene antistatari, e per M.G. in complessivi Euro 7.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge, se dovuti;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2021
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