Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.21608 del 28/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – rel. Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16285-2016 proposto da:

P.E., QUALE EREDE DI P.F. E QUALE PROCURATORE DI P.A., PA.EM. QUALE EREDE DI P.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SALVATORE LORIZZO n. 140, presso lo studio dell’avvocato P.E., rappresentati e difesi dall’avvocato VITTORIO D’ANGELO;

– ricorrenti –

contro

C.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 402/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 30/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/03/2021 dal Consigliere e Presidente Dott. SERGIO GORJAN.

FATTI DI CAUSA

Con ricorso per la tutela del possesso depositato il 6.2.1988 i germani F. e Pa.Fi. ebbero ad evocare in causa il fratello P.D. affermando che questi, mediante l’erezione di recinzione – qualche giorno prima la proposizione del ricorso -, li aveva spogliati dell’accesso a terreno da loro goduto a fianco della casa d’abitazione e di tre locali da loro utilizzati.

Resistette P.D. osservando come i beni contesi erano in effetti compendio ereditario, relativamente al quale era in corso giudizio divisorio e come l’azione svolta era tardiva poiché scorso l’anno dallo spoglio.

Il Tribunale di Ascoli Piceno, ad esito della trattazione istruttoria della lite possessoria, ebbe a rigettare la domanda, dando atto che a Pa.Fi. era succeduto P.A., rappresentato dal procuratore P.E., mentre, morto P.D., era subentrata la vedova C.G..

I germani P. proposero gravame avanti al Corte d’Appello di Ancona, che rigettò l’impugnazione, osservando come l’azione di spoglio s’era maturata con condotte progressive, sicché il termine decadenziale correva dal primo atto inequivocamente diretto allo spoglio e, non già, dall’ultimo e come le prove circa il possesso vantato erano equivoche.

P.E., quale erede di P.F. e procuratore di P.A., e Pa.Em., quale erede di P.F., hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte dorica fondato su quattro motivi, illustrato anche con memoria.

C.G., benché regolarmente citata, non s’e’ costituita.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto dai consorti P. s’appalesa infondato e va rigettato.

Con il primo mezzo d’impugnazione i ricorrenti denunziano violazione del disposto ex art. 536 c.c. ed artt. 101,102,110 e 111 c.p.c. con conseguente nullità, ex art. 360 c.p.c., n. 4, poiché la Corte dorica non ha rilevato che la C. non era l’unica erede del defunto resistente P.D., in quanto risultavano esservi ed il figlio O. – non ammesso quale testimone proprio per detta sua qualità – ed i suoi germani eredi legittimari del padre.

La censura proposta s’appalesa priva di fondamento giuridico posto che gli stessi ricorrenti ricordano come P.D. dispose delle sue sostanze con testamento che costituiva unica erede la moglie C.G. – parte in causa -.

E’ ben vero che i fogli pretermessi, in quanto legittimari, possono rivendicare la qualità d’erede e superare le disposizioni testamentarie, ma – Cass. sez. 2 n. 2914/20 – sino a che il legittimario pretermesso non agisce per rivendicare il suo diritto ereditario non assume la qualità d’erede accettante e, quindi, non diviene parte processuale in successione del genitore, come avvenuto nella specie.

Difatti i ricorrenti deducono l’esistenza, bensì di eredi legittimari pretermessi in forza del testamento, ma non anche dimostrano che l’atto di disposizione delle ultime volontà, che istituiva erede unica la moglie – parte in causa -, sia stato impugnato dagli eredi legittimari pretermessi.

Con la seconda ragione di doglianza i consorti P. lamentano violazione della norma ex art. 1168 c.c., posto che il Collegio dorico aveva errato a ritenere chiesta la reintegra anche del terreno circostante l’edificio, bensì solo dei tre vani l’acceso ai quali era stato impedito dalla recinzione apposta da P.D. ed, inoltre, erroneamente aveva ritenuto provata un’azione programmatica dello spogliante – relativamente alla quale in atti non risultava versata prova – travisando le dichiarazioni dell’- allora – teste P.E. e non rilevando che diversi erano i beni, il cui godimento era stato loro impedito dalle azioni iniziali di spoglio messo in essere dal congiunto.

La censura mossa appare compendiarsi nella proposizione di opzione valutativa degli elementi probatori utilizzati dai Giudici del merito per ritenere sussistente in concreto una continuità tra le azioni iniziali di spoglio e l’ultima condotta che precluse del tutto l’accesso ai tre vani, del cui possesso si chiedeva d’esser reintegrati, alternativa rispetto a quanto ritenuto dal Collegio dorico.

Difatti la Corte anconetana ha esaminato il compendio probatorio acquisito in atti e ritenuto che, in effetti, l’azione di spoglio ebbe inizio nel 1981/1982 per concludersi, attraverso varie azioni progressive tutte però legate da unico scopo teleologico evidente sin dall’inizio, con la chiusura dell’accesso al terreno ed ai vani, siti sul fianco e retro della casa, agli originari ricorrenti in possessoria.

I Giudici marchigiani hanno puntualmente motivato detto loro accertamento con specifico richiamo alla testimonianza resa da P.E. – all’epoca non ancora parte del procedimento -, alle contestazioni, sfociate anche con l’intervento dei Carabinieri, ed alla proposizione di denunzie circa la reazione degli asseriti spogliati sin dalle prime condotte, messe in esser da P.D., tese a collocare la recinzione per chiudere totalmente il terreno ritenuto di sua proprietà.

La Corte dorica, per altro, sulla scorta di detto accertamento ha operato richiamo all’insegnamento di questa Suprema Corte in tema di spoglio avvenuto mediante più azioni collocate, bensì, nel tempo ma avvinte dal medesimo disegno teleologico – Cass. sez. 2 n. 16259/03, Cass. sez. 2 n. 13116/07, Cass. sez. 2 n. 20134/17 -, sicché non assume rilievo a tal fine la singola condotta spogliativa che si deduce abbia privato del possesso di una determinata situazione, quando inserita inequivocabilmente in un’azione tesa a scopo unitario.

L’argomentazione critica svolta si limita ad una rilettura e delle dichiarazioni rese dai testi, in specie dell’- allora – teste P.E., per elaborare opzione interpretativa meramente alternativa a quella elaborata dalla Corte di merito. Con il terzo motivo di impugnazione parte ricorrente denunzia omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, individuato nel mancato rilievo, da parte della Corte dorica, che le condotte di spoglio furono due:

una diretta ad impossessarsi dei terreni coltivabili e l’altra dei tre vani, con conseguente confusione circa i tempi utili alla reazione in sede possessoria.

Detto motivo appare privo di pregio per due autonome ragioni.

Anzitutto, va rilevato come a sensi dell’art. 348 ter c.p.c., in quanto la sentenza impugnata emessa dopo l’introduzione di detta norma, non sia possibile la denunzia in cassazione del vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 in presenza, come nella specie, di due decisioni conformi di merito.

In secondo luogo, l’argomentazione critica sviluppa in effetti una contestazione di merito rispetto alla motivazione sul punto resa dalla Corte territoriale e, non già, indica un fatto, la cui valutazione risulta omessa.

Difatti la Corte dorica ha esaminato la questione dell’asserito spoglio del possesso afferente i tre vani e ritenuto che, oltre che tardiva l’azione, comunque le prove addotte in causa non dimostravano adeguatamente l’esistenza dell’asserito possesso di detti vani – anzi due erano indicati dagli stessi ricorrenti siccome già in godimento del P.D. prima della posa dell’ultimo tratto di recinzione – e detta autonoma ratio decidendi non risulta attinta da specifica contestazione.

Con la quarta doglianza i consorti P. rilevano errata applicazione di norme di diritto – non indicate – ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto la Corte dorica ha ritenuto insussistente l’azione di spoglio denunziata con relazione alla condotta fognaria, poiché i lavori di risanamento della medesima ben potevano compiersi anche se collocata su sedime altrui, ex art. 843 c.c.

Ma ad opinione dei ricorrenti lo spoglio era eclatante, posto che la condotta era posta in fondo di loro proprietà e, non già, su fondo altrui, sicché evidente era la fondatezza della loro domanda sul punto.

La censura appare inammissibile poiché apodittica, in quanto non svolto alcun argomento critico a sostegno della censura mossa, poiché solo dedotta l’evidenza del patito spoglio al riguardo, mentre la Corte dorica ha posto in evidenza come la chiusura del fondo, nel quale risulta interrata la condotta, era avvenuta oltre un anno prima della proposizione dell’azione di tutela possessoria e come, comunque, i ricorrenti nemmeno avessero dedotto d’aver chiesto a controparte di potere ultimare i lavori di risanamento della citata condotta, ottenendone rifiuto.

Al rigetto del ricorso non segue statuizione sulle spese di lite stante la mancata costituzione della parte resistente.

I ricorrenti sono tenuti al versamento dell’ulteriore contributo unificato, ove dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in camera di consiglio, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2021

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