Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.21619 del 28/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15922/2016 R.G. proposto da:

M.C., rappresentata e difesa dall’avv. Stefano Pacifici, con domicilio eletto in Roma, Via Augusto Diamanti n. 19, presso l’avv. Gianpaola Gargiulo.

– ricorrente –

contro

T.R., G.L., E G.R., rappresentati e difesi dall’avv. Massimo De Filippis, con domicilio in *****;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 241/2015, pubblicata in data 26.5.2015;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 8.4.2021 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con sentenza n. 241/2015, la Corte d’appello di Lecce ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta da M.C. avverso la pronuncia con cui il tribunale di Taranto aveva respinto la domanda di usucapione dell’immobile descritto in atti, proposta dall’appellante.

Secondo il giudice distrettuale, la nuova formulazione dell’art. 342 c.p.c., pur lasciando inalterata la forma dell’atto, richiederebbe, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle parti del provvedimento che la parte abbia inteso impugnare e delle modifiche alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado, con indicazione delle circostanze da cui derivi la violazione di legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata, mentre – nello specifico – non erano stante indicate le parti della decisione di cui si chiedeva la riforma (né era stato specificato in quale modo dovessero essere modificate), era stato riproposto lo stesso iter del primo grado anche da un punto di vista logico-ricostruttivo e, soprattutto, non era stato individuato il nesso causale tra l’errore denunciato e la decisione impugnata.

La cassazione della sentenza è chiesta da M.C. con ricorso basato su cinque motivi.

T.R., G.L. e G.R. resistono con controricorso.

2. Il primo motivo di ricorso solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 342 c.p.c., come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito con L. n. 134 del 2012, per carenza dei requisiti imposti dall’art. 77 Cost., sostenendo che, stante l’applicabilità della nuova formulazione agli appelli introdotti con ricorso depositato o con citazione notificata a partire dal trentesimo giorno dall’entrata in vigore della legge di conversione, le disposizioni del decreto legge risulterebbero carenti del presupposto della necessità ed urgenza.

Il motivo è infondato.

La nuova formulazione dell’art. 342 c.p.c. si inserisce nel quadro di un intervento organico di riforma del giudizio di appello che ne ha ridisegnato la fisionomia su aspetti di assoluto rilievo, attingendo, in particolare, i requisiti e le nuove ipotesi di ammissibilità dell’impugnazione (artt. 342,348 bis e ter c.p.c.) ed il regime delle prove (art. 345 c.p.c.).

Trattasi di disposizioni che benché, in parte qua, introdotte dalla legge di conversione, appaiono ispirate ad un disegno normativo unitario concernente la medesima materia.

Pur venendo comunque in rilievo i presupposti della decretazione d’urgenza (Corte Cost. 355/2010), la questione appare – tuttavia manifestamente infondata.

Non solo, difatti, lo scrutinio di costituzionalità circa l’esistenza dei requisiti di necessità e d’urgenza deve svolgersi su un piano diverso dalle valutazioni del Governo e del Parlamento in sede di conversione, potendo venire in rilievo solo l’evidente carenza dei presupposti menzionati dall’art. 77 Cost. (cfr., tra le tante, Corte Cost. 287/2016; Corte Cost. 133/2016), ma inoltre il differimento dell’entrata in vigore delle disposizioni processuali non esclude di per sé la sussistenza dei presupposti della decretazione, data la ragionevole esigenza di assicurare un intervallo temporale – peraltro contenuto – affinché potesse gradualmente entrare a regime una complessa riforma processuale, quale quella di cui si discute.

3. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 342 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, censurando l’erroneità della dichiarazione di inammissibilità dell’appello. Sostiene il ricorrente che l’impugnazione sollevava tre distinte contestazioni dirette ad ottenere l’integrale riforma della pronuncia impugnata, e conteneva una compiuta esposizione delle ragioni di dissenso vertenti, rispettivamente, sulla qualificazione del potere di fatto esercitato dalla ricorrente, sulla irrilevanza di eventuali atti di interversione del possesso e sul pieno assolvimento dell’onere della prova dell’esercizio del possesso ad usucapionem.

Il motivo è fondato.

La Corte distrettuale ha erroneamente giudicato inammissibile l’impugnazione in assenza dell’indicazione delle parti della sentenza di cui la M. aveva inteso ottenere la riforma e della individuazione del nesso causale intercorrente tra l’errore denunciato e la pronuncia, ciò sull’assunto che la nuova formulazione dell’art. 342 c.p.c., come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con L. n. 134 del 2012, avrebbe imposto rigorose prescrizioni contenutistiche dell’impugnazione.

Secondo l’insegnamento di questa Corte, gli artt. 342 e 434 c.p.c., vanno invece interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. S.u. 27199/2017).

Non erano quindi necessarie la formale indicazione delle parti della sentenza impugnata, l’espressa individuazione delle modifiche di apportare alla ricostruzione in fatto o in diritto operata dal primo giudice tanto più che, come si evince dall’esame dell’atto di appello e dalla stessa sentenza impugnata (cfr. pagg. 2-3), la ricorrente aveva chiesto la riforma integrale della decisione, contestando in modo argomentato la decisione di primo grado, specie riguardo alla natura del potere esercitato, invocando l’operatività della presunzione di possesso sancita dall’art. 1141 c.c..

L’impugnazione, pur non strutturata, possedeva – in definitiva – tutti i requisiti di contenuto richiesti dall’art. 342 c.p.c., nonostante la riproposizione di gran parte delle questioni già poste all’esame del tribunale.

Ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, può difatti sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, non essendo necessaria l’allegazione di profili fattuali e giuridici aggiuntivi, purché ciò – come nel caso in esame – determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice (Cass. 23781/2020; Cass. 2814/2016).

4. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 1141 c.c., commi 1 e 2, e l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, affermando che, sebbene l’immobile fosse stato in precedenza detenuto dal fratello della M., quest’ultima non aveva ottenuto la disponibilità del bene a titolo precario e pertanto, potendo invocare la presunzione di possesso, non era tenuta a dimostrare di aver compiuto atti di interversione.

Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che, avendo la ricorrente provato di aver esercitato il possesso per tutto il tempo necessario per l’usucapione, era onere dei convenuti provare che il potere di fatto fosse stato esercitato a titolo di detenzione.

Il quinto motivo deduce la violazione degli artt. 115 e 1158 c.c., e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, censurando la sentenza nel punto in cui ha dato rilievo ai fini della prova del possesso, al trasferimento della residenza anagrafica presso l’immobile solo a far data dal 1994, nonché per aver ritenuto carente la prova del possesso ultraventennale, in contrasto con quanto emerso dall’esito della prova orale.

I tre motivi sono assorbiti, competendo al giudice del rinvio valutare nuovamente il merito della lite, tenendo conto dei rilievi e delle questioni sollevate nel giudizio di appello.

In conclusione, è accolto il secondo motivo di ricorso, è respinto il primo motivo e sono dichiarate assorbite le altre censure.

La sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.

PQM

accoglie il secondo motivo, respinge il primo e dichiara assorbiti gli altri motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 8 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2021

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