Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.21624 del 28/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 25475/2016) proposto da:

IMMOBILIARE SERPIERI DI M.R. S.A.S. (C.F.: *****), in persona dei legali rappresentanti pro-tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.ti Francesco Cucci, e Luca Perone, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, via Monte Zebio, n. 7;

– ricorrente –

contro

KASTAVROT di MO.MA. & C. S.A S., (P.I.: *****), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso, dagli Avv.ti Benedetto Graziosi, e Giacomo Graziosi, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del Dott. Alfredo Placidi, in Roma, v. Cosseria, n. 2;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 532/2016 (pubblicata il 29 marzo 2016);

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13 aprile 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

lette le memorie depositate dalle difese di entrambe le parti ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

RITENUTO IN FATTO

1. La Immobiliare Serpieri s.a.s. conveniva in giudizio, nell’anno 2005, dinanzi al Tribunale di Rimini, la Kastavrot s.a.s., chiedendo, previa declaratoria di usucapione di tenere il fabbricato (sito in *****) a distanza dal confine inferiore a quella prevista per legge, che venisse riconosciuto il suo intervenuto acquisto per usucapione di una servitù di passaggio pedonale e carrabile esercitata sulla proprietà della predetta convenuta nonché, sempre a titolo di usucapione, dell’acquisto di una servitù di veduta, con conseguente ordine di demolizione del fabbricato della citata convenuta ed il ripristino dello stato dei luoghi, oltre al risarcimento dei danni.

Nella costituzione della società convenuta, che instava per il rigetto delle avverse pretese, l’adito Tribunale di Rimini, con sentenza n. 1364/2010, in parziale accoglimento delle domande attrici, condannava la Kastavrot s.a.s. ad arretrare il fabbricato in corso di costruzione sul fondo di sua proprietà alla distanza di metri tre dal fabbricato esistente sul fondo dell’attrice, rigettando ogni altra domanda e compensando le spese nella misura della metà, ponendo la residua metà a carico della convenuta.

2. Decidendo sull’appello formulato dalla Kastavrot s.a.s., cui resisteva l’appellata (la quale, a sua volta, proponeva appello incidentale), la Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 532/2016 (pubblicata il 29 marzo 2016), ad integrazione e parziale modifica dell’impugnata decisione di prime cure, dichiarava l’intervenuto acquisto per usucapione della società Immobiliare Serpieri a mantenere il fabbricato di sua proprietà (distinto al catasto fabbricati del Comune di *****) a distanza dal confine inferiore a quella legale, rigettando tutte le altre domande avanzate da entrambe le parti, regolando, poi, le complessive spese giudiziali di entrambi i gradi.

A fondamento dell’adottata pronuncia la Corte felsinea dava, innanzitutto, atto che nelle more il Consiglio di Stato aveva dichiarato la legittimità di tre provvedimenti di condono richiesti dalla società Serpieri, ragion per cui l’appellante principale non aveva più interesse al riconoscimento delle pretese che riguardavano gli abusi edilizi poi superati dalla sanatoria amministrativa.

Di seguito, considerata – secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte l’ammissibilità della domanda di usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione edificata a distanza inferiore a quella fissata per legge, rigettava il relativo motivo formulato dall’appellante principale. Indi, ravvisava la fondatezza del primo motivo di appello incidentale inerente la denunciata omissione nel dispositivo della sentenza di primo grado della declaratoria di usucapione, a favore dell’Immobiliare Serpieri della servitù di mantenere il proprio fabbricato a distanza inferiore rispetto a quella legale. La Corte di secondo grado respingeva, infine, tutti gli altri motivi dei due gravami.

3. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, la Immobiliare Serpieri s.a.s..

Si è costituita con controricorso l’intimata s.a.s. Kastavrot.

Le difese di entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., sul presupposto che la Corte di appello aveva, con l’impugnata sentenza, ritenuto che al Tribunale di Rimini non fosse stata rivolta da essa società, quale attrice, la domanda di arretramento del fabbricato della società Kastavrot a tre metri dal proprio, a tutela della distanza tra fabbricati prevista dall’art. 873 c.c., arretramento poi, in effetti, disposto dal Tribunale di Rimini, ma con pronuncia da considerarsi affetta dal vizio di ultrapetizione.

2. Con la seconda doglianza la società ricorrente ha dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1027,1031 e 1061 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., comma 2 e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), , per aver la Corte di appello illegittimamente rigettato l’appello incidentale diretto a sentir riformare la sentenza di primo grado nel punto in cui non aveva riconosciuto l’acquisto a titolo di usucapione della servitù di passaggio a favore del fondo di sua proprietà ed a carico di quello della controparte. Detta società ha prospettato che, con l’impugnata sentenza, era stata erroneamente applicata la giurisprudenza di legittimità formatasi sull’idoneità a dimostrare il possesso della servitù discontinua non apparente di passaggio anche di opere visibili poste non già sul fondo servente ma su quello dominante, purché inequivocabilmente destinate all’esercizio della servitù, ed anche per aver tratto conclusioni illogiche su risultanze istruttorie acquisite in altro processo avente ad oggetto la richiesta di tutela possessoria della stessa attività di passaggio, celebratosi tra le stesse parti dinanzi al Tribunale di Rimini, in base alla semplice lettura della sentenza emessa a conclusione di quel diverso giudizio depositata in atti.

3. Con la terza censura la società ricorrente ha denunciato – avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione degli artt. 1027,1031,1142 e 1061 c.c., per aver la Corte di appello illegittimamente respinto la domanda tesa a sentir riconoscere l’acquisto a titolo di usucapione della servitù di veduta, disapplicando i principi di legge, come dettati dalle norme e come chiariti dalla giurisprudenza di legittimità. Con lo stesso motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2, art. 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) e art. 167 c.p.c., per aver la Corte di appello interpretato in maniera non conforme al diritto le risultanze istruttorie, laddove aveva ritenuto che non fosse emersa in primo grado la prova dell’esistenza e della permanenza in essere, da almeno vent’anni prima dell’instaurazione del giudizio di primo grado, nel fabbricato di essa ricorrente, della terrazza praticabile, con caratteristiche tali da poter consentire di “inspicere” e “prospicere” “in re aliena” per tutto il periodo necessario ad usucapire la servitù di veduta.

4. Con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente ha denunciato il vizio di omessa pronuncia sulla domanda di svincolo e di restituzione della somma depositata a titolo di fideiussione bancaria, essendo venute meno le necessità cautelari che ne avevano giustificato l’emissione e la consegna quale cauzione imposta dal giudice nella fase cautelare per il caso in cui la sospensione dei lavori ordinata nel procedimento per denuncia di nuova opera fosse poi risultata illegittima all’esito del successivo giudizio di merito.

5. Rileva il collegio che il primo motivo è infondato e va, pertanto, respinto.

Si osserva, infatti, che correttamente la Corte di appello ha motivatamente spiegato perché il Tribunale era incorso nella violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo ritenuto sussistente anche la violazione delle distanze tra i fabbricati nonostante la relativa domanda non fosse stata reiterata in sede di precisazione delle conclusioni (riportate testualmente anche in controricorso a pag. 12, laddove si riscontra che era richiesto l’accertamento dell’illegittimità delle opere intraprese dalla società convenuta, sì da consentire all’attrice l’esercizio della servitù di passaggio anche carrabile, oggi impedito, e di veduta, come meglio descritti in atti e dalla medesima ricorrente usucapiti e/o posseduti). Peraltro, non vertendosi in una questione di “qualificazione” della domanda né di sua supposta errata interpretazione, essa non era stata univocamente inserita nelle conclusioni “preliminari di merito” contenute nell’atto di citazione, laddove la società attrice aveva posto riferimento solo alla pretesa di riconoscimento delle proprie servitù di passaggio e di veduta, nonché all’accertamento del suo diritto di mantenere il proprio immobile a distanza dal confine inferiore a quella legale. Da ciò conseguiva che non avrebbe potuto essere accolta con la sentenza di primo grado una non proposta domanda di arretramento per violazione delle distanze tra edifici ai sensi dell’art. 873 c.c., oltretutto fondata su differenti presupposti.

E’, invero, pacifica la giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 16808/2016 e Cass. n. 10622/2017) nel ritenere che la disciplina sulle distanze delle costruzioni dalle vedute, di cui all’art. 907 c.c., ha natura giuridica, presupposti di fatto e contenuto precettivo diversi da quella delle distanze tra costruzioni, di cui all’art. 873 c.c., poiché la prima mira a tutelare il proprietario del bene dall’indiscrezione del vicino, mentre la seconda è volta ad evitare la formazione di intercapedini dannose, sicché incorre nel vizio di extrapetizione il giudice che, a fronte di una domanda che denuncia la violazione sulle distanze dalle vedute, condanni il convenuto per la violazione dell’art. 873 c.c..

6. Anche la seconda censura è priva di fondamento e deve, quindi, essere rigettata. Occorre, infatti, evidenziare che, con riferimento alla domanda di usucapione della servitù di passaggio carrabile sul fondo della società Kastavrot, la Corte di appello ha legittimamente ritenuto che essa non potesse essere accolta per mancanza di opere apparenti che dimostrassero il prospettato asservimento (quale requisito imprescindibile allo scopo: cfr., per tutte, Cass. n. 24856/2014), aggiungendo che tale requisito si profila necessario anche quando, eventualmente, un’opera apparente sia presente solo sul fondo dominante. Ma la Corte bolognese, con adeguata valutazione di merito (ed insindacabile, perciò, nella presente sede di legittimità), ha dato conto che non era rimasto accertato questo nesso di asservimento e che tale convincimento era rimasto corroborato anche dagli esiti (sia in fase interdittale che a conclusione del giudizio di merito possessorio) di un collegato procedimento possessorio, in cui era stata esclusa l’esistenza di una servitù di passaggio, per come desumibile anche dalle prove in esso assunte, utilizzabili ammissibilmente come prove atipiche.

Sempre con valutazione di merito non censurabile in questa sede (essendo, ovviamente, inammissibile la sollecitazione ad una rivalutazione degli esiti istruttori e spettando unicamente al giudice del merito la selezione di quelli considerati maggiormente attendibili ai fini del raggiungimento del suo convincimento) il giudice di appello ha ritenuto come fosse rimasto accertato che il passaggio sul fondo Kastavrot da parte di alcuni proprietari e conduttori della società ricorrente era avvenuto solo a titolo di cortesia (tanto è vero che era possibile solo a seguito del consenso di uno dei soci della controricorrente che, ove necessario, consegnava il telecomando del cancello per consentire lo scarico delle merci e, quindi, solo a titolo di mera cortesia personale e non certo nella qualità di titolari delle singole unità immobiliari per l’utilitas delle stesse).

7. La terza doglianza si profila inammissibile, perché, nella sua essenza, si risolve nella sollecitazione di una rivalutazione di merito da parte di questa Corte. In ogni caso è infondata.

Con essa, in effetti, la ricorrente non coglie la “ratio decidendi” dell’impugnata sentenza, poiché la Corte di appello non ha affatto affermato che la controversa terrazza sarebbe di recente realizzazione ma ha rilevato che, ai fini dell’usucapione del diritto di prospetto, occorreva dimostrare che la stessa terrazza fosse fornita di caratteristiche tali da consentire l’inspectio e la prospectio non solo alla data della domanda introduttiva (proposta nel 2005) ma anche nei venti anni precedenti (con l’esercizio del relativo possesso dotato dei requisiti previsti dall’art. 1158 c.c.), dando atto che di tale necessaria circostanza non era stata offerta alcuna prova idonea e che, in senso contrario, era rimasto accertato come dalla c.t.u. fosse emerso che l’immobile già nel 2005 versava in precarie condizioni (presentando, ad es., il tetto crollato, che ne aveva determinato una condizione di pericolosità) e che, quindi, questo dato oggettivo lasciava presumere – difettando, in ogni caso, una prova contraria che i luoghi non erano stati mai “medio tempore” modificati.

8. Il quarto ed ultimo motivo è da qualificarsi inammissibile.

Ad di là della circostanza che l’istanza di svincolo della cauzione avrebbe dovuto essere proposta dinanzi al giudice che l’aveva imposta e che, in ogni caso, una volta sopravvenuta la revoca dell’ordine di sospensione dei lavori disposta con ordinanza dell’ottobre 2005 dal Tribunale di Rimini, erano venuti a cessare i presupposti per la protrazione dei suoi effetti, va osservato, in via preliminare ed assorbente, che il provvedimento sullo svincolo della cauzione non ha natura di atto decisorio e, pertanto, esso non è suscettibile di ricorso per cassazione, anche nell’eventualità del rigetto della relativa richiesta o di omessa pronuncia sulla stessa (cfr., ad es., Cass. n. 5406/1986).

9. In definitiva, il ricorso deve essere integralmente respinto, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessive Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione 2 civile, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2021

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