Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.21668 del 29/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giusep – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22927-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

T.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 111/2013 della COMM.TRIB.REG. di BOLOGNA, depositata il 24/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/09/2020 dal Consigliere Dott. D’AURIA GIUSEPPE.

FATTI DI CAUSA

La vicenda giudiziaria trae origine dall’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate, premesso che vi era stata una vendita immobiliare sovrafatturata tra Foredil e la T. Financial Group, riteneva che la parte del prezzo oggetto di simulazione fosse stata poi distribuita tra i soci della soc. acquirente, e quindi dovesse essere ripreso a tassazione dovendo essere considerato reddito di capitale per il socio T.A..

A seguito di impugnazione di tale avviso, la CTP di Ravenna, avendo ritenuto l’inesistenza della simulazione parziale del prezzo, nella lite instaurata dalla T. Financial Group, annullava l’accertamento emesso.

Tale sentenza, a seguito dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, era confermata dalla CTR (sent. 111/ 02 /13), essendo stata anche in appello esclusa la simulazione del prezzo da parte della T. Financial Group.

Propone ricorso in Cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandosi a 2 motivi così sintetizzabili:

i) Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed omessa applicazione dell’art. 295 c.p.c. e violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

2) Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61 e dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di gravame la Agenzia delle Entrate assume che il giudice di appello abbia dato prevalenza alla decisione emessa nei confronti della società T. Financial Group da cui derivava il reddito di capitale poi imputato anche al socio T.A., sebbene non era divenuta, cosa giudicata, laddove avrebbe dovuto eventualmente sospendere la lite.

In sostanza si duole della mancata riunione dei processi pendenti uno riguardante la società T. Financial, l’altra il socio T.A..

Occorre ribadire che l’omessa riunione non rileva nemmeno sotto il profilo dell’art. 151, disp. att. c.p.c., trattandosi di norma non presidiata da espressa sanzione di nullità e la cui violazione può essere prospettata in sede di impugnazione, soltanto deducendo il pregiudizio che nel caso non è stato indicato, e peraltro non è evidente, considerato che ove riuniti, l’esito della lite riguardante il T. sarebbe stato analogo, visto che la stessa ricorrente non nega la dipendenza tra la lite riguardante la società e quella del socio, tant’e’ che ne invoca la sospensione.

Comunque nel caso in esame, pur non essendoci stata una formale riunione delle due liti, le impugnazioni hanno sostanzialmente avuto uno svolgimento unitario, in quanto chiamate alla stessa udienza, nonché contestualmente discusse e decise dallo stesso collegio con il medesimo relatore, sicché si configura una mera redazione separata di due pronunce per una decisione di tipo unitario.

La norma giuridica da applicare per la risoluzione della controversia non e’, dunque, quella indicata dal ricorrente, ma il principio giurisprudenziale, secondo il quale “la riunione di due o più atti, d’impugnazione può risultare anche implicitamente dalla sentenza che si pronuncia su di essi”.

Nel caso la Ctr ha dato atto proprio nella sentenza impugnata che la questione pregiudiziale circa la simulazione del prezzo, (che secondo l’Agenzia costituiva un escamotage per distribuire utili ai soci in nero), era stata decisa nella stessa udienza, cosa peraltro ben nota alle parti processuali, e quindi né ha tratto le dovute conseguenze.

Per quanto riguarda il secondo motivo anch’esso due interessi infondato visto che il giudice ha posto in evidenza che una volta esclusa la simulazione sul prezzo versato dalla T. Group non vi era spazio per ritenere che fossero stati distribuiti utili ai singoli soci.

Poiché questa Corte nella stessa composizione e nella stessa udienza, ha deciso l’impugnazione avverso la decisione parallela della Ctr, confermandola, deve ritenersi ormai coperta, da giudicato esterno la circostanza che non vi fosse la prova della simulazione del prezzo. In conclusione pur volendo per mera ipotesi, ritenere esistente il vizio denunciato, occorre sottolineare, in base a principi ormai consolidati, che l’annullamento della sentenza impugnata si rende necessario solo allorché nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata (tra le altre, Cass., 23 febbraio 2010, nò 4340), il che è da escludere nel caso de quo.

Pertanto l’impugnazione va rigettata, nulla sulle spese non essendosi costituito il resistente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

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