LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. SUCCI Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. D’AURIA Giusep – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22681-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
M.M.; RISCOSSIONE SICILIA S.P.A.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 109/2011 della COMM.TRIB.REG. SICILIA, depositata il 05/10/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/11/2020 dal Consigliere Dott. D’AURIA GIUSEPPE.
FATTI DI CAUSA
La vicenda giudiziaria trae origine dai due avvisi di accertamento emesso dalla Agenzia delle Entrate nei confronti della ditta individuale M.M., relativamente agli anni di imposta 2002 e 2003, con cui era rideterminata una maggiore pretesa fiscale sia ai fini del reddito che ai fini Iva ed Irap, in applicazione degli studi di settore.
A seguito dell’impugnazione di entrambi gli avvisi proposta dal contribuente, la Ctp di Agrigento confermava gli accertamenti.
La Ctr di Palermo, a seguito di appello del contribuente, in riforma della impugnata sentenza annullava gli atti impositivi opposti in primo grado.
Propone ricorso in Cassazione l’Agenzia delle Entrate, dopo la sospensione dei termini processuali prevista dal D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12 convertito con modificazioni dalla L. n. 111 del 2011, affidandosi a vari motivi così sintetizzabili:
1) Violazione e falsa applicazione di legge art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;
2) Violazione e /o falsa applicazione di legge: D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2 ed della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
3) Violazione e /o falsa applicazione di legge: D.P.R. n. 600 del 1972, art. 39, comma, lett. D; del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 bis e art. 62 sexies, comma 3 conv. in L. n. 427 del 1993; artt. 2697, 2727,2728, 2729 c.c. ed artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
4) Omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
5) Violazione e /o falsa applicazione di legge: D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1, 2 e 7 e art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.
Non si costituivano le controparti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo l’agenzia delle Entrate assume che, con riferimento all’anno di imposta del 2000, si era formato il cd giudicato esterno circa l’applicabilità dello studio di settore smo6A all’impresa individuale in questione in quanto dedita al “commercio al dettaglio di articoli per l’illuminazione ” laddove la Ctr, nell’accogliere l’appello aveva escluso l’applicazione di tale studio in quanto la maggior parte delle rimanenze contabili si riferivano alla diversa attività di fabbricazione di lampadari.
La eccezione di giudicato sopravvenuto è infondata. I diversi giudizi attengono, infatti, a distinti provvedimenti impositivi emessi in relazione a diversi anni di imposta, e si riferiscono pertanto ad obbligazioni tributarie che, sebbene aventi ad oggetto il medesimo tipo di imposta ed il medesimo tipo di accertamento formulato all’Ufficio finanziario, sono originate da situazioni fattuali non identiche, visto che l’oggetto della attività di impresa può cambiare in ogni momento dovendosi adeguare alle esigenze sempre mutevoli del mercato e alle scelte discrezionali dell’imprenditore, rimanendo esclusa, pertanto, la identità oggettiva del rapporto giuridico su cui hanno operato i distinti accertamenti emessi. Essendo differenti le situazioni giuridiche dalle quali originano le diverse pretese tributarie in relazione alla “concreta” modalità di realizzazione del presupposto impositivo, diversa in ciascun periodo di imposta, si deve necessariamente concludere che le statuizioni adottate in una causa, anche se concernenti identiche questioni di diritto, non possono spiegare efficacia vincolante nell’altra causa (cfr. Corte cass. V sez. 20.6.2008 n. 16816 secondo cui “Ai fini dell’incidenza di un giudicato su di una controversia non inerente il medesimo rapporto fondamentale, non può riconoscersi alcun effetto preclusivo sia alle statuizioni incidentali relative a rapporti pregiudiziali sia alla soluzione di singole questioni di fatto o di diritto, contenuta nella motivazione ed effettuata dal giudice solo per pronunciare sulla specifica situazione dedotta in giudizio”; id. V sez. 30.12.2009 n. 28042).
In altri termini per potersi applicare il giudicato formatosi per un periodo di imposta diverso è quindi necessario un collegamento ad una situazione fattuale che (nella sua qualificazione giuridica) deve presentarsi tendenzialmente permanente e dunque durevole, costante nel tempo entrando, cosa che non è ipotizzabile per la attività di impresa, non potendosi ravvisare nel caso alcun presupposto suscettibile di acquisire rilevanza duratura e permanente nella produzione dei redditi del contribuente. Trattandosi nel caso di una valutazione probatoria, come tale è insuscettibile di precludere una diversa valutazione in altro processo.
Con il secondo motivo l’Agenzia delle Entrate si doleva che il giudice avesse disatteso il disposto normativo solo perché non aveva, confutato le difese del contribuente nel contraddittorio preventivo.
Tanto premesso, questa Corte di legittimità ha ripetutamente affermato il principio secondo cui “i parametri o studi di settore previsti dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi da 181 a 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, in quella contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento”, (Cass. sez. V, sent. 20.02.2015, n. 3415). Nel caso vi è stato il contraddittorio preventivo a cui ha partecipato il contribuente e nel caso nell’accertamento si dava atto che, secondo l’Agenzia, il contribuente non “ha fornito alcuna giustificazione volta a chiarire la propria posizione di non congruità “. Tale affermazione era più che sufficiente per considerare motivato l’atto, avendo l’Agenzia espresso il convincimento che le allegazioni difensive erano generiche e non idonee a giustificare gli scostamenti tra i ricavi dichiarati e quelli calcolati con lo studio di settore.
Nel caso il giudice di secondo grado non ha minimamente tenuto distinta la questione relativa all’esistenza della motivazione dell’atto impositivo, quale requisito formale di validità dell’avviso di accertamento (L. n. 212 del 2000, art. 7; D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5 bis), dalla questione, nettamente differente, attinente, invece, alla indicazione ed alla effettiva sussistenza di elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria (cfr. Cass. n. 10052 del 2000; Cass. n. 5544 del 1998; Cass. n. 459 del 1997) che rimane disciplinata dalle regole processuali proprie della istruzione probatoria, le quali trovano applicazione nello svolgimento dell’eventuale giudizio introdotto dal contribuente per ottenerne l’annullamento.
Pertanto nel caso concreto, in riferimento all’onere della prova, avrebbe dovuto, con riferimento alla fase contenziosa, la Ctr prima individuare le allegazioni svolte in grado di inficiare l’accertamento, e successivamente valutare se di tali allegazioni fosse stata data la prova, non essendo sufficiente la mera affermazione, (nel caso “la maggior parte delle rimanenze coontabili si riferivano alla diversa attività di fabbricazione di lampadari “) soprattutto ove si consideri che lo stesso aveva specificato che l’attività di produzione si era svolta in Milano molti anni prima, e poi considerarne la decisività e cioè se tali elementi fossero effettivamente adeguati ad incrinare la applicabilità degli studi di settore al caso concreto.
Nel caso invece come si è detto la Ctr ha considerato solo la insufficienza o mancanza della motivazione dell’accertamento che nel caso non sussisteva, violando le disposizioni di legge in materia Pertanto in accoglimento del secondo motivo, così assorbito gli altri, la sentenza della Ctr va cassata con rinvio alla Ctr della Sicilia, che provvederà anche alle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte, rigetta il primo motivo, accoglie il secondo motivo, assorbiti gli altri, e per l’effetto cassa la sentenza impugnata rinviando alla Ctr della Sicilia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021
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