Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.21684 del 29/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27780/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, in via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

T.G., rappresentata e difesa dagli avv.ti Carlo ed Antonello Maio, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Tracia n. 2;

– controricorrente –

avverso la sentenza n.550/39/13 della Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, pronunciata in data 15 maggio 2013, depositata in data 10 ottobre 2013 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 24 febbraio 2021 dal consigliere Andreina Giudicepietro.

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate ricorre con due motivi avverso T.G. per la cassazione della sentenza n.550/39/13 della Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, pronunciata in data 15 maggio 2013, depositata in data 10 ottobre 2013 e non notificata, che, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento che determinava con metodo sintetico un maggior reddito ai fini Irpef per l’anno di imposta 2002, ha rigettato l’appello dell’ufficio, confermando la sentenza della C.t.p. di Frosinone, favorevole alla contribuente;

con la sentenza impugnata la C.t.r., rilevato che la ricorrente faceva parte del nucleo familiare del sig. P.A. e Pi.Na. (rispettivamente, padre e figlia della ricorrente), riteneva che P.A., unitamente al padre della ricorrente, Ta.Um., aveva messo a disposizione le somme per sostenere le spese contestate, sia per l’acquisto dell’appartamento, avvenuto nel corso del 2004, sia per il mantenimento dei beni in possesso della ricorrente;

in particolare, i giudici di appello affermavano che P.A. (convivente) in data 19.2.2004 messo a disposizione della ricorrente Euro 100.000,00 e il padre la somma di Euro 50.000,00 prelevati dal libretto di risparmio n. ***** della Banca di Roma;

inoltre, secondo la C.t.r., la ricorrente aveva dimostrato di aver incassato, in data 20.2.2003, Euro 9.200,00 come indennità di assicurazione dalla Unipol;

quanto alla residua somma di Euro 26.133,00 i giudici di appello ritenevano che essa era costituita da disponibilità in contanti del padre e del convivente della contribuente, medico titolare di uno studio dentistico, e che le doglianze della ricorrente meritavano di essere accolte “anche per il fatto che ai fini della capacità reddituale della famiglia bisogna tener conto del reddito del convivente – dentista libero professionista padre della figlia Naomi”;

infine, quanto alla quota relativa all’incremento patrimoniale, la C.t.r osservava che la stessa era di Euro 39.583,91 anziché di Euro 47,923,801, come indicato dall’ufficio, “a seguito della vendita dell’immobile per Euro 41.200,00, somma, peraltro, nella disponibilità della ricorrente per far fronte alle spese per il mantenimento dei beni in suo possesso”;

a seguito della notifica del ricorso, l’Agenzia delle entrate si costituiva ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza;

il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 24 febbraio 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, la ricorrente denunzia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

secondo l’Agenzia delle entrate, la sentenza impugnata avrebbe omesso di valutare la circostanza che la documentazione prodotta dalla contribuente dimostrava solo l’effettuazione del prelevamento di Euro 100.000,00 dal proprio conto corrente da parte di P.A. con assegno bancario intestato a se stesso) e del prelevamento di Euro 50.000,00 dal libretto di risparmio da parte di T.U.;

la C.t.r. avrebbe, quindi, omesso di valutare l’elemento decisivo della disponibilità di tali somme da parte della contribuente, affermata dal giudice di appello apoditticamente sulla base delle mere argomentazioni difensive;

con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo la ricorrente, la sentenza impugnata è incorsa nelle violazione delle norme indicate, in quanto non ha valutato l’onere della prova gravante sulla contribuente, che non aveva in alcun modo dimostrato al disponibilità delle somme prelevate dal convivente e dal padre, né che le stesse fossero servite a sostenere le spese contestate;

il secondo motivo è fondato, con assorbimento del primo;

costituisce, invero, principio consolidato quello secondo cui “in tema di accertamento cd. sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva dalla percezione di ulteriori redditi di cui ha goduto è onerato della prova contraria sulla loro disponibilità, sull’entità degli stessi e sulla durata del possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti dai quali emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29067 del 13/11/2018);

se è vero che, ai fini dell’accertamento sintetico, possono essere indicati, a giustificazione delle spese indicative della capacità contributiva, anche i redditi degli altri componenti del nucleo familiare (cfr. Cass. n. 30355/2019; Cass. n. 5365/2014) nonché le donazioni di denaro, anche del coniuge o di altri familiari, e le somme provenienti da disinvestimenti o successione ereditaria, tuttavia, il contribuente ha l’onere di dimostrare la disponibilità di tali redditi e, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è comunque onerato della prova delle circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere;

“in tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico” (Cass. n. 8995/2014, in motivazione);

nel caso di specie, a fronte dell’accertamento dell’ufficio, la contribuente, che aveva dichiarato per l’anno 2002 un reddito pari a zero, ha affermato, con particolare riferimento all’acquisto immobiliare contestato, di aver sostenuto la spesa in gran parte con somme ricevute dal convivente e dal padre;

nonostante la contestazione dell’Agenzia delle entrate, secondo cui la contribuente aveva provato documentalmente solo il prelievo degli importi da parte del convivente e del padre, la C.t.r. ha omesso di considerare se la contribuente avesse dimostrato di aver avuto la disponibilità degli stessi, escludendo che potessero essere stati destinati ad altre finalità, ovvero se avesse comunque provato la provenienza delle somme utilizzate per l’acquisto;

dunque, il giudice di appello è incorso nella denunziata violazione di legge, non avendo correttamente applicato la norma in tema di ripartizione dell’onere probatorio nella fattispecie in esame, relativa ad accertamento sintetico del reddito;

atteso l’accoglimento del secondo motivo, il primo rimane assorbito;

la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla C.t.r. del Lazio, sezione staccata di Latina, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla C.t.r. del Lazio, sezione staccata di Latina, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

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