Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.21725 del 29/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria Giuli – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19490 del ruolo generale dell’anno 2015 proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

T. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv. Francesco Saverio Bonifacio Pansini per procura speciale allegata all’atto di costituzione di nuovo difensore, elettivamente domiciliata in Roma, viale Giulio cesare, n. 71, presso lo studio dell’Avv. Sandro De Marco;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, n. 521/11/2015, depositata in data 12 marzo 2015;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 maggio 2021 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a T. s.r.l. tre avvisi di accertamento con i quali, a seguito di rideterminazione induttiva del reddito, aveva rettificato le dichiarazioni modello Unico 2005 e 2006, nonché la dichiarazione Iva anno 2007, contestando una maggiore Ires, Irap e l’indebita detrazione Iva; avverso i suddetti atti impositivi la società aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Bari; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Puglia ha parzialmente accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: relativamente a due avvisi di accertamento, per i quali soltanto era stata prospettata la questione della intervenuta decadenza dell’amministrazione finanziaria ad emettere gli atti impositivi, doveva ritenersi che, in primo luogo, il raddoppio dei termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, non poteva trovare applicazione in materia di Irap; inoltre, con riferimento all’Iva ed all’Ires, la necessità di procedere alla verifica, mediante prognosi postuma, della violazione per uno dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, non era nella fattispecie possibile, posto che l’amministrazione finanziaria non aveva prodotto la copia della denuncia; in ogni caso, non sussistevano comunque, nel caso in esame, i presupposti per l’obbligo di denuncia di cui all’art. 331 c.p.p.;

l’Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a tre motivi, poi illustrato con memoria cui ha resistito la controricorrente depositando controricorso;

la controricorrente ha, altresì, depositato atto di nomina di nuovo difensore.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 25 e 30, per avere escluso l’applicabilità del raddoppio dei termini di decadenza in materia di Irap; il motivo è infondato;

secondo questa Corte, il raddoppio dei termini di decadenza, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, non può trovare applicazione anche per l’Irap, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali (Cass. civ., 21 aprile 2021, n. 10451; Cass. civ., 3 maggio 2018, n. 10483);

per ragioni di ordine logico sistematico si ritiene di dovere esaminare prioritariamente il terzo motivo di ricorso con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4; in particolare, si censura la sentenza per avere ritenuto che, in ogni caso, non sussisteva in concreto la fattispecie delittuosa di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, posto che, invece, il giudice è tenuto ad operare una valutazione in astratto della configurabilità della condotta illecita; inoltre, si censura la sentenza per avere ritenuto non configurabile la condotta illecita non essendo stata superata la soglia di punibilità, tenuto conto di ciascuna della imposte evase, dovendosi, invece, fare riferimento a “taluna” delle singole imposte, nonché per avere ritenuto che non era stata data la prova del superamento della percentuale del dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, posto che, invece, tale dato percentuale era ricavabile dal contenuto degli avvisi di accertamento;

il motivo è inammissibile;

la questione di fondo, prospettata con il presente motivo, attiene alla verifica, da parte del giudice tributario, della sussistenza dell’obbligo di denunzia di cui all’art. 331 c.p.p. in conseguenza della violazione per uno dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, circostanza che legittima, al suo verificarsi, il raddoppio dei termini di decadenza di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, ed al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3;

più in particolare, il profilo di particolare rilievo, ai fini della definizione del presente giudizio, attiene alla questione del superamento da parte della società contribuente delle soglie di punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, secondo cui, nel testo applicabile ratione temporis, “Fuori dei casi previsti dagli artt. 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a Euro 103.291,38 (Lire duecento milioni); b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a Euro 2.065.827,60 (lire quattro miliardi)”; la previsione normativa in esame prevede, quindi, la presenza di due condizioni che devono “congiuntamente” verificarsi, cioè: a) il superamento dell’imposta evasa dell’importo indicato; b) la circostanza che sia superato, altresì, il rapporto percentuale del dieci per cento tra l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione e l’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione;

e’ corretto ritenere, come argomenta parte ricorrente, che la valutazione della sussistenza dei presupposti sopra indicati debba essere compiuta in astratto, non in concreto, secondo quanto più volte affermato da questa Corte, anche sulla scorta dei principi enunciati da Corte Cost. n. 247 del 2011, sicché il raddoppio dei termini di decadenza opera in presenza dell’astratta sussistenza di un reato perseguibile d’ufficio, che fa sorgere l’obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 331 citato, e non dipende dal suo accertamento in concreto, sicché non rileva l’effettiva presentazione della denunzia, l’inizio dell’azione penale e l’accertamento del reato nel processo (Cass. civ., 2 luglio 2020, n. 13481; Cass. civ., 28 giugno 2019, n. 17586; Cass. civ., 13 settembre 2018, n. 22337);

d’altro lato, si è precisato da questa Corte, riprendendo le affermazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n. 247/2011, che il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale e il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento (Cass. civ., 18 marzo 2019, n. 7543);

con la pronuncia n. 24315/2018 questa Corte, poi, ha precisato (rifacendosi a quanto chiaramente ritenuto sempre da questa Corte: vd. Cass. civ., 30 giugno 2016, n. 13483) che il giudice di merito, può vigilare in ordine alla soglia di rilevanza penale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, nel testo vigente “ratione temporis”, relativo al raddoppio dei termini per l’accertamento, ed essa andrà valutata con riferimento al momento in cui è stata commessa la violazione ed effettuato l’accertamento non rilevando che, successivamente, a seguito dell’annullamento di una parte della pretesa tributaria, sia venuta meno la soglia di punibilità e conseguentemente l’obbligo di denuncia penale, salvo che, in linea con quanto affermato dalla sentenza n. 247 del 2011 della Corte costituzionale, l’Amministrazione finanziaria abbia fatto un uso pretestuoso o strumentale della disposizione, al solo fine di fruire, ingiustificatamente, di un più ampio termine;

il giudice del gravame, si è conformato a tali principi, avendo chiaramente precisato di volere comunque accertare se sussistessero i presupposti dell’obbligo di denuncia procedendo secondo una valutazione postuma della sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia di cui all’art. 331 c.p.c., in riferimento al reato di dichiarazione infedele e, sotto tale profilo, ha tenuto conto, con una valutazione ex ante, di quelli che erano gli elementi risultanti agli atti, cioè le contestazioni relative alla imposta evasa;

e’ altresì vero che non correttamente il giudice del gravame ha, nel procedere a tale valutazione che attiene ad ogni singola imposta, in tal modo andando in senso contrario alla giurisprudenza penale di questa Corte (cass. pen., 12 aprile 2018, n. 16296), secondo cui l’integrazione del delitto di dichiarazione infedele, punito dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, non presuppone il superamento della soglia di punibilità con riferimento a tutte le imposte evase, posto che: “Invero, la locuzione, prevista dal comma 1, lett. a), “l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a Euro centocinquantamila”, deve intendersi nel senso che il reato è perfezionato in presenza del superamento della soglia in relazione all’ammontare anche di una sola imposta e non, come opina la difesa, di entrambe le imposte. Come correttamente ha osservato la Corte territoriale, il termine “taluna”, in accordo con la sua accezione letterale, sta, infatti, ad indicare, in via alternativa (e non congiuntiva) anche una sola delle imposte considerate. Ne segue che, ai fini della sussistenza del delitto di dichiarazione infedele, punito dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, è sufficiente il superamento della soglia indicata anche per una sola delle imposte evase”; tuttavia, tale profilo di censura è recessivo rispetto all’ulteriore passaggio della decisione impugnata secondo cui, comunque, non vi sarebbe stato, nel caso di specie, il superamento del rapporto percentuale del dieci per cento tra l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione e l’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione;

invero, la decisione si fonda sulla circostanza che nella fattispecie non era possibile valutare il rapporto percentuale in quanto l’amministrazione finanziaria, cui spettava l’onere, non aveva provveduto a depositare la dichiarazione dei redditi; in sostanza, il profilo centrale dell’argomentazione seguita dal giudice del gravame attiene al mancato assolvimento dell’onere di prova da parte dell’amministrazione finanziaria, in particolare per non avere la stessa prodotto la dichiarazione dei redditi della contribuente al fine di potere verificare il superamento del suddetto rapporto percentuale;

questo passaggio motivazionale della sentenza non è stato oggetto di specifica censura sotto il profilo della non corretta applicazione degli elementi di prova che devono essere forniti al giudice del fine di consentire allo stesso di procedere alla suddetta verifica; va quindi osservato, a tal proposito, che l’onere di provare la sussistenza dei presupposti per il raddoppio dei termini, quindi della sussistenza delle condizioni per ritenere, almeno in astratto, realizzata la condotta illecita di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, grava sull’amministrazione finanziaria qualora il contribuente abbia espresso ragioni di contestazione, la quale, quindi, deve mettere il giudice tributario in condizioni di verificare non solo il superamento della soglia di punibilità, ma anche del rapporto percentuale tra imposta evasa ed elementi attivi. dichiarati;

rispetto a tale statuizione del giudice del gravame parte ricorrente si limita a riprodurre il contenuto dell’avviso di accertamento, ma, come detto, non solo nessuna censura è stata prospettata con riferimento al ritenuto mancato assolvimento dell’onere della prova, ma, inoltre, tale circostanza non può comunque dirsi idonea a contrastare la decisione;

invero, l’avviso di accertamento costituisce l’atto con il quale l’amministrazione finanziaria fa valere la propria pretesa nei confronti del contribuente ma la completezza dello stesso rileva ai soli fini del rispetto dell’obbligo di motivazione, non ai fini della prova relativa ai fatti costitutivi della pretesa ovvero, per quel che rileva, ai fini ostativi alla contestazione della contribuente della non decorrenza del termine di decadenza;

questa Corte, infatti, ha precisato che occorre distinguere tra l’adeguatezza della motivazione dell’atto impositivo dalla prova dei fatti posti a fondamento dello stesso: “l’esistenza di una adeguata motivazione del primo non implica anche la prova dei fatti sui quali la pretesa si regge, “diverse ed entrambe essenziali essendo le funzioni che l’una (motivazione dell’atto) e l’altra (prova dei fatti che ne sono posti a fondamento) sono dirette ad assolvere. Mentre infatti la motivazione dell’avviso di accertamento o di rettifica, presidiata dalla L. 27 luglio 2002, n. 212, art. 7, ha la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’Ufficio nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’an ed il quantum della pretesa tributaria al fine di approntare una idonea difesa, sicché il corrispondente obbligo deve ritenersi assolto con l’enunciazione dei presupposti adottati e delle relative risultanze; la prova attiene al diverso piano del fondamento sostanziale della pretesa tributaria ed al suo accertamento in giudizio in presenza di specifiche contestazioni dello stesso, sicché in definitiva tra l’una e l’altra corre la stessa differenza concettuale che vi è tra allegazione di un fatto costituivo della pretesa fatta valere in giudizio e prova del fatto medesimo”;

ne consegue, quindi, l’inammissibilità del ricorso, non avendo parte ricorrente censurato la statuizione del giudice del gravame con la quale ha ritenuto che parte ricorrente non avesse assolto all’onere di prova;

il rigetto del terzo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del secondo con il quale la ricorrente censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, per non avere l’Agenzia delle entrate prodotto copia della denuncia; in conclusione, è infondato il primo motivo, è inammissibile il terzo assorbito il secondo, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 10.000,00, oltre spese forfettarie nella misura del quindici per cento, Euro 200,00 per esborsi, ed accessori.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

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