LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29891-2017 proposto da:
TERNA RETE ELETTRICA NAZIONALE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA IN ARCIONE, 71, presso lo studio dell’avvocato STEFANO D’ERCOLE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NICOLA PALOMBI;
– ricorrente –
contro
C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SIRTE, 25, presso lo studio dell’avvocato LORENZO VITALE, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1959/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/06/2017 R.G.N. 5753/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/11/2020 dal Consigliere Dott. PAGETTA ANTONELLA.
RILEVATO IN FATTO
Che:
1. la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra C.M. e Terna Rete Elettrica Nazionale s.p.a. con decorrenza dal 15.2.2007 e giuridica prosecuzione dopo il 31.12.2009; ha condannato Terna Rete Elettrica Nazionale s.p.a. a corrispondere alla lavoratrice l’indennizzo L. n. 183 del 2010, ex art. 32, nella misura di undici mensilità dell’ultima retribuzione di fatto ed alla rifusione delle spese di lite del doppio grado;
1.2. la Corte di merito, esclusa la estinzione del rapporto per comportamento in tal senso concludente delle parti, ha fondato l’accertamento della costituzione di un rapporto di lavoro tra C.M. e Terna Rete Elettrica Nazionale s.p.a., società utilizzatrice, sulla genericità della causale giustificativa del ricorso al lavoro a termine, quale indicata nei contratti di somministrazione intervenuti con la datrice di lavoro della C., situazione che ha ritenuto da un punto di vista giuridico equiparabile, alla luce della richiamata giurisprudenza di legittimità, all’assenza di forma scritta con le conseguenze di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 1;
2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Terna-Rete Elettrica Nazionale s.p.a. sulla base di due motivi; la intimata C.M. ha resistito con tempestivo controricorso;
3. entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Che:
1. con il primo motivo di ricorso la società ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20 e 21, dell’art. 697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., comma 1, censurando sotto vari profili la valutazione di difetto di specificità della clausola giustificativa del ricorso al lavoro a termine; assume che le esigenze rappresentate dalla causale in questione avevano trovato conferma nella istruttoria espletata; evidenzia che il sindacato giudiziale sulla causale giustificativa del contratto somministrato è circoscritto all’accertamento dell’esistenza delle ragioni che la giustificano non potendo estendersi sino alla valutazione delle scelte tecnico, organizzative e produttive dell’imprenditore, utilizzatore;
2. con il secondo motivo di ricorso deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti, censurando il rigetto della eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, fondato dalla Corte di merito esclusivamente sulla considerazione del rilievo del breve arco temporale trascorso tra la scadenza del rapporto di lavoro e la notifica del ricorso introduttivo, elementi ritenuti sufficienti a dimostrare la volontà della lavoratrice a mantenere in essere il rapporto con la società utilizzatrice; il fatto decisivo che assume trascurato è costituito dal non essersi la lavoratrice, nelle more del deposito del ricorso di primo grado, attivata per offrire alla società le proprie energie lavorative;
3. il primo motivo di ricordo è infondato;
3.1. la sentenza impugnata ha affermato con riguardo al primo contratto di somministrazione intervenuto tra la società Terna e Manpower s.p.a., datrice di lavoro della C., che la causale apposta al contratto, più volte prorogato, che faceva riferimento a “intensificazione dell’attività nella Direzione Business Development Internazionale”, ed in relazione alla quale la C. era stata assunta con mansioni di segretaria, non poteva essere ricondotta ad una specifica situazione di fatto che giustificasse l’inserimento temporaneo di una risorsa lavorativa nella società utilizzatrice; ha inoltre evidenziato che nessun elemento era ricavabile dalla causale genericamente indicata che permettesse di collegare l’assunzione della C. alle attività connesse alla commessa in Albania, come riferito da uno dei testi;
3.2. il motivo in esame, pur formalmente denunziando violazione e falsa applicazione di norme di diritto, risulta sostanzialmente incentrato non sulla ricognizione della fattispecie astratta ma sulla ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa; in particolare viene contestata la valutazione di non specificità della causale apposta al contratto di somministrazione che si assume, al contrario, essere idonea a consentire la identificazione delle concrete esigenze alla base dell’assunzione a tempo determinato;
3.3. tanto premesso ed osservato che le censure articolate per quanto sopra detto risultano intese a far valere il vizio motivazionale della decisione impugnata, si rileva che parte ricorrente, con riferimento al contratto di somministrazione – non evocato, peraltro, nel rispetto delle prescrizioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, mancando la ricostruzione del complessivo contenuto dello stesso – non indica alcun elemento, ulteriore rispetto a quelli considerati dal giudice di appello, destinato a circostanziare la situazione di fatto alla base della somministrazione a termine ed a superare, quindi, il vaglio di specificità della causale; tale modalità di articolazione della censura la rende inidonea ad inficiare la valutazione di non specificità relativa alle ragioni giustificative dell’assunzione a termine, valutazione che costituisce frutto di apprezzamento riservato al giudice di merito, non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, ove, come avvenuto nel caso di specie, sorretto da ragionamento congruo e privo di vizi logici;
3.4. l’accertamento di un vizio inficiante ab origine il contratto di somministrazione per carente indicazione delle ragioni giustificative del ricorso al lavoro a termine da parte della società utilizzatrice rende ultronea la verifica di effettività delle stesse alla stregua delle emergenze istruttorie, verifica che si configura come un momento logicamente successivo alla positiva valutazione – nello concreta fattispecie mancante – di specificità della causale;
3.5. non sussiste la dedotta violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 3, in tema di limiti del controllo giudiziale del ricorso alla somministrazione posto che la Corte si è limitata alla mera verifica di una condizione di legittimità della somministrazione di lavoro a termine, senza svolgere alcun sindacato in ordine all’opportunità e congruità della scelta imprenditoriale della società alla base del ricorso al lavoro somministrato;
4. il secondo motivo di ricorso è da respingere;
4.1. il rigetto della eccezione di risoluzione tacita del rapporto di lavoro motivata con il breve lasso di tempo (un anno) trascorso tra la scadenza dell’ultima proroga del contratto e il deposito del ricorso giudiziale e con il rilievo che difettava una chiara volontà delle parti diretta in tal senso, è coerente con la consolidata a giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, ai fini della configurabilità della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso -costituente una eccezione in senso stretto (Cass. 7/5/2009 n. 10526, il cui onere della prova grava evidentemente sull’eccipiente, Cass. 1/2/2010 n. 2279) – non è di per sé sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del termine, essendo piuttosto necessario che sia fornita la prova di altre significative circostanze denotanti una chiara e certa volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (cfr., tra le altre, Cass. 17/3/2015 n. 5240, Cass. 28/1/2014 n. 1780, Cass. 11/3/2011 n. 5887, Cass. 4/8/2011 n. 16932, Cass. 18/11/2010 n. 23319, Cass. 15/11/2010 n. 23057);
4.2. l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale, come ribadito di recente anche da Cass. Sez. Un. 27/10/2016 n. 21691, costituisce apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici e giuridici e adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità;
4.3. da tanto deriva che l’accertamento di fatto relativo alla assenza di una concorde volontà solutoria delle parti poteva essere incrinato solo dalla denunzia di vizio motivazionale e quindi, alla luce del testo attualmente vigente dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5, applicabile ratione temporis, dalla denunzia di omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, evocato nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (v. ex plurimis Cass. Sez. Un. 07/04/2014 n. 8053);
4.4. nello specifico, il fatto del quale si denunzia omesso esame, vale a dire la mancata messa a disposizione della società Terna, nelle more del deposito del ricorso di primo grado, delle energie lavorative da parte della C., oltre a non essere evocato nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, è privo di decisività, alla luce della richiamata giurisprudenza che esclude la possibilità di conferire valenza negoziale ex se alla mera condotta inerte dell’interessato;
5. al rigetto del ricorso consegue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza;
6. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 20/09/2019, n. 23535, in motivazione).
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione a C.M. delle spese di lite che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021