LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18708/2017 proposto da:
I.A.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via Tacito n. 23, presso lo studio dell’avvocato De Micheli Cinzia, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
P.M., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Marcon Ezio, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 514/2017, depositato il 23/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/03/2021 dal cons. VALITUTTI ANTONIO.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 4990/2011 – emessa a seguito di precedente pronuncia, resa il 18 giugno 2007, con la quale era stato pronunciato il divorzio tra i coniugi P.M. e I.A.S. – – il Tribunale di Torino riconosceva alla P. un assegno divorzile nella misura di Euro 800,00 mensili, a carico dell’ I.. In data 12 giugno 2014, l’ex marito presentava ricorso allo stesso Tribunale, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, chiedendo la revoca dell’assegno. L’adito Tribunale, con Decreto n. 2042/2015, del 19 gennaio 2015, accoglieva parzialmente il ricorso dell’ I., riducendo l’assegno divorzile ad Euro 600,00 mensili.
2. Avverso tale decreto proponevano separati reclami – per opposte ragioni – entrambi gli ex coniugi. La Corte d’appello di Torino, con decreto n. 514/2017, depositato il 23 febbraio 2017, riuniti i ricorsi, in parziale riforma dell’impugnato provvedimento, riduceva ulteriormente l’assegno divorzile posto a carico dell’ I. alla somma di Euro 400,00 mensili, a decorrere dalla data di pubblicazione del decreto. La Corte rilevava che – dall’esame della documentazione versata in atti – doveva dedursi che la situazione patrimoniale del medesimo avesse subito, dall’anno della decisione sulle condizioni economiche del divorzio (2011), un palese decremento, tale da indurre il giudice del reclamo ad operare la riduzione dell’assegno divorzile a suo carico, nella misura suindicata.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso I.A.S. nei confronti di P.M., affidato a tre motivi, illustrati con memoria. La resistente ha replicato con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con i tre motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – I.A.S. denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 1 e art. 5, comma 6, art. 2697 c.c. e art. 2 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
1.1 Deduce il ricorrente che lo scioglimento del matrimonio, conseguente al divorzio, comporta una dissoluzione dell’unione coniugale dando vita a “due perone singole”, ossia a due entità separate ed autonome, che hanno diritto a vivere la propria vita autodeterminandosi, permanendo la cd. solidarietà post-coniugale solo laddove sia accertata in concreto “a seguito di un’attenta indagine fattuale, la ricorrenza di determinati presupposti di natura oggettiva”. Nel caso di specie, per contro, la Corte territoriale avrebbe affermato, in maniera del tutto apodittica – pur in presenza di un’accertata, sensibile, contrazione dei redditi percepiti dall’ I., e della constatata, volontaria inerzia della P. nel prodigarsi per reperire una nuova attività lavorativa – che l’assegno divorzile doveva essere riconosciuta alla medesima, sia pure in misura ridotta, onde consentirle il mantenimento del tenore di vita tenuto nel corso dell’unione matrimoniale.
1.2. Per di più la Corte non avrebbe tenuto conto dei sopravvenuti oneri a carico dell’ex marito, che si era ormai formato una nuova famiglia e che doveva provvedere al mantenimento di due figli, e del fatto che la P. non aveva fornito prova alcuna circa il fatto di essere priva di mezzi di sostentamento, e di essere nell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, come previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6.
2. Le doglianze sono in parte inammissibili ed in parte infondate.
2.2.1. Va rilevato, infatti, che il provvedimento impugnato è stato emerso a seguito di reclamo avverso il decreto che definiva il procedimento di modifica delle condizioni del divorzio, instaurato dall’ I., ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9.
2.2.1.1. Orbene, va osservato – al riguardo – che il giudice richiesto della revisione dell’assegno divorzile, che incida sulla stessa spettanza del relativo diritto (precedentemente riconosciuto), o che abbia ad oggetto una sua riduzione, in ragione della sopravvenienza di giustificati motivi dopo la sentenza che abbia pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, deve verificare se tali motivi giustifichino, o meno, la negazione, o la riduzione, del diritto all’assegno a causa della sopraggiunta “indipendenza o autosufficienza economica” dell’ex coniuge beneficiario. Tale sopraggiunta indipendenza economica va desunta dai seguenti “indici”: possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimonialì mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri “lato sensu” imposti e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex coniuge richiedente), capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), stabile disponibilità di una casa di abitazione, nonché eventualmente altri – rilevanti nelle singole fattispecie – senza, invece, tener conto del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; il tutto sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dall’ex coniuge obbligato, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’ex coniuge beneficiario (Cass., 22/06/2017, n. 15481).
2.2.1.2. A tenore della L. n. 898 del 1970, art. 9, invero, il provvedimento di revisione dell’assegno divorzile postula, non soltanto l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma anche l’idoneità di tale modifica a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni economiche di entrambe le parti. In sede di revisione, pertanto, il giudice non può procedere a una nuova e autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se e in che misura le circostanze sopravvenute abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale (Cass. 10133/2007; 14143/2014).
2.2.2. Nel caso concreto la decisione impugnata, ha accertato la sussistenza di sopravvenienze negative, in termini di riduzione del reddito dell’ I. negli ultimi anni successivi al 2011, anno della pronuncia di divorzio, ma ha motivatamente escluso che la sua capacità di contribuire, sia pure con un assegno in maniera ridotta, al mantenimento della moglie, economicamente più debole, sia venuta meno. Ne’ il ricorrente ha allegato – essendo i motivi di ricorso fondati esclusivamente su considerazioni attinenti alla diversa norma dell’art. 5, comma 6, che attiene alla determinazione dell’assegno di divorzio – di avere comprovato nel giudizio di merito, come era suo onere, che l’ex coniuge era divenuta – per ragioni sopravvenute – del tutto indipendente sul piano economico, essendo, per contro, emerso nel giudizio di secondo grado che le condizioni patrimoniali della P. erano rimaste sostanzialmente invariate.
2.2.3. Ne’ la Corte d’appello – contrariamente all’assunto del ricorrente – ha fondato la sua valutazione sul tenore di vita mantenuto dai coniugi in costanza di matrimonio, avendo, per converso, affermato che la P. non si era neppure “offerta di provare” che l’attuale situazione non le consentiva di mantenere il precedente tenore di vita.
3. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio.
PQM
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente, in favore della controricorrente, alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Così deciso in Roma, il 30 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021