Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza Interlocutoria n.21879 del 30/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 32098-2019 proposto da:

S.A., domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO ALESSANDRINI;

– ricorrente –

nonché contro MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 09/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/06/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

RILEVATO

che:

1. S.A., proveniente dal *****, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento dell’istanza dedusse di essere attivista e sostenitore del partito ***** (*****) e di essere fuggito dal proprio paese a seguito delle violenze ed aggressioni subite dagli esponenti locali dell'*****. Espose di essere stato arrestato nel corso di una manifestazione e detenuto per circa tre settimane. Decise, pertanto, di ridimensionare la sua partecipazione politica ma ciononostante gli esponenti dell'***** continuarono a minacciarlo ed attaccarlo e per tali ragioni decise di abbandonare il paese giungendo in Italia nel giugno 2012.

La Commissione territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento S.A. propose ricorso dinanzi il Tribunale di Ancona, che, con decreto n. 10597/2019 del 9 settembre 20-19, rigettò il reclamo.

Il Tribunale ha ritenuto:

a) incoerente, contraddittoria e pertanto non attendibile la narrazione del richiedente asilo non essendo stato in grado di circostanziare adeguatamente la vicenda sui fatti essenziali che avevano determinato l’espatrio;

b) infondata la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato in quanto pur avendo allegato di essere affiliato politicamente e di aver preso parte alle relative attività anche di associazione per i partiti civili, gli eventi narrati non potevano ritenersi attendibili.

In ogni caso non emergevano atti persecutori diretti e personali che presentassero i requisiti della soggettività, causalità, personalizzazione ambientale e del rischio.

c) infondata la domanda di protezione sussidiaria, in mancanza di un fondato pericolo per richiedente, in caso di rimpatrio, di subire una condanna a morte o trattamenti inumani e degradanti anche alla luce della presenza nello stato d’origine di istituzioni in grado di tutelarlo in caso di effettivo e concreto pericolo.

Infondata altresì la domanda ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) in mancanza di elementi da cui desumere la sussistenza di una grave ed individuale minaccia nei confronti del richiedente in caso di rimpatrio essendosi egli riferito ad un solo evento non credibile e privo di idoneità lesiva specifica.

Quanto alla situazione socio-politica del ***** le fonti segnalavano una assenza di rischio reale di persecuzione o danno grave da parte dei soggetti statali o non statuali nei confronti dei membri del partito e dei loro sostenitori avendo le iniziative esplicite riguardato solo i vertici del *****;

d) infondata la domanda di protezione umanitaria, non essendo state addotte situazioni di particolare vulnerabilità. Il Tribunale ha ritenuto che l’attività lavorativa, anche piuttosto stabile, allegata dal richiedente asilo non poteva ritenersi condizione sufficiente per assumere come seriamente violati i diritti fondamentali costituzionalmente tutelati anche alla luce dell’inesistenza di problematiche soggettive del tipo di quelle tipizzate dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19 comma 2, lett. a-d.

3. Il decreto è stato impugnato per cassazione da S.A. con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si costituisce per resistere al ricorso senza spiegare alcuna difesa.

CONSIDERATO

che:

4.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “violazione o falsa applicazione degli artt. 4 Direttiva Comunitaria 2004/83/CE del 29.04.2004 (abrogata e trasfusa nella Direttiva 2011/95/UE), D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, nonché Direttiva Comunitaria 2005/85/CE (abrogata e ritrasfusa nella Direttiva 2013/32/UE) e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e art. 27, comma 1 bis, nonché con riferimento all’art. 8 della Direttiva 2004/83/CE”.

Sostiene il richiedente che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere non credibile le dichiarazioni rese dal richiedente asilo. In particolare la richiesta di protezione sarebbe stata rigettata sul falso presupposto della genericità ed inverosimiglianza del racconto senza un adeguata indagine sull’attuale situazione del ***** così come risultante dalle fonti ufficiali. Lamenta altresì il richiedente che il giudice avrebbe omesso di valutare e considerare criticamente le numerose fonti allegate in sede di ricorso.

4.2 Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3. Il Tribunale avrebbe apoditticamente escluso la presenza di un conflitto armato generalizzato ai sensi al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) nonostante da numerosi fonti emergesse una gravissima condizione sociopolitica del *****, caratterizzato da un sistema corruttivo endemico a tutti i livelli istituzionali e dall’assenza di uno stato di diritto capace di tutelare i processi democratici e la legalità.

4.2 Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 4 della Direttiva 2011/95/UE, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3; dell’art. 10 Direttiva 2013/32/UE; D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e art. 27 in relazione al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32 e D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, comma 1, art. 2 Cost. e art. 3 CEDU. Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere non sussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, avendo del tutto omesso di operare una valutazione comparativa tra il grado di integrazione raggiunto dal richiedente nel territorio italiano e la condizioni ed i rischi in cui si verrebbe a trovare qualora facesse rientro nel paese d’origine. Il richiedente, infatti, avrebbe dimostrato di aver intrapreso un percorso di integrazione nel territorio italiano, con un lavoro triennale professionalizzante, e la costruzione di una rete minima di conoscenze nella sua comunità di appartenenza, elementi determinanti ai fini del giudizio di comparazione, ma del tutto disattesi dal Tribunale.

5. Il collegio ritiene opportuno rinviare la causa a Nuovo Ruolo considerando che con l’ordinanza n. 17970/2021 la Terza Sezione Civile ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 13, nella parte in cui, secondo l’interpretazione adottata nell’esercizio della funzione nomofilattica dalle Sezioni Unite, con sentenza 1 giugno 2021, n:15177, da ritenersi diritto vivente, prevede che la mancanza della certificazione della data di rilascio della procura da parte del difensore, limitatamente ai procedimenti di protezione internazionale, determini la inammissibilità del ricorso.

P.Q.M.

la Corte rinvia la causa a Nuovo Ruolo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 7 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

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