Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.21923 del 30/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15936-2016 proposto da:

B.M.L., elettivamente domiciliata in Ancona, viale Vittoria n. 7, presso lo studio dell’avv.to MAURIZIO MIRANDA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

IMPRESA COSTRUZIONI EDILI STRADALI G.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI, 132, presso lo studio dell’avvocato MARIANO CIGLIANO, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCELLINO MARCELLINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 704/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 25/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/02/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

FATTI DI CAUSA

1. L’impresa Costruzioni Edili Stradali di G.G. citava in giudizio davanti al Tribunale di Ancona B.M.L. al fine di ottenerne la condanna al pagamento della somma di Lire 310.312.0001 a titolo di residuo corrispettivo dei lavori di ristrutturazione di un casolare di proprietà della convenuta, sito in località *****.

La convenuta spiegava domanda riconvenzionale volta ad ottenere l’accertamento dei vizi dei lavori effettuati e la condanna dell’attrice all’integrale risarcimento dei danni patiti.

2. Il Tribunale, svolta l’istruttoria, anche mediante una consulenza tecnica d’ufficio, in parziale accoglimento della domanda attorea condannava la convenuta al pagamento della somma di Lire 101.600.000 pari ad Euro 52.472,00 e respingeva la domanda riconvenzionale.

2.1 Secondo il Tribunale il prezzo dell’appalto era stato stabilito a corpo ed era pari a Lire 300.000.000, detratto quanto versato dalla committente per acconti, risultava che costei era rimasta inadempiente per l’importo di Lire 101.600.000.

L’assunto della convenuta secondo cui le parti avevano concordato il versamento del saldo risultava privo di fondamento, tenuto conto del contenuto del documento versato in atti dal quale risultava che la somma relativa al suddetto versamento era stata riscossa in acconto e non a saldo. In ordine agli inadempimenti di cui si lamentava la convenuta non risultava che costei li avesse a tempo debito contestati alla controparte mentre in relazione alla domanda riconvenzionale risarcitoria la stessa era decaduta dal suo esercizio, non avendo fornito la prova della tempestività della denuncia.

3. La B. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

3.1 L’impresa Costruzioni Edili Stradali di G.G. proponeva appello incidentale per ottenere, in parziale riforma della pronuncia impugnata, l’accertamento del credito di Euro 160.521,00.

4. La Corte d’Appello rigettava l’appello principale e accoglieva l’appello incidentale e in parziale riforma della pronuncia condannava B.M.L. al pagamento della somma di Euro 160.521,00 in favore dell’impresa Costruzioni Edili Stradali.

Secondo la Corte d’Appello doveva preliminarmente esaminarsi la questione relativa alla natura dell’appalto, in particolare se si trattasse di appalto a corpo ovvero a misura. La distinzione tra le due tipologie assumeva rilevanza nella fase esecutiva del rapporto conseguente alla stipulazione del contratto, nel senso che, mentre nell’appalto a misura il corrispettivo poteva variare in più o in meno rispetto all’ammontare pattuito in funzione della maggiore o minore quantità di lavoro eseguito, nell’appalto a corpo il prezzo convenuto era fisso ed invariabile, in quanto riferito all’opera considerata globalmente senza che nessuna delle parti potesse pretendere una modifica del prezzo convenuto sulla base di una verifica delle quantità delle lavorazioni effettivamente eseguite. Da ciò discendeva l’immodificabilità del prezzo a corpo con assunzione da parte dell’appaltatore dell’alea rappresentata dalla maggiore o minore quantità dei fattori produttivi necessari per i lavori. Secondo la Corte d’Appello, era necessario, al fine di preservare l’equilibrio contrattuale, che l’appaltatore al momento dell’offerta potesse correttamente rappresentarsi tutti gli elementi rilevanti ai fini della previsione di spesa. In tal caso la maggiore onerosità dell’opera rientrava nell’alea normale del contratto anche tenuto conto degli obblighi di buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c.. Di conseguenza l’offerta economica per l’esecuzione di lavori di una certa consistenza, comportante un non indifferente impegno finanziario, non poteva essere determinato se non dopo aver stabilito sulla base dei grafici di progetto e delle specifiche tecniche i fattori necessari per la realizzazione dell’opera finita in ogni sua parte. Per tale motivo il progetto doveva essere corredato del computo metrico consistente nell’indicazione dei lavori, delle misure e della quantità di materiale delle relative opere per la definizione dell’oggetto dei lavori da eseguire. Anche il committente doveva essere posto in grado di valutare l’eventuale anomalia dell’offerta, verificando le singole voci da cui scaturiva l’offerta finale del prezzo globale.

Ciò premesso, nel caso in oggetto, non risultavano predisposti né progetti né preventivi dei lavori da effettuare, né computi metrici, bensì soltanto interventi essenziali riguardanti scelte strutturali ed architettoniche di massima. Ciò risultava anche dalla prova testimoniale e dalla consulenza tecnica d’ufficio dalla quale emergeva che non era stata trovata alcuna traccia della modalità di attribuzione dell’appalto, né documentazioni tecniche di progetto per definire l’entità dell’onere delle opere commissionate dall’impresa.

4.1 La Corte d’Appello rigettava il motivo relativo allo scioglimento del contratto per mutuo consenso prima delle ultimazione delle opere in quanto tale circostanza inoltre a essere stata dedotta per la prima volta in appello non aveva trovato sufficiente riscontro avuto riguardo alle risultanze della prova testimoniale dalla quale era emerso che all’abbandono del cantiere nel settembre 1999 aveva fatto seguito una ripresa di ulteriori opere fino alla primavera del 2000 di modo che l’assegno del 31 agosto 1999, che secondo l’appellante era stato consegnato a saldo, si poneva realisticamente come un ulteriore acconto sul maggior prezzo dovuto, conformemente all’indicazione della relativa quietanza. Anche la consulenza tecnica d’ufficio aveva confermato la congruità dei prezzi applicati risultanti dalla contabilità dei lavori. I lavori aggiuntivi eseguiti dalla B. avvalendosi di altre imprese non erano ricompresi in quelli originariamente commissionati ovvero inclusi nel consuntivo redatto dalla controparte. Con riferimento ai vizi delle opere mancava la prova del nesso di causalità tra le asserite infiltrazioni di umidità e l’operato della ditta Giacché, essendosi succeduti per ammissione della stessa appellante principale nell’esecuzione delle opere altre imprese e nessuna dimostrazione era stata fornita circa la tempestiva denuncia del vizio anche ai fini della prescrizione. L’impianto di riscaldamento, che in base alla prova testimoniale e alla documentazione prodotta risultava eseguito su incarico dell’impresa G., era regolarmente funzionante, dunque, l’appello principale doveva essere rigettato mentre, in accoglimento dell’appello incidentale, la sentenza andava riformata.

5. B.M.L. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi.

6. L’impresa Costruzioni edili stradali di G.G. ha resistito con controricorso.

7. Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione degli artt. 1657 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 omesso esame delle prove testimoniali e valutazione delle prove documentali.

La Corte d’Appello di Ancona nel pronunciarsi sulla natura del contratto di appalto stipulato tra le parti in assenza di pattuizione scritta lo ha qualificato come appalto con determinazione del prezzo a misura e non a corpo, disattendendo la pronuncia del Tribunale di Ancona, valorizzando solo alcuni elementi istruttori a discapito di altri. Nella specie non essendovi un contratto scritto che prevedesse termini dell’accordo vi era la necessità di stabilire attraverso le prove raccolte nel corso dell’istruttoria quale fosse la volontà delle parti in ordine alla determinazione del prezzo. Dagli atti risulterebbe un progetto stilato dal direttore dei lavori dove erano indicati gli interventi necessari per la ristrutturazione del rustico. L’ingegnere redattore del progetto sentito come teste aveva dichiarato vera la circostanza che le parti avevano determinato il prezzo complessivo in 300.000.000 di vecchie Lire, allo stesso modo un altro teste. Il giudice di primo grado aveva valorizzato tali prove mentre la Corte d’Appello per il solo fatto della mancanza di un accordo scrittoi aveva ritenuto che il contratto di appalto fosse a misura. Peraltro, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto che in assenza di un computo metrico non è possibile per l’appaltatore rappresentarsi gli elementi che possano influire sulla previsione di spesa. Dunque, la Corte d’Appello avrebbe basato il convincimento che si trattasse di un contratto di appalto a misura e non a corpo sulla base di prove negative mentre il tribunale aveva qualificato all’opposto il contratto a corpo sulla base di prove positive. Peraltro, non ci sarebbe alcuna motivazione in ordine ai lavori aggiuntivi eseguiti da imprese terze su incarico della committente.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione dell’art. 1657 c.c. del D.P.R. n. 633 del 1972.

La censura attiene all’accoglimento della richiesta di pagamento dell’Iva sull’importo concordato. Secondo il ricorrente non sarebbe esplicitato il perché gli importi fossero da considerarsi al netto di Iva1 trattandosi di fatto che costituiva il fondamento del diritto di rivalsa azionato ex art. 2697 c.c.

2.1 I primi due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1657 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per omesso esame delle prove testimoniali e valutazione delle prove documentali tuttavia la censura si risolve nella richiesta di una diversa interpretazione del contratto di appalto.

Le doglianze così come proposte sono inammissibili per una pluralità di ragioni. In primo luogo, deve evidenziarsi che la censura sulla valutazione delle prove sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

A ciò si aggiunga che la censura in sede di legittimità non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello della sentenza impugnata, perché la Corte di Cassazione non deve riesaminare e valutare il merito della causa, spettando al giudice del merito individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

La Corte di merito ha effettuato una valutazione complessiva delle risultanze istruttorie, sufficientemente e logicamente argomentata, fondando il proprio convincimento in base al complessivo assetto contrattuale, sicché le censure proposte mirano ad una impropria revisione del giudizio di fatto precluso in sede di legittimità. Come si è detto la valutazione delle prove, il giudizio sull’attendibilità dei testi e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di formare il suo convincimento utilizzando gli elementi che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, essendo limitato il controllo del giudice della legittimità alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (Cfr. Cass., Sez. 1, sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448; Cass., Sez. L, sentenza n. 42 del 7 gennaio 2009, Rv. 606413; Cass., Sez. L., sentenza n. 2404 del 3 marzo 2000, Rv. 534557).

Nella specie, peraltro, il ricorrente sulla base di una presunta erronea valutazione delle prove, richiede una diversa interpretazione del contratto di appalto senza, peraltro, indicare alcuna norma di ermeneutica negoziale che sarebbe stata violata dal giudice. In proposito, deve richiamarsi l’orientamento consolidato secondo il quale: “In tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati” (ex plurimis Sez. 3, Sent. n. 10891 del 2016; Sez. 3, Sent. 2465 del 2015).

Pertanto, l’interpretazione del contratto e i criteri per stabilire se il prezzo dell’appalto fosse stato stabilito a corpo o a misura è un’attività che presuppone un’indagine di fatto riservata al giudice di merito. Nella specie la Corte d’Appello con una motivazione ampia e condivisibile ha ritenuto che non risultavano predisposti né progetti né preventivi dei lavori da effettuare, né computi metrici, bensì soltanto interventi essenziali riguardanti scelte strutturali ed architettoniche di massima. Ciò risultava anche dalla prova testimoniale e dalla consulenza tecnica d’ufficio dalla quale emergeva che non era stata trovata alcuna traccia della modalità di attribuzione dell’appalto, né documentazioni tecniche di progetto per definire l’entità dell’onere delle opere commissionate dall’impresa.

In conclusione sul punto deve ribadirsi che: “La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, ha l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (Sez. 3, Sent. n. 28319 del 2017).

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 1667 c.c. e seg., omessa motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La Corte d’Appello avrebbe omesso di motivare in ordine all’asserita decadenza da parte della committente della garanzia per i vizi dell’opera omettendo del tutto di argomentare su quanto dedotto dall’appellante che aveva osservato che il termine di decadenza di cui all’art. 1667 c.c., comma 2, e di prescrizione di cui al medesimo articolo, al comma 3, si applicano solo in caso di vizi difformità scoperti e manifestatisi successivamente alla consegna e non in caso di vizi scoperti e denunciati nel corso dell’esecuzione o al momento della consegna dei lavori. In quest’ultimo caso infatti è applicabile la disciplina comune dell’inadempimento e dunque non vi è alcuna decadenza meno – il termine prescrizionale è quello ordinario decennale. Ne conseguirebbe la tempestività e fondatezza della domanda riconvenzionale perché le opere erano state consegnate nel settembre 1999 e i vizi avevano iniziato a manifestarsi nel novembre 2000, dunque la relativa denuncia era stata immediata e reiterata e la prescrizione era stata interrotta con il ricorso per accertamento tecnico preventivo modificato il 25 gennaio 2001.

3.1 Il terzo motivo è inammissibile.

La censura non coglie la principale ratio decidendi della sentenza impugnata, infatti, la Corte d’Appello la pag.16 della stessa, ha chiarito che in relazione ai lamentati vizi delle opere difettava la prova del nesso di causalità tra le asserite infiltrazioni di umidità e l’operato della ditta G., essendosi succedute altre imprese nell’esecuzione delle opere, come ammesso dalla stessa ricorrente. Inoltre l’impianto di riscaldamento era regolarmente funzionante.

Su tale aspetto il ricorrente non solleva alcuna censura sicché deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: in tema di impugnazioni, qualora la sentenza del giudice di merito si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una soltanto di tali ragioni determina l’inammissibilità, per difetto di interesse, anche del gravame proposta avverso le altre, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso non inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata, con la conseguenza che la sentenza impugnata resterebbe, pur sempre, fondata su di essa (ex plurimis Sez. 1, Sent. n. 18641 del 2017).

4. Il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5600 più 200 per esborsi;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte delricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

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