LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2039-2016 proposto da:
D.R.V., elettivamente domiciliato in Roma via San Tommaso D’Aquino n. 116 presso lo studio dell’avv.to BIANCA MAGARO’, rappresentato e difeso dall’avv.to ENNIO CLAUDIO TOCCI;
– ricorrente –
contro
F.S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUNGO TEVERE FLAMINIO 26, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO GIGLIO, rappresentato e difeso dall’avvocato FEDELE SCRIVANO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1434/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 10/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/03/2021 dal Consigliere Dott. VARRONE LUCA.
FATTI DI CAUSA
1. F.S.M. interponeva appello avverso la sentenza resa dal Tribunale di Paola con la quale era stata rigettata la sua domanda avanzata nei confronti di D.R.V., per ottenere la condanna al pagamento della somma di Euro 2500 oltre Iva a titolo di provvigioni per la compravendita di un immobile alienato dal D.R. ad O.A. a seguito della sua opera di mediazione.
2. La Corte d’Appello di Catanzaro accoglieva l’impugnazione e in riforma della sentenza di primo grado condannava D.R.V. al pagamento della somma di Euro 2500 in favore di F.S.M. oltre alle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.
Preliminarmente la Corte d’Appello rigettava l’eccezione di inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c., in quanto risultavano evidenziate le parti della decisione impugnata oggetto di specifica critica e la prospettazione di una diversa loro riformulazione.
Nel merito la Corte d’Appello riteneva che, ai sensi dell’art. 1755 c.c., doveva riconoscersi il diritto del mediatore alla provvigione essendosi concluso l’affare per effetto del suo intervento. Infatti, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale di Paola, non sussisteva dubbio circa il fatto che il F. fosse stato incaricato della mediazione da parte del D.R.. La prova secondo la Corte d’Appello emergeva anche dalla condotta processuale tenuta dalla parte appellata che in seno alla comparsa di costituzione depositata il 9 gennaio 2013 non aveva negato di aver affidato l’incarico. Vi era stata dunque ammissione del conferimento dell’incarico di mediazione circostanza che di per sé avrebbe dovuto comportare il riconoscimento dell’esistenza del diritto del mediatore alla percezione del dovuto compenso per la positiva conclusione dell’affare. Nella specie, infatti, il contratto di compravendita era stata effettivamente concluso e, dunque, sussisteva il diritto al relativo onorario. Non aveva pregio la tesi secondo la quale dalla documentazione agli atti poteva evincersi solo la sussistenza di un accordo tra il mediatore e la O.. Ciò, infatti, non escludeva la sussistenza dell’obbligo di pagamento anche a carico del D.R.. La firma per accettazione posta in calce all’incarico di mediazione da parte di quest’ultimo non valeva a ritenere di essere al cospetto di un accordo trilaterale con individuazione del solo acquirente quale obbligato al pagamento della mediazione. La firma per accettazione valeva solo ad inverare la condizione di efficacia necessaria per il pagamento della provvigione da parte dell’acquirente la quale, certamente, non poteva assumere integralmente a suo carico l’obbligo di pagamento con liberazione dall’altra parte. Risultava pertanto confermata l’esistenza dell’incarico operato in favore del F. da parte del D.R. e mancava la prova della sua gratuità e, dunque, sussisteva il diritto dell’appellante a vedersi riconosciuta la provvigione.
3. D.R.V. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi.
4. F.S.M. ha resistito con controricorso.
5. Il ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione della L. n. 260 del 1949, artt. 1 e 2, come modificato dalla L. n. 54 del 1977, art. 1 dal D.P.R. n. 792 del 1985, art. 1 violazione e falsa applicazione delle norme del codice di procedura civile che regolano il computo dei termini artt. 152,153 e 155 c.p.c., omessa motivazione sul punto.
A parere del ricorrente l’appello doveva essere dichiarato improcedibile perché l’appellante si era costituito oltre il termine perentorio di 10 giorni dalla notifica dell’atto di citazione. L’eccezione era stata tempestivamente sollevata con la comparsa di costituzione e risposta ed era stata ingiustamente e immotivatamente disattesa.
L’atto d’appello era stato notificato in cancelleria il 29 ottobre 2014 e la costituzione dell’appellante era avvenuta il 10 novembre 2014. A parere del ricorrente,poiché il termine scadeva l’8 novembre che cadeva di sabato non poteva applicarsi l’art. 155 c.p.c. e, dunque, non vi sarebbe stata alcuna proroga fino al successivo 10 novembre.
Infatti, a parere del ricorrente, il sabato non può considerarsi festivo in base alle norme indicate in rubrica e l’art. 155 c.p.c., non introduce una regola di carattere generale, applicabile a tutti i termini processuali, ma soltanto ai peculiari termini per il compimento di atti processuali svolti al di fuori dell’udienza.
1.2 Il primo motivo di ricorso è infondato.
La proroga dei termini processuali che scadono nella giornata di sabato, ex art. 155 c.p.c., comma 5, è applicabile anche al temine per la costituzione in appello che avviene ex art. 347 c.p.c., comma 1, secondo le forme ed i termini per i procedimenti davanti al tribunale.
L’art. 155 c.p.c., comma 5, dispone, infatti, che la proroga di diritto al primo giorno seguente non festivo si applica altresì ai termini per il compimento degli atti processuali (fuori udienza) che scadono nella giornata del sabato. Il termine per la costituzione dopo la notifica è tipicamente un atto processuale da compiersi fuori udienza soggetto alla suddetta disciplina di proroga in caso di scadenza nella giornata di sabato.
In proposito è sufficiente richiamare il seguente principio di diritto cui il collegio intende dare continuità: “La disciplina del computo dei termini di cui all’art. 155 c.p.c., commi 4 e 5, che proroga di diritto, al primo giorno seguente non festivo, il termine che scade in un giorno festivo o di sabato, si applica, per il suo carattere generale, a tutti i termini, anche perentori, contemplati dal codice di rito, compreso il termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione” (Sez. 6-5, Ord. n. 23375 del 2016).
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza per mancanza dei requisiti indicati nell’art. 132 c.p.c. e precisamente per indeterminatezza e incomprensibilità del dispositivo con riferimento alla sua formulazione in merito al regolamento delle spese e delle competenze di entrambi i giudizi.
A parere del ricorrente il dispositivo della sentenza impugnata sarebbe incomprensibile nella parte che regola le spese le competenze in entrambi i gradi di giudizio. Tale vizio non sarebbe emendabile neanche con il procedimento di correzione dell’errore materiale.
2.1 Il secondo motivo è inammissibile.
Il dispositivo ha una duplice regolamentazione delle spese ma si tratta all’evidenza di refuso costituente un errore materiale rimediabile mediante il relativo procedimento.
Infatti, deve qualificarsi errore materiale suscettibile di correzione quello che non riguarda la sostanza del giudizio, ma la manifestazione del pensiero all’atto della formazione del provvedimento e si risolve in una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza e come tale percepibile e rilevabile (per tutte: Cass. 26 settembre 2011, n. 19601; Cass. 11 aprile 2004, n. 5196). La Corte di appello, nel quantificare le spese del secondo grado è incorsa in una svista duplicando la liquidazione e, tuttavia, trattandosi di un errore determinato da una mera svista di carattere materiale può essere emendato o con il procedimento di correzione di cui all’art. 287 c.p.c., ovvero per mezzo del procedimento di revocazione del provvedimento che le ha liquidate, ma non col ricorso per cassazione (Cass. n. 21012/2010);
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 1755 e 1350 c.c. e contraddittorietà della motivazione.
A parere del ricorrente non è previsto che l’eventuale patto in deroga al principio della onerosità della mediazione ex art. 1755 debba avere la forma scritta. Nel caso di specie, dunque, tale patto sarebbe desumibile dalla proposta accettata dalla controparte con la quale si liberava il D.R. da qualsiasi obbligo di pagamento. Nella pattuizione controfirmata dal venditore, infatti, era previsto espressamente senza possibilità di equivoci che il compenso del mediatore doveva essere pagato dal promissario acquirente.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione, falsa applicazione dei contratti in particolare artt. 1362 e seguenti c.c..
La censura è rivolta alla interpretazione del contratto che la Corte d’Appello avrebbe effettuato in violazione degli artt. 1362 e seguenti c.c. non avendo correttamente accertato l’effettiva volontà delle parti in relazione al patto trilaterale che poneva a carico della O. il pagamento della mediazione.
5. Il terzo e il quarto motivo di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
Il ricorrente richiede una diversa interpretazione della scrittura privata di incarico al mediatore da lui sottoscritta unitamente alla O. (promissaria acquirente) e al F. (mediatore).
Deve premettersi che nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione sia contestata l’interpretazione attribuita dal giudice di merito al contratto intercorso tra le parti le relative censure, per essere esaminabili, non possono risolversi nella mera contrapposizione tra la volontà dei contraenti così come ritenuta dal ricorrente e quella invece accertata dalla sentenza impugnata, ma debbono essere proposte o sotto il profilo della mancata osservanza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, delle norme che fissato i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c. ovvero, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo in vigore ratione temporis, del vizio di motivazione consistito nell’omesso esame di un fatto decisivo. Infatti costituisce principio di diritto del tutto consolidato presso questa Corte di legittimità quello secondo il quale, con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, l’invocato sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati appunto a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli artt. 1362 e ss. c.c., e sull’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti: l’indagine ermeneutica, e’, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e non può essere censurata in sede di legittimità se non nei limiti indicati, con la conseguenza che non può trovare ingresso la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto esaminati dal giudice a quo. Pertanto, al fine di riscontrare l’esistenza dei denunciati errori di diritto o vizi di ragionamento, non basta che il ricorrente faccia, com’e’ accaduto nel caso di specie, un astratto richiamo alle regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., occorrendo, invece, che specifichi, per un verso, i canoni in concreto inosservati e, per altro verso, il punto e il modo in cui il giudice di merito si sia da essi discostato (Cass. n. 7472 del 2011; più di recente, Cass. n. 27136 del 2017).
5.2 Tutto ciò premesso, osserva il collegio che la Corte d’Appello, con ampia motivazione che risulta immune dalle censure prospettate, ha escluso che vi fosse un accordo con il quale la O. si obbligava a sostenere interamente le spese di mediazione dovute al F..
In particolare, nella sentenza impugnata si legge che non poteva escludersi la sussistenza dell’obbligo di pagamento della mediazione anche a carico del ricorrente. Infatti, la firma per accettazione posta in calce all’incarico di mediazione da parte di quest’ultimo non valeva a ritenere di essere al cospetto di un accordo trilaterale con individuazione del solo acquirente quale obbligato al pagamento della mediazione. Tale firma valeva solo ad inverare la condizione di efficacia necessaria per il pagamento della provvigione da parte dell’acquirente che certamente non poteva assumere integralmente a suo carico l’obbligo di pagamento con liberazione dell’altra parte. Risultava pertanto confermata l’esistenza dell’incarico operato in favore del F. da parte del D.R. e mancava la prova della sua gratuità e, dunque, sussisteva il diritto dell’appellante a vedersi riconosciuta la provvigione.
In conclusione, l’interpretazione della scrittura privata proposta dal ricorrente, pur denunciando la violazione delle norme ermeneutiche o il vizio di motivazione, si risolve in realtà nella mera proposta di una interpretazione diversa rispetto a quella adottata dal giudice di merito (Cass. n. 24539 del 2009).
5.3 Infine, risulta inammissibile la censura proposta con il terzo motivo; secondo cui non sarebbe necessaria la prova scritta per dimostrare che le parti avevano voluto derogare alla naturale onerosità del contratto di mediazione. Nella specie, infatti, la Corte d’Appello ha ritenuto non provata tale gratuità proprio sulla base della scrittura privata la cui erronea interpretazione è oggetto del quarto motivo e il ricorrente non indica alcun elemento di fatto oggetto di discussione nel giudizio che la Corte d’Appello ha omesso di valutare e che costituirebbe la prova di una diversa volontà negoziale.
6. Il ricorso è rigettato.
7. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1500 più 200 per esborsi;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2 Sezione civile, il 4 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021
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