LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N. R.G. 27090/2016) proposto da:
R.F. (C.F.: *****), rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Giuseppe Mazzarella ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Carlo Comande’, in Roma, via Pompeo Magno, n. 23/A;
– ricorrente –
contro
IMMOBILIARE STRASBURGO S.R.L. in liquidazione (P.I.: 00103220828), già Immobiliare Leonardo da Vinci s.r.l., rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avv. Luciano Termini ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Claudia Salvaggio, in Roma, v. Bellegra, n. 6;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo n. 56/2016 (pubblicata il 18 gennaio 2016);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13 aprile 2021 dal Consigliere relatore Dott. Carrato Aldo;
letta la memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, dalla difesa della ricorrente.
RITENUTO IN FATTO
1. Con atto di citazione del dicembre 2005 la Immobiliare Leonardo da Vinci s.r.l., in amministrazione giudiziaria, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Palermo, R.F., chiedendo la condanna della stessa al rilascio dell’immobile sito in *****, deducendo che ella lo deteneva senza titolo, oltre che al pagamento dell’indennità di occupazione, a far data dall’agosto 1994, allorquando l’immobile era stato sottoposto a sequestro penale.
La convenuta si costituiva in giudizio, instando per il rigetto della domanda (sul presupposto che la sua detenzione si sarebbe dovuta considerare legittima in virtù del contratto preliminare del 13 ottobre 1996, con il quale la società attrice aveva promesso in vendita l’immobile in questione al suo convivente) e proponendo domanda riconvenzionale per sentir dichiarare l’avvenuto acquisto dell’immobile stesso per maturata usucapione.
Con sentenza del 28 febbraio 2011, l’adito Tribunale, respinta la richiamata domanda riconvenzionale, accoglieva quella principale e, per l’effetto, ordinava alla convenuta il rilascio, in favore dell’attrice, dell’immobile dedotto in controversia, condannando la stessa anche al pagamento della somma di Euro 85.485,17, oltre interessi dalla sentenza al soddisfo, nonché alla rifusione delle spese giudiziali.
2. Decidendo sull’appello formulato dalla soccombente convenuta R.F., cui resisteva l’Immobiliare Strasburgo s.r.l. (già Immobiliare Leonardo da Vinci s.r.l.), la Corte di appello di Palermo, con sentenza n. 56/2016, rigettava il gravame e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado.
A fondamento dell’adottata decisione la Corte palermitana rilevava che, fin dalla costituzione in primo grado, la R. aveva dedotto di essersi immessa nella disponibilità dell’immobile in questione in data 31 ottobre 1976, in conseguenza del suddetto preliminare e che, in conseguenza della deduzione di questo titolo, ella avrebbe dovuto considerarsi mera detentrice dell’immobile, senza che fosse risultata provata una sopravvenuta “interversio possessionis”. La Corte di secondo grado ravvisava, altresì, l’infondatezza del motivo circa il supposto difetto di legittimazione passiva della Immobiliare Strasburgo nonché di quello relativo alla prospettata eccezione di estinzione – per prescrizione – del credito relativo alla indennità di occupazione riconosciuta in favore dell’appellata con la sentenza di primo grado, siccome proposta intempestivamente in primo grado a causa della tardiva costituzione in giudizio della R..
3. Avverso la citata sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, la R.F., resistito con controricorso dall’intimata Immobiliare Strasburgo s.r.l. in liquidazione.
La difesa della ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo la ricorrente ha, per un verso, denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., deducendo l’omessa pronuncia, da parte della Corte di appello, sulla sollevata eccezione di nullità dell’atto di citazione in giudizio in primo grado per assoluta indeterminatezza dell’oggetto della domanda, in applicazione di quanto disposto dall’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 3 e art. 164 c.p.c., comma 4, e, per altro verso, l’omesso esame dello stesso fatto da ritenersi decisivo.
2. Con la seconda censura la ricorrente ha dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140 e 1158 c.c., nonché dell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte di appello, con l’impugnata sentenza, concluso per l’esclusione del suo acquisto per usucapione senza aver indagato né sulla natura del potere esercitato sul bene da parte della stessa, né sull’animus rem sibi habendi in capo a lei, sostenendo come non si fosse mai discorso di interversio possessionis, avendo essa ricorrente solo affermato l’esistenza di un rapporto qualificabile come possesso uti dominus, sin dal suo inizio e senza alcuna interruzione.
3. Con la terza complessa doglianza la ricorrente ha prospettato: 1) per un verso, con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., sul presupposto che, con l’impugnata sentenza, ella era stata illegittimamente condannata al pagamento dell’indennità di occupazione per asserita indebita detenzione dell’immobile, siccome quest’ultima invece avrebbe dovuto ritenersi legittima e qualificata, donde il difetto del presupposto per l’attribuzione di detta indennità; 2) per altro verso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di quest’ultimo fatto da ritenersi decisivo.
4. Con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., avuto riguardo all’asserita illegittimità dell’applicazione del principio della soccombenza ai fini della disciplina delle spese processuali.
5. Rileva il collegio che il primo motivo è infondato e deve, perciò, essere rigettato.
Va osservato che, pur avendo la ricorrente richiamato la proposizione del motivo di appello circa la supposta indeterminatezza dell’oggetto della domanda di cui all’atto introduttivo del giudizio, la Corte di appello, attraverso la motivazione adottata nell’impugnata sentenza, ha ritenuto che tale vizio fosse insussistente, avendo dimostrato con l’esame delle censure nel merito che l’oggetto della causa fosse sufficientemente determinato, anche con riferimento all’individuazione dell’immobile in concreto, identificato univocamente, oltre che sulla scorta del contenuto della stessa citazione laddove si poneva specifico riguardo anche all’immobile oggetto del contratto preliminare in data 13 ottobre 1976 in favore del convivente della R. (con ingresso “a destra”), anche in base alle stesse indicazioni riferite dalla R. nella sua costituzione in giudizio (laddove aveva sostenuto ai aver posseduto l’appartamento sito in *****, in catasto al n. 20, particella 11, sub 19), senza discorrersi di altro appartamento.
Non è ammissibile, invece, il motivo sotto forma di vizio ricondotto all’art. 360 c.p.c., n. 5, non potendosi discorrere di un omesso esame di un “fatto” in senso proprio, avendo, in ogni caso, la Corte territoriale dato conto di tutte le risultanze utili ai fini della rilevazione della determinatezza della domanda introduttiva iniziale.
6. Anche la seconda doglianza è priva di fondamento e va, quindi, respinta.
Infatti, la Corte di appello, confermando la sentenza di primo grado, ha escluso argomentatamente (con adeguata motivazione insindacabile nella presente sede di legittimità) che la R. potesse vantare un titolo idoneo a giustificare una sua condizione di detenzione qualificata o di possesso (utile ai fini dell’usucapione) sull’immobile in questione, essendo rimasto provato che ella aveva acquisito la disponibilità di fatto (ma senza un apposito titolo derivativo direttamente a suo favore) dell’immobile, nell’ottobre 1976, a seguito di un contratto preliminare intercorso tra l’allora Immobiliare Leonardo da Vinci s.r.l. e tale P.B., convivente della ricorrente, a cui vantaggio era stata ceduta la disponibilità materiale dell’immobile (e che, quindi, poteva essere ritenuto detentore qualificato dell’appartamento), non avendo alcuna rilevanza la circostanza che poi ne avesse garantito il godimento di fatto alla convivente R. (in base ad un accordo non avente efficacia esterna verso i terzi), la quale, perciò, non poteva che continuare a considerarsi una detentrice senza titolo.
Ciò conforta il ragionamento della Corte di appello laddove ha ritenuto ininfluente l’indagine sull’animus della R., in quanto ella aveva occupato l’immobile non in base ad un titolo di detenzione qualificata ma di detentrice di fatto per concessione del convivente che aveva concluso il contratto preliminare di compravendita con l’anzidetta società.
In ogni caso, ove anche fosse rimasta dimostrata la sua qualità di detentrice qualificata, per effetto del principio di cui alla sentenza delle Sezioni unite di questa Corte n. 7930/2008 (non avendo alcuna influenza la circostanza che all’epoca di introduzione del giudizio ci fosse un contrasto nella giurisprudenza di legittimità), non avrebbe potuto considerarsi posgiderice dell’immobile se non a seguito di interversio possessionis, rimasta indimostrata (e, in ogni caso, ove anche comprovata, solo da tale momento sarebbe cominciato a decorrere il termine ventennale imposto dall’art. 1158 c.c.).
E’ appena il caso poi di mettere in rilievo che – a confutazione di quanto dedotto dalla ricorrente – il mutamento di giurisprudenza non soggiace al principio di retroattività. E’ stato, infatti, in proposito precisato (cfr., ad es., Cass. n. 565/2007 e Cass. n. 174/2015) che l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nell’interpretazione delle norme giuridiche (certamente quelle di natura sostanziale, come nella specie, mentre per quelle processuali in materia di decadenze o di preclusioni può porsi un problema di tutela dell’affidamento delle parti nel caso di eventuale imprevedibilità del mutamento di giurisprudenza, come statuito dalle medesime Sezioni unite con l’importante sentenza n. 15144/2011) mira ad una tendenziale stabilità e valenza generale, sul presupposto, tuttavia, di una efficacia non cogente ma solo persuasiva trattandosi attività consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, sicché non può mai costituire limite all’attività esegetica di un altro giudice; ne consegue che un mutamento di orientamento reso in sede di nomofilachia non soggiace al principio di irretroattività, non è assimilabile allo “ius superveniens” ed è anche suscettibile di essere disatteso dal giudice di merito, il quale può applicare l’indirizzo giurisprudenziale che ritiene più idoneo a definire in modo corretto la controversia.
7. Il terzo motivo è conseguentemente infondato poiché è rimasto accertato – per effetto delle compiute valutazioni di merito operate nell’impugnata sentenza – che la R. aveva detenuto l’appartamento (in modo non qualificato) in forza di un titolo non opponibile dall’atto del sequestro di prevenzione, donde non avrebbe potuto non essere condannata al pagamento della relativa indennità per il periodo di detenzione illegittima dell’immobile, quale danno in re ipsa subito dalla proprietaria per la mancanza di disponibilità del bene. Tale effetto è stato correttamente ritenuto dalla Corte di appello quale implicita conseguenza della ricostruzione prima operata, all’esito della quale è pervenuta alla conclusione della illegittimità della detenzione (siccome non titolata) dell’immobile da parte della R., in tal senso confermando anche sul punto la sentenza di primo grado.
Il giudice di secondo grado non e’, quindi, incorso nel dedotto vizio di omessa pronuncia, avendo anche specificamente sostenuto che, con riferimento al diritto della controparte alla spettanza dell’indennità di occupazione, la R. aveva eccepito la prescrizione, ma che essa, tuttavia, era stata proposta intempestivamente per effetto della sua tardiva costituzione in primo grado.
8. Il quarto ed ultimo motivo è privo, in via consequenziale, di fondamento avendo la Corte di appello applicato legittimamente, con l’impugnata sentenza, il principio della soccombenza, così condannando la R. al pagamento totale delle spese del giudizio di secondo grado, per effetto del rigetto integrale del gravame dalla stessa proposto.
9. In definitiva, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la derivante condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2 Sezione civile, il 13 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021