Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n.21972 del 30/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sezione –

Dott. ACIERNO Maria – Presidente di Sezione –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1608-2021 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 71, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA FLORITA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO BARCA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3464/2020 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 03/06/2020.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/07/2021 dal Consigliere CRUCITTI ROBERTA;

lette le conclusioni scritte del Procuratore Generale Aggiunto SALVATO LUIGI, il quale chiede che la Corte dichiari il ricorso inammissibile.

RILEVATO IN FATTO

che:

nella controversia promossa da C.A., dirigente generale della Polizia di Stato, per l’impugnazione del provvedimento del Capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza con cui lo stesso ricorrente era stato promosso, il giorno precedente al suo collocamento a riposo, alla qualifica di dirigente generale di P.S., con la sola attribuzione degli effetti giuridici ma non economici, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3464/2020, depositata il 3.06.2020, in accoglimento dell’appello proposto dal Ministero dell’Interno, riformò la decisione n. 5492 del 2 maggio 2019 con cui il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio aveva accolto il ricorso, accertando l’obbligo dell’Amministrazione di attribuire al ricorrente gli effetti economici derivanti dalla sua promozione;

il Consiglio di Stato, richiamata la normativa di riferimento (D.L. n. 78 del 2010, art. 9, comma 21) e la sentenza della Corte Costituzionale n. 200 del 2018, rilevava che, in materia, si era ormai consolidata la giurisprudenza amministrativa, statuendo i seguenti principi, dai quali non riteneva di discostarsi:

– art. 9, comma 21, parla di “progressioni di carriera comunque denominate” e, a tenore di tale ampia portata precettiva non vi sono margini per ritenere escluso l’istituto della “promozione alla vigilia”;

– la ratio del D.L. n. 78, palesemente volta a garantire un risparmio di spesa vale a fortiori per le promozioni “alla vigilia” ben più onerose per Stato rispetto a quelle effettive;

– in un’ottica di rapporto strutturale tra disposizioni di legge, a ben vedere quella speciale era proprio la norma recata dal D.L. n. 78 che detta la disciplina di tutte le” progressioni in carriera comunque denominate” disposte nel triennio (poi quadriennio) in discorso;

avverso la sentenza C.A. ha proposto ricorso su unico motivo;

i Ministeri dell’Interno e dell’Economia e Finanza non hanno svolto attività difensiva;

il ricorso è stato avviato alla trattazione, ex art. 380 bis c.p.c., comma 1 in camera di consiglio, in prossimità della quale il P.M, in persona del Procuratore Generale Aggiunto, Dott. SALVATO Luigi, ha depositato conclusioni, chiedendo dichiararsi il ricorso inammissibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

con l’unico motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza del Consiglio di Stato ex art. 111, comma 8 della Carta Costituzionale, per violazione dell’art. 362 c.p.c., comma 8, in relazione alla mancata osservanza dei limiti esterni alla sua giurisdizione;

secondo la prospettazione difensiva, il Consiglio di Stato, nel considerare applicabile al ricorrente “il blocco” dei meccanismi di adeguamento retributivo della progressione automatica per classi e scatti stipendiali, aveva illegittimamente esteso il richiesto riconoscimento dell’effetto economico, afferente il trattamento di fine servizio, al riconoscimento in materia previdenziale del trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, travalicando i limiti esterni della sua giurisdizione ed esercitando la stessa nella materia pensionistica, riservata ex lege alla giurisdizione speciale della Corte dei conti;

il ricorso è inammissibile;

il ricorrente, pur avendo enunciato, ma solo in rubrica, la mancata osservanza da parte del Consiglio di Stato dei limiti esterni alla sua giurisdizione, tale violazione non esplicita se non per denunciare che il Consiglio di Stato avrebbe deciso in una materia, quella pensionistica, devoluta alla giurisdizione della Corte dei Conti;

ciò posto, come esattamente rilevato dal P.M., il ricorso è inammissibile, alla luce dei principi reiteratamente affermati da queste Sezioni Unite secondo cui allorché il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando, anche implicitamente la propria giurisdizione e le parti abbiano prestato acquiescenza, non contestando la relativa sentenza sotto tale profilo, non è consentito al giudice della successiva fase impugnatoria rivelare d’ufficio il difetto di giurisdizione, in quanto tale questione è ormai coperta dal giudicato implicito (cfr.Cass.Sez.Un. 10359/2021; id.nn. 25208 e 5587 del 2020). Rimane, altresì, precluso all’attore, rimasto soccombente nel merito, contestare la giurisdizione di quel giudice che egli stesso ha adito (v.Sez.Un. 25367 del 2020; id.n. 21260 del 2016);

tali principi valgono, a maggior ragione, nel caso in specie in cui è il ricorrente che ha adito lui stesso il Giudice amministrativo in primo grado ed è risultato vittorioso;

la questione oggi all’esame delle Sezioni Unite attiene, infatti, esclusivamente alla devoluzione della domanda proposta (impugnazione del provvedimento amministrativo, nella parte in cui aveva limitato la promozione ai soli effetti giuridici, siccome ritenuto illegittimo) alla giurisdizione dello stesso Giudice adito dal ricorrente (con prospettazione condivisa dal T.A.R.) e sulla quale, pertanto, si era formato il giudicato implicito, con la conseguenza che la stessa non poteva essere posta in discussione dinnanzi al Consiglio di Stato e neppure in questa sede;

d’altronde, come rilevato anche dal P.M., il ricorso neppure prospetta ulteriori violazioni dei limiti esterni della giurisdizione, nella nozione posta dall’art. 111 Cost., comma 8, quale esplicitata dalla Corte Costituzionale ed accolta dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite (tra le altre Cass. Sez. Un. 13488 e n. 2605 del 2021; n. 28385, n. 26387 e n. 23751 del 2020), consistendo e risolvendosi, come già detto, nella contestazione della giurisdizione del Giudice amministrativo che era tuttavia divenuta incontestabile per effetto della scelta dello stesso attore;

il ricorso e’, quindi, inammissibile;

non vi è pronuncia sulle spese in mancanza di attività difensiva da parte degli intimati;

poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, ricorrono i presupposti processuali per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 -quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

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