Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.21990 del 30/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8740-2019 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato presso l’Avvocato GIUSEPPE PAGNOTTA, dal quale è rappresentato e difeso, con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO della ***** s.r.l., in persona del curatore p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1410/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 27/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/01/2021 dal Consigliere relatore, Dott. ROSARIO CAIAZZO.

RILEVATO

CHE:

Con citazione notificata l’11.10.01 il fallimento della ***** s.r.l. convenne innanzi al Tribunale di Vallo della Lucania P.G., chiedendo che fosse dichiarato inefficace nei confronti della massa dei creditori il contratto di compravendita, stipulato dal convenuto con la suddetta società, ad oggetto un immobile sito in *****, con la conseguente revoca. Al riguardo, il fallimento, premesso che la ***** s.r.l. fu dichiarata fallita con sentenza emessa il *****, assumeva che P.G. aveva acquistato il suddetto appartamento con atto notarile del *****, trascritto l'*****, al prezzo di Lire 70.000.000, mentre l’Agenzia delle Entrate aveva determinato il relativo valore nella somma di Lire 91.890.000.

Il P. si costituì resistendo alla domanda.

Con sentenza emessa nel 2010, il Tribunale accolse la domanda, di cui alla L. Fall., art. 67, comma 1, n. 1, ritenendo sussistenti i presupposti normativi della revoca: la stipula del contratto di compravendita immobiliare nei due anni precedenti il fallimento; la sproporzione tra il prezzo convenuto e il reale valore di mercato dell’immobile ceduto; l’omessa prova, da parte del convenuto, della inscientia decoctionis. Il Tribunale rigettò, invece, l’azione revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 2, ritenendo che il fallimento non avesse dimostrato la conoscenza dello stato d’insolvenza in capo al convenuto.

Con sentenza emessa il 27.9.18, la Corte territoriale respinse l’appello proposto dal P., osservando che: l’appellante non aveva provato la non conoscenza dello stato d’insolvenza al momento della stipula del contratto di compravendita; la Corte territoriale, sulla base di c.t.u., aveva correttamente determinato il valore del bene ceduto nella somma di Euro 51.384,00 (pari a Lire 99.493.298) sicché il prezzo pattuito di Lire 70.000.000 costituendo il 30% in meno del valore di mercato nell’anno 1996, rappresentava una notevole e ingiustificata sproporzione.

P.G. ricorre in cassazione con tre motivi.

Non si è costituito il fallimento.

RITENUTO

CHE:

Il primo motivo denunzia violazione falsa applicazione della L. Fall., art. 67, e dell’art. 2697 c.c., avendo la Corte d’appello fondato la decisione sull’espletata c.t.u., di carattere esplorativo, che era stata disposta per supplire alla mancata osservanza dell’onere della prova da parte della curatela fallimentare sulla sproporzione tra le prestazioni, che peraltro aveva fondato la domanda sul solo valore catastale dell’immobile ceduto, senza produrre alcuna documentazione a sostegno dell’azione revocatoria.

Il secondo motivo denunzia la violazione della L. Fall., art. 67, nonché l’omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della causa, in quanto la Corte territoriale aveva accertato il reale valore di mercato dell’immobile in una somma che rappresentava una sproporzione inferiore al 30%, né il c.t.u. aveva comparato l’immobile ad altri aventi le stesse caratteristiche, senza peraltro aver effettuato ricerche presso agenzie immobiliari di *****.

Il terzo motivo denunzia violazione della L. Fall., art. 67,artt. 2727 e 2729, c.c., nonché insufficiente motivazione, in quanto la mancanza di contiguità territoriale tra le parti e la totale mancanza di continuità di rapporti tra loro erano indici presuntivi dell’insussistenza dell’inscientia decoctionis.

Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché la consulenza tecnica d’ufficio è stata espletata in funzione dell’accertamento della sproporzione dei valori, non genericamente dedotta dalla parte ma fondata su precise allegazioni e corroborata da produzioni documentali.

Il secondo motivo è inammissibile perché diretto al riesame del merito circa l’accertamento della sproporzione tra le prestazioni, avendo il ricorrente dedotto un vizio motivazione che non è dato riscontrare, data la chiara ed esaustiva motivazione della Corte territoriale sulla questione.

Il terzo motivo è parimenti inammissibile. Il ricorrente si duole che la Corte di merito abbia ritenuto che la presunzione di conoscenza dello stato d’insolvenza, L. Fall., ex art. 67, comma 1, non fosse stata superata, argomentando dalla mancata allegazione di fatti positivi dimostrativi della consapevolezza o della piena conoscibilità, secondo le comuni regole di prudenza, dell’insussistenza della decozione imprenditoriale, senza invece conferire rilievo alla prova negativa fornita attraverso l’allegazione di fatti dai quali era dato desumere la mancanza dello stato d’insolvenza. Questa valutazione è stata eseguita applicando correttamente la L. Fall., art. 67, comma 1, nonché gli artt. 2727 e 2729 c.c., e ritenendo irrilevanti i fatti addotti dal ricorrente nei gradi di merito circa la mancanza di rapporti personali con la società poi fallita e di rapporti commerciali con essa, ciò perché il convenuto non aveva assolto l’onere della prova contraria relativa alla inscientia decoctionis. Pertanto, il motivo tende al riesame dei fatti, ovvero ad una diversa loro interpretazione, non essendo censurabile l’apprezzamento della Corte territoriale sulla mancata prova contraria dell’inscientia decoctionis.

Nulla per le spese, attesa la mancata costituzione della curatela fallimentare.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

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