LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18741-2015 proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO GHERA, rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO GAROFALO;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati LELIO MARITATO, ESTER ADA SCIPLINO, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 56/2015 della CORTE D’APPELLO SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 02/03/2015 R.G.N. 294/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/02/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO BUFFA.
RITENUTO
CHE:
Con sentenza del 2.3.15, la Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha confermato la sentenza del 27.11.12 del tribunale della stessa sede, che aveva accertato -sulla base delle prove acquisite- che il sig. A., socio amministratore di srl svolgente attività di pizzeria in *****, aveva partecipato al lavoro aziendale con continuità e prevalenza in compiti esorbitanti quelli di amministratore della società e di conseguenza aveva affermato l’obbligo del medesimo di iscrizione alla gestione commercianti e l’assenza del diritto dello stesso e percepire la cassa integrazione guadagni.
Avverso tale sentenza ricorre l’ A. per 4 motivi; l’INPS ha depositato delega in calce al ricorso.
CONSIDERATO
CHE:
Con il primo motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 -violazione degli artt. 2697 e 2700 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., e L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, per avere la sentenza impugnata attribuito fede privilegiata al verbale ispettivo e alle dichiarazioni rese dai lavoratori, sebbene non confermate in giudizio.
Con il secondo motivo si deduce -ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 -violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., deducendo la nullità della sentenza derivante da violazione delle dette norme sulle prove.
Con il terzo motivo si deduce -ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5- vizio di motivazione della sentenza impugnata per avere trascurato le dichiarazioni rese dai testi.
Con il quarto motivo si deduce -ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.-violazione del D.Lgs. n. 788 del 1945, art. 3, comma 2 e D.L. n. 86 del 1988, art. 8, comma 4, convertito in L. n. 160 del 1988, per avere la sentenza impugnata trascurato l’assenza di attività lavorativa retribuita del ricorrente, che solo è incompatibile con la fruizione della cassa integrazione.
I primi due motivi possono essere esaminati insieme per la loro connessione: essi sono infondati.
Occorre premettere che, in tema di contributi previdenziali, sorge l’obbligo di doppia iscrizione nella gestione separata L. n. 335 del 1995, ex art. 2, comma 26, ed in quella commercianti qualora il socio amministratore di una società di capitali partecipi personalmente al lavoro aziendale, svolgendo l’attività operativa in cui si estrinseca l’oggetto dell’impresa con carattere di abitualità e prevalenza, ed è compito del giudice di merito accertare, in modo puntuale e rigoroso, la sussistenza dei requisiti di legge per tale coesistenza, nonché l’assolvimento dell’onere probatorio a carico dell’ente previdenziale. Tale valutazione del giudice del merito in ordine alla rilevanza – o meno – della prova in concreto, è incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivata.
Nella specie, la corte territoriale -lungi dall’attribuire efficacia privilegiata alle risultanze del verbale ispettivo- ne ha valutato la portata unitamente agli altri elementi probatori, e valutando tutte le prove ritualmente raccolte, ha accertato -con giudizio motivato adeguatamente ed immune da vizi logici, non censurabile in sede di legittimità- lo svolgimento da parte del ricorrente di attività lavorativa nell’impresa esorbitante i compiti tipici dell’amministratore.
Il terzo motivo è inammissibile sia per la presenza di doppia pronuncia di merito conforme, sia in quanto il vizio ex n. 5 non può riguardare la valutazione degli elementi istruttori.
Il quarto motivo è pure infondato. Infatti, premesso che è risulta provata un’attività lavorativa – astrattamente riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 2096 c.c. – del ricorrente all’interno dell’impresa e nell’interesse della stessa, la detta attività si presume remunerata (v. Cass. Sez. L, Ordinanza n. 7703 del 28/03/2018, Rv. 648261 – 01; Sez. L, Sentenza n. 14849 del 03/08/2004, Rv. 575186 – 01), salvo prova contraria, nella specie non fornita.
Lo svolgimento di tale attività è obiettivamente incompatibile con la fruizione della CIG.
Questa Corte ha infatti precisato che Sez. L, Sentenza n. 5720 del 10/03/2009 (Rv. 607758 – 01) che, in tema di trattamento di cassa integrazione guadagni, dalla “ratio” del D.L. 21 marzo 1988, n. 86, art. 8, commi 4 e 5, convertito, con modificazioni, nella L. 20 maggio 1988, n. 160, si desume l’incompatibilità del trattamento di integrazione salariale con qualunque attività lavorativa suscettibile di produrre reddito per chi la svolge, anche se in concreto non ne risulti l’effettivo conseguimento (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della corte territoriale, che aveva ritenuto rilevante, per escludere la decadenza dal diritto al trattamento di CIGS, la circostanza che il lavoratore non avesse percepito compensi o utili per l’attività svolta a vantaggio della società di capitali di cui era socio). Si è anche aggiunto (Cass. Sez. L, Sentenza n. 6741 del 19/03/2010, Rv. 612474 – 01; v. pure ez. L, Sentenza n. 14196 del 14/06/2010, Rv. 613629 – 01) che In tema di cassa integrazione guadagni, ai fini della decadenza del diritto al trattamento integrativo salariale è sufficiente lo svolgimento di una attività lavorativa suscettibile di produrre reddito, restando irrilevante che si tratti di attività non retributiva o che l’attività sia qualificabile come autonoma o subordinata, dovendosi ritenere che la “ratio” del D.Lgs.Lgt. n. 788 del 1945, art. 3, applicabile “ratione temporis”, sia quella di evitare l’erogazione del trattamento integrativo in concomitanza con lo svolgimento di un’attività sostitutiva di quella sospesa.
Da tale incompatibilità discende la perdita integrale della CIG, salvo la prova (nella specie non fornita) che l’ammontare della retribuzione è inferiore all’indennità (nel qual caso la perdita potrà esser limitata alla sola differenza tra le due somme).
Il ricorso deve dunque essere rigettato.
Nulla per spese, non avendo l’INPS svolto attività difensiva.
Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2021
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