LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7136-2015 proposto da:
D.G.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. DENZA 20, presso lo studio dell’avvocato LAURA ROSA, rappresentato e difeso dagli avvocati VALERIA D’ILIO, LORENZO DEL FEDERICO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n, 798/2014 della COMM.TRIB.REG.ABRUZZO SEZ.DIST.
di PESCARA, depositata il 23/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/04/2021 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI.
RILEVATO
CHE:
– D.G.L. impugnava gli avvisi di accertamento ai fini IRPEF, IRAP e IVA – relativi agli anni di imposta 2007 e 2008 ed emessi a seguito di p.v.c. della Guardia di Finanza del 12/9/2012 lamentando il difetto di motivazione degli atti impositivi, l’infondatezza delle riprese fiscali per maggiori introiti non dichiarati e per disconoscimento di costi per acquisto di carburante, l’illegittimità del recupero dell’IVA su proventi di attività di agente di commercio, in quanto corrisposti da soggetto estero (e cioè, la preponente società avente sede nella Repubblica di San Marino);
– la C.T.P. di Pescara accoglieva parzialmente il ricorso del D.G.;
– la C.T.R. dell’Abruzzo, con la sentenza n. 14/07/14 del 23/7/2014, respingeva l’appello del D.G. e accoglieva quello incidentale dell’Agenzia delle Entrate, riformando integralmente la decisione di primo grado;
– avverso tale decisione D.G.L. ha proposto ricorso per cassazione, fondato su cinque motivi; il ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.;
– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
CONSIDERATO
CHE:
1. Col primo motivo il ricorrente deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42,L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 12, L. n. 241 del 1990, art. 3 per avere la C.T.R. confermato la validità degli atti impositivi reputando sufficiente la loro motivazione, sebbene l’Agenzia avesse omesso di prendere in considerazione, se non con una formula di stile, le memorie difensive del contribuente nel contraddittorio endoprocedimentale.
La censura è inammissibile, perché non soddisfa i requisiti di contenuto-forma prescritti dall’art. 366 c.p.c..
Le doglianze, infatti, si fondano sulle memorie difensive presentate dal D.G. e menzionate nell’avviso di accertamento senza che nel ricorso ne sia indicato (o riportato) il contenuto, impedendo così a questa Corte di legittimità di effettuare il vaglio della censura, relativa al giudizio di congruità della motivazione formulato dalla C.T.R..
2. Col secondo motivo, il D.G. lamenta (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 1 e art. 9, comma 1, n. 7), per avere la C.T.R. ritenuto che le prestazioni di agenzia rese costituissero operazioni soggette a IVA, sebbene le stesse fossero svolte in favore della Titanedi (società estera sammarinese) e dovessero essere considerate alla stregua di servizi internazionali di intermediazione relativi a beni in importazione/esportazione/transito.
La censura è infondata.
Esclusa, ratione temporis, l’applicabilità alla fattispecie del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7-ter non ha pregio la tesi del ricorrente che nel richiamare il citato D.P.R., art. 9, comma 1, n. 7), (riguardante “i servizi di intermediazione relativi a beni in importazione, in esportazione o in transito”) – sostiene l’esclusione dal campo IVA delle prestazioni di agenzia svolte per la preponente società estera.
Secondo consolidata giurisprudenza (tra le altre, Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 26368 del 17/10/2019, Rv. 655555-01) è irrilevante, ai fini della non imponibilità, la qualificazione soggettiva del committente e assume, invece, rilievo la circostanza – oggetto di specifico accertamento della C.T.R. – che il ricorrente procacciasse in Italia la vendita di prodotti già disponibili sul territorio italiano.
3. Col terzo motivo la società deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2700,2727 e 2729 c.c., per avere la C.T.R., con erronea valutazione dell’efficacia probatoria del p.v.c. e in base ad un errato ragionamento presuntivo, confermato la fondatezza degli avvisi impugnati.
La censura è inammissibile.
Il motivo – che, in violazione dell’art. 366 c.p.c., è redatto mediante la giustapposizione di una serie di documenti integralmente riprodotti in copia fotostatica (ex multis, Cass., Sez. L, Ordinanza n. 26837 del 25/11/2020, Rv. 659630-01, e Sez. 5, Sentenza n. 8245 del 04/04/2018, Rv. 647702-01) – sotto l’apparente deduzione di precetti normativi violati mira, in realtà, a sottoporre inammissibilmente al vaglio del giudice di legittimità il materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito, il quale, contrariamente agli assunti contenuti nel ricorso, non ha attribuito fede privilegiata alle deduzioni della Guardia di Finanza.
4. Col quarto (erroneamente indicato come quinto) motivo il ricorrente deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 per avere la C.T.R. reso una motivazione apodittica e soltanto apparente.
Anche tale censura è inammissibile.
Contrariamente a quanto affermato nel ricorso, la motivazione della sentenza impugnata fa esplicito riferimento alle doglianze dell’appellante indicando anche le fonti di prova sulle quali è stata fondata la decisione (p.v.c., dati e documenti forniti dallo studio professionale Morici).
A ben vedere, dunque, la censura denuncia, inammissibilmente, la pretesa insufficienza della motivazione, che – in esito alla modifica normativa apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 – non è più riconducibile ad alcuno dei motivi di ricorso individuati dall’art. 360 c.p.c..
5. Col quinto (erroneamente indicato come sesto) motivo il ricorrente lamenta (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione successiva alla modifica apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) l’omesso esame, da parte della C.T.R., di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, costituito dalle modalità con cui è stata determinata la misura delle provvigioni del ricorrente.
La censura è inammissibile perché, lungi dall’individuare un “fatto storico” che il giudice di secondo grado avrebbe mancato di considerare, critica la decisione per aver confermato le modalità con cui è stato rideterminato l’ammontare delle provvigioni percepite dal ricorrente.
6. In conclusione, il ricorso di D.G.L. deve essere respinto.
Alla decisione fa seguito la sua condanna a rifondere alla controricorrente le spese di questo giudizio di cassazione, le quali sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo secondo i vigenti parametri.
7. Stante il rigetto dell’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere ad Agenzia delle Entrate le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 13 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2021
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