LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20475-2015 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO;
– ricorrenti –
contro
G.A.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 436/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 21/08/2014 R.G.N. 605/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/02/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO BUFFA.
RITENUTO
CHE:
Con sentenza del 21.8.15 la corte d’appello di Venezia ha confermato la sentenza del 14.12.10 del tribunale della stessa sede che aveva accolto l’opposizione della signora G. alla cartella con le quali l’INPS le aveva chiesto il pagamento dei contributi dovuti per iscrizione alla gestione commercianti quale socia unica e amministratrice della GMR Investimenti srl. In particolare, la corte territoriale ha escluso che la ricorrente avesse prestato lavoro effettivo nella società.
Avverso tale sentenza propone ricorso l’INPS per un motivo, illustrato da memoria, rispetto al quale la G. è rimasta intimata.
CONSIDERATO
CHE:
Con unico motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 203 e ss., della L. n. 1397 del 1960, art. 2 e degli artt. 2082 – 2462 – 2468 – 2475 – 2476 – 2697 c.c., per avere la sentenza impugnata trascurato che la G. – socia unico della srl che non svolgeva altra attività lavorativa – aveva provveduto all’affidamento di attività tecniche a terzi, ciò che importa l’esercizio di poteri di gestione.
Il ricorso è infondato.
Questa Corte ha già affermato, in caso simile al presente (Cass. Sez. 6-L, ordinanza n. 4279 del 20.2.20), che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 13/10/2017, n. 24.155; Cass., 11/01/2016, n. 195); si aggiunge che, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il vizio in esame deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 26/06/2013, n. 16038; Cass. 12/01/2016, n. 287; Cass., 8 marzo 2007, n. 5353; Cass., 15 febbraio 2003, n. 2312).
Nel ricorso in esame il ricorrente, pur denunciando la violazione di norme di legge, non indica quale delle affermazioni della corte territoriale sarebbe in contrasto con le norme indicate e, attraverso l’apparente deduzione delle violazioni di legge, propone sostanzialmente una lettura alternativa delle risultanze di causa, mirando ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/04/2017, n. 8758; Cass. 13/07/2018, n. 18721).
Al centro della censura vi è infatti l’erronea valutazione da parte dei giudici del merito degli elementi probatori acquisiti e posti a base del giudizio (qualità di socia unica della G., assenza di altra attività lavorativa, affidamento della gestione a terzi), i quali secondo il ricorrente avrebbero dovuto condurre ad affermare la qualità di lavoratrice autonoma della G..
Tale assunto, peraltro, è errato, atteso che presupposto imprescindibile per l’iscrizione alla gestione commercianti è – per il disposto dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203 – la prova dello svolgimento di un’attività commerciale e che la qualità di socio unico di srl non è sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, essendo necessaria anche la partecipazione personale al lavoro aziendale, con carattere di abitualità e prevalenza, la cui ricorrenza deve essere provata dall’istituto assicuratore.
In altri termini, il possesso della qualità di socio unico è semplice elemento indiziario dello svolgimento di attività lavorativa all’interno della società unipersonale, potendo il detto elemento essere corroborato – o smentito – da altri elementi probatori.
Nella specie, non solo è mancata la prova di attività lavorativa della socia unica, ma è emerso – con un accertamento in fatto da parte della Corte supportato da una motivazione adeguata ed immune da vizi, non sindacabile in sede di legittimità – che la signora G. non ha mai prestato alcuna attività lavorativa nella società, gestita anzi da altri.
Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Nulla per spese, essendo la G. rimasta intimata.
Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto, a carico del ricorrente.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2021