Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.22195 del 03/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26766-2019 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GREGORIO VII, 474, presso lo studio dell’avvocato GUIDO ORLANDO, rappresentato e difeso dall’avvocato ALFIO ARDIZZONE;

– ricorrente –

contro

AP.DA., elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE TRIONFALE 145 presso lo studio dell’avvocato ANNA PAOLA AIELLO, rappresentato e difeso dall’avvocato PASQUALE DE ROSA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1478/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 15/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 16/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. TRICOMI LAURA.

RITENUTO

che:

Con sentenza depositata il 15/3/2019 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Napoli depositata l’11/5/2018, ha ridotto l’assegno divorzile posto a carico di A.G. in favore di Ap.Da. ad Euro 780,00= mensili a far data dalla sentenza di primo grado e ad Euro 702,00= mensili a decorrere dal 1^ gennaio 2019, in luogo dell’originario importo quantificato in Euro 1.100,00=, compensate le spese di giudizio di entrambi i gradi.

A.G. ha proposto ricorso per cassazione con tre mezzi; Ap.Da. ha replicato con controricorso.

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo è stata denunciata la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, sotto due profili.

1.2. Con il primo, il ricorrente si duole che la Corte distrettuale non abbia disposto nulla in merito alla richiesta di esclusione dell’assegno divorzile.

1.3. Con il secondo, quanto alla minor commisurazione dello stesso, sostiene che la Corte partenopea non abbia chiarito i criteri adottati per pervenire alla riduzione – a suo parere – non congrua, in considerazione dei principi espressi da Cass. n. 11504/2017, e non abbia tenuto conto della breve durata del matrimonio, della età relativamente giovane dell’ Ap. dotata di capacità lavorativa, del fatto che la stessa abitasse in una casa di proprietà, non sopportando costi aggiuntivi, del peggioramento incorso alla propria situazione economico/reddituale.

1.4. In disparte dal fatto che, sotto il primo profilo, la censura, prospetta una omessa pronuncia, di guisa che avrebbe dovuto essere proposta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il motivo e’, comunque, inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo il ricorrente riprodotto nel ricorso l’eventuale domanda che sostiene di avere proposto, tanto più che la Corte di appello ha affermato – al contrario – che A. non aveva contestato il diritto della Ap. ad ottenere l’assegno e tale positiva statuizione non è stata censurata.

1.5. Quanto al secondo profilo, appare opportuno premettere che, con la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 11490 del 1990, era stato affermato il carattere esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile, il cui presupposto è stato individuato nell’inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge istante a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, ed il cui ammontare da liquidare in base alla valutazione ponderata dei criteri enunciati dalla legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), con riguardo al momento della pronuncia di divorzio. Tale orientamento, rimasto fermo per un trentennio, è stato modificato con la menzionata sentenza n. 11504 del 2017 di questa Corte, che, muovendo anch’essa dalla premessa sistematica relativa alla distinzione tra il criterio attributivo e quello determinativo, ha affermato che il parametro dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante deve essere valutato al lume del principio dell’autoresponsabilità economica di ciascun coniuge, ormai “persona singola”, ed all’esito dell’accertamento della condizione di non autosufficienza economica, da determinare in base ai criteri indicati nella prima parte della norma. Con la recente sentenza n. 18287 del 2018 le Sezioni Unite di questa Corte sono nuovamente intervenute, e, nell’ambito di una complessiva riconsiderazione della materia, hanno ritenuto che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi o all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive del coniuge richiedente deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

1.6. Tuttavia la doglianza con cui è denunciata la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, non considera che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, viceversa, quando, come nella specie, si alleghi un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa il vizio è esterno all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, nei limiti previsti dal nuovo testo del numero 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, che, da una parte, ha circoscritto il sindacato di legittimità sulla motivazione alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza qui non ricorrenti, e, dall’altra, ha introdotto il vizio di omesso esame di un fatto che sia decisivo ed oggetto di discussione tra le parti.

A tale stregua, la censura non considera che i fatti in essa dedotti sono stati puntualmente oggetto di specifica disamina da parte della Corte distrettuale, come si evince dalla sentenza (fol. 3).

1.7. La Corte di appello, applicando i criteri come elaborati dalla pronuncia a Sezioni Unite del 2018, ha dato conto delle emergenze istruttorie, valorizzando sia la circostanza del peggioramento delle condizioni economiche dell’ex coniuge A., mediante un’analisi dei redditi decrescenti che non appare contestata specificamente dal ricorrente, sia la breve durata del matrimonio, rimarcando che – di conseguenza l’assegno divorzile aveva, nel caso, prevalente natura assistenziale ed ha proceduto ad una riduzione progressiva dell’assegno divorzile, rispetto a quello già fissato in occasione della separazione giudiziale, con statuizione congruamente e logicamente motivata.

Orbene le critiche svolte riguardano sostanzialmente la valutazione che dei molteplici fatti ha compiuto la Corte distrettuale sulla scorta dei plurimi criteri enucleabili dalla lettura della L. n. 898 del 1970, art. 5, come valorizzati nelle ultime decisioni di legittimità, e si traducono in una impropria sollecitazione del riesame del merito secondo le aspettative del ricorrente, mentre peccano per difetto di specificità in ordine alla tempestiva deduzione da parte sua al giudice del gravame di circostanze di fatto relative all’idoneità lavorativa della ex coniuge ed alla disponibilità, quale proprietaria, della casa di abitazione di cui sarebbe stato omesso l’esame.

2.1. Con il secondo motivo è stata denunciata la violazione degli artt. 147 e 316 bis c.c., anche in relazione al D.Lgs. n. 154 del 2013.

Il ricorrente si duole che la Corte distrettuale non abbia detto nulla in merito alla richiesta di riduzione dell’assegno di mantenimento già previsto in favore del figlio e non abbia tenuto conto del peggioramento della sua condizione economico/reddituale.

2.2. In disparte dal fatto che la censura, prospetta una omessa pronuncia, di guisa che avrebbe dovuto essere proposta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il motivo e’, comunque, inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo il ricorrente riprodotto nel ricorso l’eventuale domanda di riduzione dell’assegno di mantenimento per il figlio che sostiene di avere proposto, tanto più che la Corte di appello, al contrario, ha affermato che A. aveva proposto appello solo avverso il punto 5 del dispositivo di primo grado, chiedendo esclusivamente la diminuzione dell’assegno divorzile e tale statuizione non è stata censurata.

3.1. Con il terzo motivo è stata denunciata la violazione dell’art. 91 c.p.c. in merito alla disposta compensazione delle spese di giudizio per entrambi i gradi.

3.2. Il motivo è infondato.

La Corte distrettuale ha motivato in ordine alla sopravvenuta elaborazione giurisprudenziale in materia e la decisione è conforme al principio secondo il quale “Nel regime normativo posteriore alle modifiche introdotte all’art. 91 c.p.c. dalla L. n. 69 del 2009, in caso di accoglimento parziale della domanda il giudice può, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma questa non può essere condannata neppure parzialmente a rifondere le spese della controparte, nonostante l’esistenza di una soccombenza reciproca per la parte di domanda rigettata o per le altre domande respinte, poiché tale condanna è consentita dall’ordinamento solo per l’ipotesi eccezionale di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa.” (Cass. n. 26918 del 24/10/2018; Cass. n. 1572 del 23/01/2018).

4. In conclusione il ricorso va rigettato, inammissibili i motivi primo e secondo ed infondato il terzo.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Rigetta il ricorso, inammissibili i motivi primo e secondo ed infondato il terzo;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.200,00=, oltre Euro 100,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15%, ed accessori di legge;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2021

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