Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.22240 del 04/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8328-2019 proposto da:

D.G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO TEMPORALI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

N.T., D.G.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANTONIO MORDINI N. 14, presso lo studio dell’avvocato TERESINA T. MACRI’, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE BUCCA;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

D.G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE DELLE MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO TEMPORALI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso il decreto n. 31/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA TRICOMI.

RITENUTO

che:

Con decreto depositato il 10/1/2019 la Corte di appello di Roma, in parziale riforma del decreto del Tribunale di Roma depositato l’11/10/2016, ha revocato, con decorrenza dal mese di dicembre 2016, l’obbligo a carico di D.G.A. di corrispondere l’assegno mensile ed ogni altro contributo al mantenimento del figlio G.M. (n. 24/5/1985); ha incrementato l’assegno divorzile mensile in favore della ex coniuge N.T. da Euro 200,00= ad Euro 350,00=, con decorrenza dal mese di agosto 2015, oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT, compensando le spese di giudizio del secondo grado.

D.G.A. ha proposto ricorso per cassazione con tre mezzi; N.T. e D. G.M. hanno replicato con controricorso, spiegando ricorso incidentale con due mezzi, al quale D.G.A. ha replicato con controricorso.

Hanno depositato memoria i ricorrenti incidentali N.T. e D. G.M..

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo del ricorso principale è stata denunciata la violazione dell’art. 30 Cost., 6 della L. n. 898 del 1970 e degli artt. 147, 316 bis e 337 septies c.c., in ordine alla cessazione dell’obbligo del genitore divorziato di concorrere al mantenimento del figlio con il raggiungimento della maggiore età e della sopravvenuta indipendenza economica.

Il ricorrente si duole che la Corte di appello abbia revocato l’assegno di mantenimento in favore del figlio solo a decorrere dal dicembre 2016 (anno dell’assunzione dello stesso a tempo indeterminato) anziché dalla domanda proposta in primo grado (luglio 2015) e sostiene che il giudice di appello abbia male ponderato gli elementi emersi nel giudizio alla luce della giurisprudenza di legittimità circa il raggiungimento dell’autosufficienza economica (laurea magistrale conseguita nel 2013, svolgimento di attività lavorativa in modo continuativo, seppure con contratti a tempo determinato fino al 2016).

1.2. Con il secondo motivo del ricorso principale è stata denunciata la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, in ordine alla ricorrenza delle condizioni dell’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile, Il ricorrente sostiene che la Corte distrettuale abbia male interpretato i principi in tema di assegno divorzile fissati dalla decisione a Sez. U. n. 18287/2018, alla luce dei quali l’assegno divorzile ha natura assistenziale, compensativa e perequativa; rammenta quindi che la definizione e la quantificazione dell’assegno divorzile sono ora discostati dal criterio del tenore di vita matrimoniale e dello squilibrio tra le condizioni economiche delle parti, sostituito dal criterio dell’indipendenza economica dell’ex coniuge e dell’autoresponsabilità economica di ciascun coniuge, in relazione al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito da ognuno di essi, avuto come punto di riferimento la durata del rapporto coniugale e di vita matrimoniale insieme.

In proposito il ricorrente sostiene che la Corte di appello non ha esattamente considerato l’esiguità della convivenza matrimoniale e l’attività lavorativa volta dalla ex coniuge dal 2011.

1.3. Con il terzo motivo del ricorso principale è stata denunciata la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 111 Cost., in ordine alla quantificazione dell’assegno divorzile, basata sulla disparità economica, non fondata su validi elementi di prova, presunzioni o nozioni di comune esperienza.

Il ricorrente si duole che la Corte di appello abbia quantificato l’assegno divorzile sulla scorta di mere affermazioni, quanto all’aiuto economico di cui egli stesso avrebbe goduto da parte della nuova moglie, e non abbia considerato che il figlio era cresciuto avendo anche significativi rapporti con il padre, quantomeno fino al 2010, e che proprio il figlio dal 2010 – avendo un proprio reddito – aveva contribuito alle spese familiari in ragione della convivenza con la madre, ed abbia attuato un giudizio di comparazione imparziale e sperequato.

2.1. Con il primo motivo del ricorso incidentale è stata denunciata la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c..

I ricorrenti si dolgono che non sia stato considerato integralmente il reddito e le maggiori entrate effettivamente percepite dall’ex-coniuge e, di contro, il decremento economico subito dalla ricorrente, inabile al lavoro all’80% e titolare di una pensione di Euro 507,00 mensili.

2.2. Con il secondo motivo del ricorso incidentale è stata denunciata la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., criticando la statuizione di compensazione delle spese di lite adottata dalla Corte distrettuale.

3.1. Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile.

Giova ricordare, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità richiamata dallo stesso ricorrente, che la cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa nonché, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, dal raggiungimento della maggiore età, da parte dell’avente diritto (Cass. n. 5088 del 05/03/2018), in quanto il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un’occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni (Cass. n. 17183 del 14/08/2020); inoltre, una volta che sia provata la prestazione di attività lavorativa retribuita da parte del figlio maggiorenne, resta rimessa alla valutazione del giudice del merito la eventuale esiguità del reddito percepito, al fine di escludere la cessazione dell’obbligo di contributo al mantenimento del figlio a carico del genitore non affidatario (Cass. n. 24498 del 17/11/2006; Cass. 1611 del 24/1/2011).

3.2. Nel caso di specie la Corte di appello si è attenuta a questi principi, in quanto ha accertato che G.M. aveva conseguito la laurea magistrale nel 2013 e si era sempre impegnato nella ricerca del lavoro ed aveva conseguito dei redditi dal 2013 in poi per attività lavorative temporanee, rimarcando che queste – contrariamente a quanto fatto dal tribunale – andavano valutate al netto, ritendo quindi che il contributo al mantenimento era dovuto: la censura si palesa esclusivamente come una sollecitazione ad un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, inammissibile in sede di legittimità, senza che nemmeno siano stati indicati fatti tempestivamente dedotti di cui sia stato omesso l’esame in sede di merito.

4.1. I motivi secondo e terzo del ricorso principale e primo del ricorso incidentale, da trattare congiuntamente perché afferiscono a temi strettamente connessi concernenti la statuizione in merito al riconoscimento ed alla quantificazione dell’assegno divorzile, sono inammissibili.

4.2. Al riguardo, appare opportuno premettere che, con la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 11490 del AIA 1990, era stato affermato il carattere esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile, il cui presupposto è stato individuato nell’inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge istante a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, ed il cui ammontare da liquidare in base alla valutazione ponderata dei criteri enunciati dalla legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), con riguardo al momento della pronuncia di divorzio. Tale orientamento, rimasto fermo per un trentennio, è stato modificato con la menzionata sentenza n. 11504 del 2017 di questa Corte, che, muovendo anch’essa dalla premessa sistematica relativa alla distinzione tra il criterio attributivo e quello determinativo, ha affermato che il parametro dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante deve essere valutato al lume del principio dell’autoresponsabilità economica di ciascun coniuge, ormai “persona singola”, ed all’esito dell’accertamento della condizione di non autosufficienza economica, da determinare in base ai criteri indicati nella prima parte della norma. Con la recente sentenza n. 18287 del 2018 le Sezioni Unite di questa Corte sono nuovamente intervenute, e, nell’ambito di una complessiva riconsiderazione della materia, hanno ritenuto che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi o all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive del coniuge richiedente deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

4.3. Tuttavia le tre doglianze riferite alla violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, non considerano che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, viceversa, quando, come nella specie, si alleghi un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa il vizio è esterno all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, nei limiti previsti dal nuovo testo del numero 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, che, da una parte, ha circoscritto il sindacato di legittimità sulla motivazione alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza qui non ricorrenti, e, dall’altra, ha introdotto il vizio di omesso esame di un fatto che sia decisivo ed oggetto di discussione tra le parti.

A tale stregua, le censure non considerano che i fatti in esse dedotti sono stati puntualmente oggetto di specifica disamina da parte della Corte romana, come si evince dalla sentenza (fol. 4-6).

La Corte di appello, applicando i criteri come elaborati dalla pronuncia a Sezioni Unite del 2018, ha tenuto conto sia del miglioramento delle condizioni economiche della N., collegato allo svolgimento di attività lavorative part-time presso una Cooperativa, sia delle condizioni economiche di D., tutte al netto; ha tenuto conto della durata del matrimonio, della cura del figlio svolta dalla N., ed ha considerato la situazione economica del D., valutando la titolarità dell’usufrutto di un immobile di cui è nuda proprietaria l’attuale moglie, la percezione da parte di questa di una pensione e la raggiunta autosufficienza economica di una delle due figlie, nate dal secondo matrimonio, pervenendo così alla rideterminazione dell’assegno divorzile, in misura inferiore a quello originariamente concordato tra le parti in sede divorzile, anche se maggiore rispetto alla quantificazione compiuta in primo grado.

Orbene le critiche svolte riguardano sostanzialmente la valutazione che dei molteplici fatti ha compiuto la Corte distrettuale sulla scorta dei plurimi criteri enucleabili dalla lettura della L. n. 898 del 1970, art. 5, come valorizzati nelle ultime decisioni di legittimità, mentre peccano per difetto di specificità in ordine alla tempestiva deduzione da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali di circostanze di fatto di cui sia stato omesso l’esame.

Ne’ può utilmente invocarsi l’art. 115 c.p.c., la cui violazione è deducibile se il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, mentre detta violazione non è ravvisabile nella mera circostanza che il giudice abbia valutato tali prove in modo non condiviso da una di dette parti, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che demanda, appunto, in via esclusiva, al giudice del merito la ricostruzione in fatto della vicenda; disposizione che il motivo tende, al dunque, ad aggirare.

In generale i motivi di ricorso contengono una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della Corte di Appello, dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni e le fonti del proprio convincimento. Tale richiesta di riesame non è evidentemente deducibile quale motivo di impugnazione in questa sede di legittimità, ancor più in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass. Sez. U. n. 8053 del 7/4/2014).

5.1. Il secondo motivo del ricorso incidentale è infondato.

5.3. La Corte romana ha motivato circa la compensazione delle spese in ragione dell’esito del giudizio (parziale reciproca soccombenza) e del margine di opinabilità della materia e la decisione risulta immune da vizia, poiché non risulta violato il principio della soccombenza, così ribadendo che il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass. n. 24502 del 17/10/2017; Cass. n. 26912 del 21/11/2020).

6. In conclusione il ricorso principale va dichiarato inammissibile ed il ricorso incidentale va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità si compensano in ragione della reciproca soccombenza.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principale ed incidentale, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale;

– Compensa le spese del giudizio di legittimità tra le parti;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per i rispettivi ricorsi a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2021

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