Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.22242 del 04/08/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12225-2019 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO CUCCHIARA;

– ricorrente –

contro

S.A., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE, 199, presso lo studio dell’avvocato ANTONIETTA GIANNUZZI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE VACCARO;

– controricorrenti –

avverso il decreto n. R.G. 460/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositato il 09/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa TRICOMI LAURA.

RITENUTO

CHE:

Con il decreto depositato il 9/11/2018 la Corte di appello di Palermo ha elevato l’assegno divorzile posto a carico di C.F. in favore dell’ex-coniuge S.A. da Euro 233,35= ad Euro 500,00=, con decorrenza dalla data della domanda giudiziale, in totale riforma del decreto del Tribunale di Sciacca del 25/7/2017, ed ha condannato il C. alle spese di lite del primo e del secondo grado.

C.F. ha proposto ricorso per cassazione con sei mezzi, corredato da memoria; S.A. ha replicato con controricorso.

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

CONSIDERATO

CHE:

1. Preliminarmente va disattesa la richiesta di C. di rimessione del ricorso alla pubblica udienza.

Ritiene la Corte che non sussiste alcun obbligo, né vi sono ragioni di opportunità, perché, all’esito dell’adunanza in camera di consiglio, il collegio rimetta la causa che preveda la trattazione di questioni rilevanti o, comunque, prive di precedenti in pubblica udienza, mediante una sorta di mutamento del rito di cui all’art. 380-bis c.p.c.. Invero, la trattazione con il rito camerale risulta pienamente rispettosa del diritto di difesa delle parti, le quali, tempestivamente avvisate entro un termine adeguato del giorno fissato per l’adunanza mediante la notifica del decreto in cui è indicata l’ipotesi di definizione ravvisata, possono esporre compiutamente i propri assunti (cfr. Cass. n. 8869 del 05/04/2017): questo principio, che non prevede l’obbligo, ma neppure vieta, nei casi indicati la remissione alla pubblica udienza, è in linea con il disposto dell’art. 380 bis c.p.c., u.c., che prevede la rimessione alla pubblica udienza solo se il Collegio ritiene che non ricorrano le ipotesi previste dall’art. 375 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 5) o che sussistano questioni di rilievo nomofilattico, ipotesi che non si ravvisano nel presente caso. Tale conclusione, peraltro, non contrasta in modo insuperabile con altri orientamenti espressi da questa Corte che hanno valorizzato, appunto, la possibilità di un mutamento del rito a favore della pubblica udienza e non la sua obbligatorietà (Cass. n. 5533 del 06/03/2017; Cass. n. 19115 del 01/08/2017).

2. Sempre preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dalla controricorrente. Invero, “Il decreto con cui la corte d’appello provvede, su reclamo delle parti ex art. 739 c.p.c., alla revisione delle condizioni inerenti ai rapporti patrimoniali fra i coniugi divorziati ed al mantenimento della prole, ha carattere decisorio e definitivo, ed è pertanto ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., mentre non può essere revocato o modificato ai sensi dell’art. 742 c.p.c., il quale si riferisce unicamente ai provvedimenti camerali privi dei predetti caratteri di decisorietà e definitività” (Cass. n. 21190 del 31/10/2005; Cass. n. 23673 del 06/11/2006; in tema di separazione personale dei coniugi cfr. Cass. n. 12018 del 07/05/2019; Cass. n. 11218 del 10/05/2013).

3.1. Con il primo ed il secondo motivo si denuncia la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 9 e art. 5, comma 6, per avere accolto la Corte di appello la richiesta di revisione dell’assegno divorzile in assenza di fatti sopravvenuti giustificativi della domanda, come previsto dalla citata L. n. 898 del 1970, art. 9.

In riferimento al primo, il ricorrente assume che la situazione economica complessiva dei coniugi non era mutata rispetto a quella già esaminata in sede di divorzio e che gli elementi presi in considerazione dal giudice del gravame erano stati erroneamente ritenuti sopravvenuti.

In riferimento al secondo, il ricorrente lamenta che erroneamente la Corte di appello ha disposto l’aumento dell’assegno divorzile in ragione del miglioramento della condizione economica di esso ricorrente, dovuta al risparmio di spesa conseguente alla raggiunta autosufficienza economica di due dei tre figli, in quanto non è ravvisabile un automatismo tra il miglioramento delle condizioni economiche dell’obbligato e l’incremento dell’assegno, e che tale statuizione appare in contrasto con il principio della autoresponsabilità economica post coniugale ed indipendenza degli ex coniugi affermata da Cass. n. 11504/2017, tanto più che la S. non aveva nemmeno allegato fatti attestanti il peggioramento della sua situazione economica.

3.2. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., art. 2697 c.c. Il ricorrente sostiene che la Corte distrettuale abbia erroneamente accolto il reclamo, nonostante il mancato assolvimento da parte della reclamante dell’onere della prova in relazione alla insussistenza di mezzi adeguati per motivi sopravvenuti ed alla sua impossibilità a procurarseli, atteso che la stessa aveva addotto le ragioni già fatte valere in sede divorzile.

3.3. I primi tre motivi, da trattarsi congiuntamente, perché intimamente connessi, sono inammissibili.

Va qui confermato il principio secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando il ricorrente, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758 del 04/04/2017). Con il ricorso per cassazione – anche se proposto con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la parte non può, invero, rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. n. 29404 del 07/12/2017; Cass. n. 19547 del 04/08/2017; Cass. n. 16056 del 02/08/2016).

3.4. Invero la Corte distrettuale si è attenuta al principio secondo il quale “La revisione dell’assegno divorzile di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9 postula l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti. In particolare, in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata.” (Cass. n. 787 del 13/01/2017; Cass. n. 11177 del 23/04/2019); quindi, accertato il mutamento in melius delle condizioni economiche del C., rilevante al fine della comparazione della situazione economica delle due parti, la Corte di appello ha operato la nuova quantificazione dell’assegno in ragione dello stesso. Ne consegue che le censure, sostanzialmente volte a sollecitare un diverso accertamento dei fatti, conforme a quanto auspicato dal ricorrente, sono inammissibili.

4.1. Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., art. 2697 c.c.

Il ricorrente sostiene che la Corte distrettuale abbia erroneamente accolto il reclamo nonostante il mancato assolvimento da parte della reclamante dell’onere della prova in relazione alla proprietà dell’imbarcazione attribuita al C., ma da questi contestata.

4.2. Il motivo è infondato, atteso che non risulta alcuna violazione dell’onere probatorio, posto che la Corte palermitana nel decreto ha dato atto che la proprietà dell’imbarcazione in capo al C. era stata già accertata in sede di sentenza divorzile, ed era il ricorrente che avrebbe dovuto – semmai provare la mancanza di attualità di tale circostanza di fatto.

5.1. Con il quinto motivo si denuncia la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9.

Il ricorrente si duole che la Corte di appello abbia omesso di attivare i poteri di indagine riconosciuti al giudice del divorzio per accertare quanto allegato dallo stesso circa la percezione da parte di S. di una cospicua somma di danaro, riveniente dagli zii.

5.2. Il motivo è inammissibile perché formulato in maniera generica ed aspecifica ed è inidoneo a dimostrare la tempestiva e circostanziata deduzione nella fase di merito di quanto si assume.

6.1. Con il sesto motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione al finanziamento ottenuto nel 2017 dal ricorrente da Banca Mediolanum per l’importo di Euro 25.000,00= – comportante il versamento di una rata di rimborso di Euro 348,00 mensili fino al 2024 – da utilizzare per creare una porzione abitativa autonoma nell’immobile per il figlio Marco, argomentazioni proposte nella memoria di replica depositata il 24/5/2018 e – a suo dire comprovata con documentazione bancaria e supportata dalla richiesta di prova per testi.

6.2. Il motivo è inammissibile perché non è sufficientemente specifico in merito alla tempestiva introduzione della questione circa il carattere non voluttuario del finanziamento e della spesa e perché, come chiarito dalla Suprema Corte, non costituiscono “fatti”, il cui omesso esame possa configurare il vizio suddetto, gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato come nel presente caso -sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. U. n. 8053 del 7/4/2014).

7. In conclusione il ricorso va rigettato, inammissibili i primi tre motivi, il quinto ed il sesto, infondato il quarto.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Rigetta il ricorso, inammissibili i primi tre motivi, il quinto ed il sesto, infondato il quarto;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.000,00=, oltre Euro 100,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15%, ed accessori di legge;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472