LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1509/2012 R.G. proposto da:
P.E., rappresentato e difeso dall’Avv. Fabio Pace, con domicilio eletto in Milano, corso di Porta Romana, n. 89/b, presso lo studio dello stesso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 136/12/10 depositata il 23 novembre 2010.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 14 aprile 2021 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.
RILEVATO
che:
l’Agenzia delle entrate notificò a P.E. – esercente l’attività d’impresa di lavori di meccanica generale – un avviso di accertamento per il periodo d’imposta 2003, con il quale riprese a tassazione, ai fini dell’IRPEF e delle addizionali regionale e comunale all’IRPEF, dell’IRAP e dell’IVA, irrogando le correlative sanzioni, tra l’altro (e per quanto qui ancora rileva): a) costi indeducibili per Euro 17.800,00, b) maggiori ricavi per Euro 51.573,92;
la ripresa a tassazione relativa ai costi indeducibili per Euro 17.800,00 fu operata dall’Agenzia delle entrate a seguito del disconoscimento dei costi risultanti da otto fatture del fornitore Esse. E. di S.E., che l’amministrazione finanziaria reputò emesse per operazioni oggettivamente inesistenti;
la ripresa a tassazione relativa ai maggiori ricavi per Euro 51.573,92 fu operata dall’Agenzia delle entrate rideterminando i ricavi che sarebbero stati conseguiti dal contribuente attraverso l’impiego dei fattori produttivi della manodopera e delle lavorazioni effettuate da terzi, in particolare: a) quanto ai ricavi della manodopera, considerando, da un lato, che anche il titolare dell’impresa avesse effettuato 1.820 ore di lavoro (le quali andavano quindi sommate alle 13.435 ore di lavoro effettuate dai sette operai) e, dall’altro lato, che la remunerazione della manodopera fosse pari al doppio del suo costo (di Euro 12,73 l’ora e, quindi, a Euro 25,46 l’ora); b) quanto ai ricavi delle lavorazioni effettuate da terzi, considerando una redditività di queste pari al 30% del loro importo;
l’avviso di accertamento fu impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale di Pavia (hinc anche: “CTP”), che rigettò il ricorso del contribuente;
avverso tale pronuncia, P.E. propose appello alla Commissione tributaria regionale della Lombardia (hinc anche: “CTR”), che lo accolse parzialmente, annullando altre riprese a tassazione, confermando, tuttavia, la sentenza della CTP (e l’avviso di accertamento) nella parte relativa alle riprese a tassazione di costi indeducibili per Euro 17.800,00 e di maggiori ricavi per Euro 51.573,92;
con riguardo a tali riprese, la CTR motivò, in particolare, che: a) “va (…) confermata la ripresa dell’Ufficio per Euro 17.800,00 oltre all’imposta IVA per Euro 3.500,00, indeducibili perché trattasi di fatture fittizie. E’ emerso infatti che le fatture emesse dalla Ditta S. per l’anno 2003, con scadenza mensile e numerate in modo conseguenziale per l’importo su indicato, e recanti la medesima descrizione, non abbiano trovato un uguale riscontro nella dichiarazione dei redditi della ditta emittente ai fini della dichiarazione IVA. Tale comportamento rende poco credibile che trattasi di operazioni effettuate realmente dalla ditta emittente, e quindi si deve ritenere fondata la ripresa dell’Ufficio”; b) “(p)arimenti fondata risulta essere la ripresa di maggiori ricavi di Euro 51.573,92 sulla base delle ricostruzioni operate dall’Ufficio e fondata sulla documentazione fornita dal contribuente in sede di compilazione del questionario. Non può infatti escludersi, dall’esame del mod. 770/2003 e del foglio presenze di solo n. 7 lavoratori, in contrasto con gli studi di settore presentati dal contribuente in cui figurano anche altri due soggetti, un collaboratore e un familiare, che il titolare, non esplichi piena partecipazione nella società, in considerazione anche delle sue riconosciute capacità tecnico operative, tenuto conto che non si può ritenere che tre soggetti si occupino della parte amministrativa dell’azienda. Il metodo operato dall’Ufficio sulla base della ricostruzione delle ore lavorate anche dal titolare e con riferimento alla remunerazione minima del valore della manodopera, appare convincente a questa Commissione con la conseguenza che la ripresa va confermata”;
avverso tale sentenza – depositata in segreteria il 23 novembre 2010 – limitatamente alle parti, sopra riportate, relative alle riprese a tassazione di costi indeducibili per Euro 17.800,00 e di maggiori ricavi per Euro 51.573,92, ricorre per cassazione P.E., che affida il proprio ricorso, notificato il 23 dicembre 2011/4-10 gennaio 2012, a cinque motivi;
l’Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva;
P.E. ha depositato una memoria.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omessa o insufficente motivazione circa il fatto, controverso e decisivo per il giudizio, dell’esistenza o no delle operazioni di cui alle otto fatture emesse da Esse. E. di S.E., per avere la CTR – nel ritenere l’inesistenza di tali operazioni per il solo fatto che le fatture “non abbiano trovato un uguale riscontro nella dichiarazione dei redditi della ditta emittente ai fini della dichiarazione IVA” – trascurato di considerare le circostanze: a) che, come dedotto nella memoria depositata nel giudizio di appello e comprovato dalla documentazione a essa allegata, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pavia aveva chiesto l’archiviazione del procedimento penale instaurato nei propri confronti per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso delle menzionate fatture e il giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva ritenuto la fondatezza della richiesta del Procuratore della Repubblica e decretato l’archiviazione del procedimento; b) che, come dedotto e documentato anche per ciascuna delle otto fatture in questione, “tutte le lavorazioni di terzi (…) hanno subito un iter complesso tra aziende diverse che è impossibile simulare”; c) dell'”illegittimo utilizzo da parte dell’ufficio di una serie di doppie presunzioni al fine di ritenere l’inesistenza delle operazioni in questione”;
con il secondo motivo, concernente anch’esso, come il primo, la parte della sentenza impugnata relativa alla ripresa a tassazione di costi indeducibili per Euro 17.800,00, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, in quanto la CTR, confermando la suddetta ripresa a tassazione sulla base dell’unico indizio che le fatture “non abbiano trovato un uguale riscontro nella dichiarazione dei redditi della ditta emittente ai fini della dichiarazione IVA” – e, quindi, senza che l’amministrazione finanziaria avesse addotto “indizi gravi, precisi e concordanti dell’inesistenza oggettiva delle operazioni” – ha “implicitamente posto in capo al contribuente l’onere di provare l’esistenza delle operazioni sottese alle fatture”, così violando le disposizioni invocate “con riguardo alla distribuzione dell’onere della prova ed all’accertamento della sussistenza di fatturazioni per operazioni inesistenti”;
con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omessa o insufficiente motivazione circa il fatto, controverso e decisivo per il giudizio, dell’esistenza di maggiori ricavi non dichiarati per Euro 51.373,92 accertati, in via presuntiva, “sulla base della ricostruzione delle ore lavorate anche dal titolare e con riferimento alla remunerazione minima del valore della manodopera a fronte degli elementi di fatto dedotti dal contribuente”, per non avere la CTR tenuto conto di tali elementi, in particolare, della circostanza che dai preventivi prodotti nel giudizio di appello – formulati sulla base delle ore di lavoro necessarie in relazione a un determinato quantitativo di pezzi e accettati dai propri principali clienti (ai quali era riferibile la maggior parte del fatturato dell’anno 2003) – risultava una remunerazione della manodopera di circa Euro 18,00 l’ora, inferiore a quella di Euro 25,46 l’ora assunta dall’Agenzia delle entrate nell’avviso di accertamento, considerando la quale “il totale fatturato relativo alle prestazioni di servizi dichiarato per il 2003 è congruo”;
con il quarto motivo, concernente anch’esso, come il terzo, la parte della sentenza impugnata relativa alla ripresa a tassazione di maggiori ricavi per Euro 51.573,92, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, per avere la CTR confermato una ripresa a tassazione “fondata sulla base di presunzioni di secondo grado prive di riscontro in ulteriori elementi di fatto”, considerato, da un lato, che “l’individuazione di una remunerazione minima del valore della manodopera, di una redditività minima correlata alle lavorazioni conto terzi e del numero ore del titolare non possono assurgere ad elementi che da soli, ex se, attestino e provino la rettifica operata dall’Agenzia” e, dall’altro lato, che “le presunzioni impiegate dall’ufficio per fondare la ripresa a tassazione (…) sono illegittime in quanto trattasi di presunzioni semplici fondate le une sulle altre in violazione del divieto dell’utilizzo di doppie presunzioni” (atteso, in particolare, che “fila remunerazione minima (…) è stata determinata in maniera arbitraria, senza indicazione dei documenti e dei dati considerati”, sicché “non è un “fatto noto”, bensì un fatto presunto” e che “(i)dentico ragionamento possiamo sviluppare anche per la redditività minima determinata nella misura del 30% e per il numero di ore del titolare”);
con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omessa motivazione della sentenza impugnata in ordine al motivo di appello relativo all’illegittimità dell’avviso di accertamento, nella parte che contiene il provvedimento di irrogazione delle sanzioni, per mancanza di motivazione e conseguente violazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 16;
il primo motivo è fondato nel suo primo e nel suo secondo profilo (riassunti sopra sub a e sub b), mentre è inammissibile nel suo terzo profilo (riassunto sopra sub c);
va premesso che al presente ricorso si applica l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nel testo di tale articolo sostituito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, e che questa Corte ha chiarito che il “fatto”, controverso e decisivo per il giudizio, ivi menzionato deve essere inteso come “un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico” e non è assimilabile, in alcun modo, a una “questione” o una “argomentazione” (Cass., 08/10/2014, n. 21152, 03/10/2018, n. 24035);
da ciò discende l’inammissibilità del terzo profilo del motivo, atteso che l'”illegittimo utilizzo da parte dell’ufficio di una serie di doppie presunzioni al fine di ritenere l’inesistenza delle operazioni” – elemento che, secondo il ricorrente, la CTR avrebbe trascurato di considerare – palesemente non concreta un “fatto” nel senso storico-naturalistico precisato dal ricordato principio di diritto;
prima di esaminare il primo e il secondo profilo del motivo, occorre ricordare il principio – affermato da questa Corte e ormai consolidato – secondo cui, “qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che le operazioni commerciali oggetto di fatturazione non sono mai state poste in essere, indicando gli elementi, anche indiziari, sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo, altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili” (Cass., 15/05/2018, n. 11873; nello stesso senso, Cass., 10/06/2011, n. 12802, 20/01/2016, n. 967, 19/05/2017, n. 12701, 20/02/2020, n. 4410);
ciò ricordato, il primo profilo del motivo è fondato;
come si è detto, con questo profilo il ricorrente ha addotto che la CTR ha trascurato di considerare che – come dedotto nella memoria depositata nel giudizio di appello e comprovato dalla documentazione a essa allegata – il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pavia aveva chiesto l’archiviazione del procedimento penale instaurato nei propri confronti per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso delle fatture in contestazione e il giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale, condividendone la motivazione, aveva ritenuto la fondatezza della richiesta del Procuratore della Repubblica e decretato l’archiviazione del procedimento;
come risulta dalla lettura della suddetta richiesta di archiviazione che il ricorrente ha depositato, con il pedissequo decreto del giudice per le indagini preliminari, insieme con il ricorso per cassazione (allegati, rispettivamente, n. 13 e n. 15) – l’archiviazione del procedimento penale nei confronti del contribuente fu chiesta per la motivazione che “i fatti e le circostanze evidenziati nella CNR (conseguenzialità del numero delle fatture rispetto ai mesi dell’anno, descrizione delle prestazioni) a parere dell’ufficio non costituiscono elementi dotati di gravità, precisione e concordanza tali da poter far configurare il reato addebitato al P.”, che “una delle circostanze evidenziate dall’organo accertatore, ovvero, la presunta “evidente” incongruenza del “doppio” numero 8 di DDT non trova riscontro negli atti d’indagine” e che “pertanto (…) la notizia di reato appare infondata, e che il quadro indiziario a carico dell’indagato appare complessivamente povero, circostanza per la quale è possibile ipotizzare sin da ora l’esito assolutorio del giudizio”;
tale richiesta del pubblico ministero, accolta dal giudice per le indagini preliminari, appuntandosi proprio su fatti e circostanze che erano stati addotti dai funzionari che procedettero all’accertamento quali elementi indiziari dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, poteva assumere un’evidente rilevanza e doveva, quindi, essere valutata, nel complessivo quadro indiziario, dalla CTR (v. Cass., 19/10/2007, n. 21953);
anche il secondo profilo del motivo è fondato;
come pure si è detto, con questo profilo il ricorrente ha addotto che la CTR ha altresì trascurato di considerare la circostanza che – come dedotto e documentato anche per ciascuna delle otto fatture in questione, al fine di provare l’esistenza delle operazioni in esse indicate – “tutte le lavorazioni di terzi (…) hanno subito un iter complesso tra aziende diverse che è impossibile simulare”;
tale iter si articolava, in particolare: nell’invio al fornitore, nella specie a Esse. E. di S.E., dei pezzi da lavorare con proprio documento di trasporto; nella restituzione di tali pezzi “lavorati” con documento di trasporto del fornitore; nel pagamento della fattura da parte del contribuente mediante assegno bancario intestato al fornitore; nel versamento di tale assegno da parte di questi, con apposizione della propria firma di girata; nella fatturazione, da parte del contribuente, al cliente finale;
pertanto, si trattava qui non della sola evidenza contabile dei pagamenti, elemento che, come si è visto, è di per sé solo insufficiente, ma di diverse circostanze – tra cui anche quella dell’asserita cessione dei medesimi pezzi “lavorati” dal fornitore Esse. E. di S.E. ai clienti del contribuente – le quali potevano evidentemente assumere rilevanza e dovevano, quindi, essere anch’esse valutate dalla CTR nel complessivo quadro indiziario;
l’esame del secondo motivo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo, nei termini esposti;
il terzo motivo è fondato;
come si è detto nella parte in fatto, la ripresa a tassazione relativa ai maggiori ricavi per Euro 51.573,92 fu operata dall’Agenzia delle entrate rideterminando i ricavi che sarebbero stati conseguiti dal contribuente attraverso l’impiego del fattore produttivo, tra l’altro (e principalmente: per Euro 47.248,86), della manodopera, rideterminazione che, in particolare, fu fatta considerando che la remunerazione della manodopera fosse pari a doppio del suo costo e, quindi, a Euro 25,46 l’ora;
a fronte di ciò, è immediatamente comprensibile la rilevanza che potevano assumere le risultanze dei preventivi prodotti dal contribuente nel giudizio di appello – altresì depositati insieme con il ricorso per cassazione – in quanto, essendo formulati proprio sulla base delle ore di lavoro necessarie in relazione a un determinato quantitivo di pezzi, potevano consentire di desumerne una remunerazione della manodopera nei fatti inferiore a quella di Euro 25,46 l’ora assunta dall’Agenzia delle entrate nell’avviso di accertamento;
da ciò discende che la CTR avrebbe dovuto valutare, nel complessivo quadro indiziario, anche le suddette risultanze dei preventivi;
l’esame del quarto motivo è assorbito dall’accoglimento del terzo motivo;
l’esame del quinto motivo, relativo alle sanzioni, è assorbito dall’accoglimento del primo e del terzo motivo, atteso che, in conseguenza di tale accoglimento, il giudice del rinvio dovrà provvedere a un nuovo e autonomo esame della controversia;
pertanto, il primo e il terzo motivo devono essere accolti (il primo motivo nei limiti sopra indicati), assorbiti il secondo, il quarto e il quinto motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa deve essere rinviata alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, affinché provveda a un nuovo esame della controversia, nonché a regolare le spese del presente giudizio di cassazione.
PQM
accoglie il primo e il terzo motivo (il primo motivo nei limiti indicati in motivazione), assorbiti il secondo, il quarto e il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2021