LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28569-2017 prcposto da:
SOCIETA’ CATTOLICA DI ASSICURAZIONE SOCIETA’ COOPERATIVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. BERTOLONI n. 55, presso lo studio degli avvocati FEDERICO MARIA CORBO’, FILIPPO MARIA CORBO’, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
N.S., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 10, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA ANASTASIO, rappresentato e difeso dall’avvocato FEDERICO JORIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 767/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 26/05/2017 R.G.N. 1818/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/12/2020 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.
RILEVATO
CHE:
1. Con la sentenza n. 767 del 2017 la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Cosenza l’1.10.2013, ha respinto la domanda proposta in prime cure dalla Società Cattolica di Assicurazioni soc. cooperativa, nei confronti di N.S., suo agente, diretta ad ottenere la condanna di quest’ultimo al pagamento della residua somma di Euro 31.155,73 quale saldo debitorio dovuto in relazione al mandato espletato e poi revocato per giusta causa.
2. I giudici di seconde cure, a fondamento della propria decisione, hanno rilevato che, con riguardo ai tre punti del verbale di riconsegna redatto a seguito della revoca del mandato e oggetto di censure, vi era stata una torsione dei principi inerenti all’onere della prova perché, secondo il Tribunale, rispetto alle risultanze del suddetto verbale il N. non aveva fornito idonee confutazioni a negare il credito ivi risultante. La Corte territoriale ha precisato che un documento proveniente dalla stessa parte non avrebbe potuto costituire una prova a suo favore e che, in relazione ad esso, non poteva ipotizzarsi un obbligo di contestazione specifico pur essendovi stata una contestazione generale dell’esistenza del credito e del suo ammontare; ha, infine, sottolineato che la firma in calce al verbale, da parte del N., non rivestiva alcun significato in quanto la sottoscrizione era stata preceduta da una espressa verifica dei conteggi redatti dagli ispettori.
3. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la Società Cattolica di Assicurazione affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso N.S..
4. Le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO
CHE:
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 416 c.p.c., n. 3 in relazione all’onere della prova e all’onere di contestazione specifica, il tutto in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3. Deduce che erroneamente la Corte territoriale aveva qualificato il “verbale di riconsegna” quale atto unilaterale proveniente da essa società, mentre in realtà le operazioni di riconsegna riportate in un apposito verbale discendevano da una precisa norma collettiva di cui all’Accordo Nazionale Agenti (art. 23) ed era stato, inoltre, redatto in contraddittorio tra le parti e con sottoscrizione che comportava la conferma delle risultanze. Rileva che la dichiarazione concernente la richiesta di potere verificare “alcune componenti del verbale” era stata allegata dal N. e che il Tribunale, dopo avere accertato la tardività della costituzione del N., aveva comunque analizzato le mere difese di merito giungendo alla conclusione che, proprio sulla base di alcuni allegati del verbale suddetto, le partite creditorie richieste emergevano come pacificamente dovute in quanto documentalmente provate. Conclude, quindi, assumendo che il verbale costituiva elemento di prova certo ed idoneo di per sé a legittimare e fondare la pretesa di pagamento, che risultava, altresì, da altro documento non oggetto di contestazione: il tutto conformemente alle disposizioni contenute nell’Accordo Nazionale Agenti 23.12.2003.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 23 dell’Accordo Nazionale Agenti stipulato tra l’ANIA, SNA e UNIPASS il 23.12.2003, denominato convenzionalmente ANA, in relazione ai canoni di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., per non avere considerato la Corte di appello che la suddetta disposizione prevede, con carattere di obbligatorietà, l’effettuazione di operazioni al termine dell’incarico dirigenziale, da riportare in un verbale che costituisce elemento di prova certo ed idoneo a legittimare la pretesa di pagamento della compagnia su cui correttamente il Tribunale di Cosenza aveva fondato la condanna del N..
4. I due motivi, che per la loro interferenza possono essere scrutinati congiuntamente, non sono meritevoli di accoglimento presentando profili di inammissibilità e di infondatezza.
5. Invero, con riguardo al primo aspetto, deve darsi atto che, nel ricorso per cassazione, non risulta trascritto il testo integrale del “verbale di riconsegna di agenzia”, di cui è processo, onde potere verificare, nella sua interezza, le operazioni compiute, l’esito delle risultanze e, infine, le riserve apposte; analogamente, anche il citato documento (all. 6), riportante il conteggio degli importi dovuti non è stato riportato.
6. E’ opportuno sottolineare che, in tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza – prescritto a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 – è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi di impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara prospettazione funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se e in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso affermi trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti e documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la ci testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto (Cass. n. 24340 del 2018).
7. Con riferimento al secondo profilo (infondatezza), osserva il Collegio che l’art. 23 dell’Accordo Nazionale Agenti effettivamente prevede, al momento dello scioglimento del contratto di agenzia, la redazione di un apposito verbale, redatto in duplice copia, attestante, tra l’altro, le operazioni di riconsegna dei materiali e dei beni nonché l’elenco delle provvigioni maturande di spettanza dell’agente o dei suoi eredi.
8. Il comma 6 del suddetto articolo statuisce che il verbale deve essere sottoscritto dall’agente alla chiusura delle operazioni di riconsegna e le eventuali contestazioni, che non esonerano l’agente (o suoi eredi) dagli adempimenti di cui ai precedenti comi, devono risultare dal predetto verbale di riconsegna con le ragioni e/o riserve delle parti. E’ anche previsto il termine di gg. 30, dalla richiesta dell’agente, entro il quale l’impresa è tenuta a mettere a disposizione tutti i dati e la relativa documentazione concernenti la liquidazione del rapporto (comma 11).
9. Orbene, va rilevato che, senza dubbio, le risultanze di un atto in cui, come nel caso in esame, viene apposta la riserva “di potere verificare alcune componenti di cui al verbale di riconsegna (riservandosi quindi la quantificazione del saldo contabile eventualmente risultante)” non può assumere in giudizio il valore di prova precostituita (per la quale la parte ha solo l’onere di produrla in giudizio), con efficacia legale (nel senso di vincolare il giudice che non può valutare il risultato probatorio in modo difforme), non essendovi appunto alcun accordo sull’esito delle operazioni.
10. Ne’ dette risultanze costituiscono “ricognizione del debito” perché non danno adito, sia pure presuntivamente, all’esistenza di una causa debendi valida fino a prova contraria, proprio per l’apposizione delle suindicate riserve.
11. Gli esiti con riserva del verbale di cui all’art. 23 ANA rappresentano, invece, solo un elemento probatorio che, unitamente ad altri, da raccogliere, a seguito della nuova formulazione dell’art. 111 Cost. (introdotta dalla Legge costituzionale n. 2 del 1999) nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità e con la partecipazione del giudice, possono dimostrare la fondatezza della pretesa azionata.
12. La Corte territoriale ha applicato tali principi, evidenziando, con un accertamento di merito non sindacabile in sede di legittimità in quanto relativo alla valutazione delle prove e adeguatamente motivato (ex plurimis Cass. n. 23940 del 2017), che la carenza probatoria imputabile alla società (ravvisabile nella produzione del verbale di riconsegna) non era stata colmata con la richiesta di prova testimoniale formulata con il ricorso introduttivo perché non era stata reiterata con la memoria di costituzione in appello: ciò a prescindere dalla tardività delle difese del resistente, costituitesi in ritardo in primo grado, e dalla operatività del principio di non contestazione che opera rispetto a fatti storici e non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti (Cass. n. 6172 del 2020).
13. Alla stregua di quanto esposto, resistendo la gravata sentenza alle censure in diritto mosse, il ricorso deve essere rigettato.
14. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
15. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 16 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2021