Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.22366 del 05/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8189-2019 proposto da:

Z.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA GRAZIA CAPITANIO;

– ricorrente –

contro

P.M.I. DI B.G. & C. S.A.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO CANU;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 260/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 11/09/2018 R.G.N. 59/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/01/2021 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’appello di Brescia, con sentenza dell’11.9.2018, respingeva il gravame proposto da Z.A. avverso la decisione del Tribunale di Bergamo che 1) aveva rigettato le domande con cui il predetto aveva chiesto di accertare l’inefficacia del licenziamento orale del 9.1.2017, con conseguente ordine di reintegrazione e condanna al pagamento dell’indennità prevista dal D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 2 e, comunque, l’illegittimità dei licenziamenti intimati con lettere del 18 e 20 gennaio 2017 da PMI di B.G. & C. s.a.s., con condanna al pagamento dell’indennità prevista dallo stesso D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 3; 2) in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla società, aveva condannato lo Z. al pagamento della somma di Euro 310.901,69 a titolo di risarcimento del danno in relazione al furto di un ingente quantitativo di sfrido di materiale in ottone risultante dalla lavorazione in conto terzi di rubinetti; 3) aveva respinto l’opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dallo Z. per il pagamento delle ultime retribuzioni e del t.f.r.;

2. in sede di gravame, lo Z. aveva evidenziato che non fosse stata raggiunta la prova della propria responsabilità circa il furto del materiale ed aveva contestato la sussistenza e la misura del danno patito dalla datrice di lavoro, laddove la società, con appello incidentale, aveva sostenuto l’erroneità del dispositivo della sentenza nella parte in cui aveva affermato la necessità della revoca del decreto ingiuntivo;

3. la Corte distrettuale, premessa l’inapplicabilità del D.Lgs. n. 81 del 2015, per essere stato lo Z. assunto precedentemente all’entrata in vigore della indicata normativa, osservava che le dichiarazioni testimoniali allegate dall’appellante a sostegno del motivo erano state riportate solo parzialmente e che le stesse, esaminate nel loro contenuto integrale, portavano a ritenere che il predetto, responsabile del reparto tranciatura, era l’unico a scaricare il camion della Brawo, alla quale riconsegnava il materiale dopo la sua lavorazione, e che lo stesso era stato visto anche in giornate di riposo arrivare con la sua auto e caricarla di cassette di cui i testi non erano stati in grado di precisare il contenuto;

3.1. anche le dichiarazioni rese da informatori in sede penale avevano contribuito, secondo la Corte, quale elemento aggiuntivo, a definire il quadro probatorio già sufficientemente delineato, che comprovava come fosse stato l’appellante l’autore della sottrazione continuata dello sfrido di ottone risultante dalla lavorazione dei pezzi consegnati dalla società Brawo;

3.2. quanto alla contestata entità degli ammanchi, la Corte rilevava l’infondatezza della censura in ordine alla grossa entità degli stessi, avvalorata dalla continuità e frequenza degli atti di asportazione e dal peso di ciascuna cassetta di sfrido;

4. di tale decisione domanda la cassazione lo Z., affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la società:

5. per la società si è costituito nuovo difensore, avv. Massimo Canu, in sostituzione dell’avv. Silvano Canu.

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo, lo Z. denunzia omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’appello fatto ricorso a presunzioni e valutazioni di verosimiglianza ignorando gli elementi di prova contraria, assumendo che il licenziamento era fondato sull’omessa segnalazione di ammanchi di cui esso ricorrente non poteva avvedersi e della cui sottrazione era stato inspiegabilmente ritenuto l’autore, posto che dalle stesse dichiarazioni richiamate nella sentenza impugnata si evinceva che taluni testi avevano visto caricare l’auto senza sapere dire con cosa, senza che nessuno avesse mai riferito di avere visto il ricorrente trasferire fuori dell’azienda il materiale residuato dalle lavorazioni effettuate per conto della Brawo;

1.1. osserva come non potevano ritenersi sospette attività che non esulavano delle mansioni espletate e che le circostanze ritenute significative dalla Corte distrettuale avrebbero dovuto condurre al rigetto della domanda riconvenzionale della società, rivelandosi la sentenza carente in punto di motivazione, non coordinando le risultanze con il fatto che a fine giornata non mancassero né le cassette né il materiale di sfrido;

1.2. rileva che alcune affermazioni della Corte siano contraddittorie, avendo le deposizioni dei testi, correttamente interpretate, escluso che la condotta si fosse perpetuata per un arco temporale così prolungato, il che, tenuto conto anche delle condizioni di salute del ricorrente, doveva portare ad escludere la sottrazione contestata;

1.3. aggiunge che tra le mansioni svolte non erano ricomprese le operazioni di pesatura del materiale al momento dell’ingresso dei carichi di Brawo e che esso ricorrente non avrebbe potuto avvedersi di eventuali ammanchi, né sottrarre materiale senza che la sua condotta venisse intercettata da quanti detta comparazione invece effettuavano;

2. con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 5 rilevando come la società P.M.I., benché oneratane, abbia omesso di provare tanto il fatto generativo del presunto danno e l’entità del medesimo, quanto la riferita circostanza che lo Z. abbia contribuito o dato causa, con un comportamento colposo ed omissivo, o con una condotta dolosa, alla sottrazione del materiale contestata da Brawo a PMI;

2.1. assume, inoltre, che non valga a supportare l’accoglimento della domanda riconvenzionale il ricorso a presunzioni, posto che il giudice ha posto a base del ragionamento inferenziale fatti la cui conoscenza è a sua volta risultato di un procedimento presuntivo (quella che lo Z. caricasse in auto lo sfrido);

3. con il terzo motivo, lo Z. si duole della violazione o falsa applicazione dell’art. 274 c.p.c., per non avere la Corte d’appello escluso l’utilizzabilità, ai fini della decisione, di prove raccolte in altro giudizio, con riguardo all’accordo transattivo prodotto da PMI nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ossia nell’ambito di un giudizio diverso da quello avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento ed anteriormente alla riunione con quest’ultimo, con la conseguenza che doveva riconoscersi l’autonoma individualità di ciascun giudizio, senza alcuna possibilità di confusione degli elementi di ciascun procedimento e delle prove acquisite nell’uno e nell’altro;

3.1. assume che con l’utilizzo di tale prova la Corte abbia supplito all’omesso assolvimento dell’onere probatorio da parte della società;

4. con il quarto motivo, si censura la sentenza per l’omessa ammissione dei mezzi di prova, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, assumendosi che erroneamente era stata rigettata la reiterata richiesta di ammissione delle prove orali con le quali si tendeva a dimostrare che lo Z. non provvedeva alla pesatura della merce in entrata, alla numerazione e pesatura dei colli, perché tali operazioni non erano richieste dai gestori dell’azienda, e che, in sede di inventario espletato nel 2015 dal titolare del P.M.I., non era stata evidenziata alcuna anomalia, così come nei precedenti inventari effettuati semestralmente;

5. il ricorso è infondato;

6. quanto al primo motivo, è sufficiente rilevare che tutte le censure attengono al merito ed in primo luogo va rilevata la inammissibilità della deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non denunziabile ratione temporis in ipotesi di doppia conforme, ai sensi di quanto disposto dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5;

6.1. in ogni caso, va ribadita l’inconfigurabilità della denunciata omissione di esame di alcun fatto storico, tanto meno decisivo, per la pluralità di fatti censurati (di palese negazione ex se del requisito di decisività: Cass. 5 luglio 2016, n. 13676; Cass. 28 maggio 2018, n. 13625), al di fuori del paradigma devolutivo e deduttivo del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439; Cass. 13568/2018), avendo la doglianza piuttosto il carattere di una (inammissibile) contestazione della valutazione probatoria della Corte di merito;

6.2. in conclusione, è carente l’indicazione del fatto asseritamente omesso nell’esame, tanto meno nel rispetto del paradigma deduttivo (dovendo il ricorrente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”) prescritto dal novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori, ostativi ad una valutazione della motivazione insufficiente o contraddittoria, salvo che essa non risulti apparente né perplessa o obiettivamente incomprensibile (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439): ciò che non si verifica nel caso di specie;

7. con riguardo al secondo motivo, non si configura alcuna inversione degli oneri probatori, poiché, in realtà, una tale situazione non è quella rappresentata nel motivo anzidetto e la relativa doglianza è mal prospettata, tendendo unicamente ad una rivisitazione del merito, non consentita nella presente sede di legittimità;

7.1. quanto all’assolvimento dell’onere della prova, deve, poi, richiamarsi quanto reiteratamente affermato da questa Corte, secondo cui il principio dell’onere della prova (regola residuale di giudizio in conseguenza della quale la mancanza, in seno alle risultanze istruttorie, di elementi idonei all’accertamento della sussistenza del diritto in contestazione determina la soccombenza della parte onerata della dimostrazione dei relativi fatti costitutivi) non implica anche che la dimostrazione del buon fondamento del diritto vantato dipenda unicamente dalle prove prodotte dal soggetto gravato dal relativo onere, e non possa, altresì, desumersi da quelle espletate, o comunque acquisite, ad istanza ed iniziativa della controparte, atteso che vige, nel nostro ordinamento processuale, in uno con il principio dispositivo, quello cd. “di acquisizione probatoria”, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute (e qual che sia la parte ad iniziativa della quale sono state raggiunte), concorrono, tutte ed indistintamente, alla formazione del libero convincimento del giudice, senza che la relativa provenienza possa condizionare tale convincimento in un senso o nell’altro, e senza che possa, conseguentemente, escludersi la utilizzabilità di un prova fornita da una parte per trarne argomenti favorevoli alla controparte (cfr., Cass. 16.6.1998 n. 5980, Cass. 4.4.2000 n. 4133, Cass. 16.6.2000 n. 8195, Cass. 25.9.2000 n. 12649, Cass. 7.8.2002 n. 11911, Cass. 21.3.2003 n. 4126);

7.2. nella specie non e’, dunque, prospettabile, per quanto detto, alcuna inversione dell’onere probatorio e, quanto alle ulteriori doglianze, vale osservare che il giudice del merito evidentemente è partito dal fatto noto che lo Z. era l’unico ad effettuare le operazioni di carico e scarico e che era stato visto trasportare varie cassette con il proprio autoveicolo con frequenza e continuità, elementi validamente posti alla base del ragionamento inferenziale;

7.3. con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., come interpretati da una consolidata giurisprudenza di questa Corte, è stato, invero, chiarito che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi, tuttavia, rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (Cass. 29781/2017 cit., Cass. 27/10/2010 n. 21961; Cass. 02/04/2009 n. 8023; Cass. 21/10/2003 n. 15737);

7.4. è stato ulteriormente puntualizzato che non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, cioè che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza (cfr. Cass. 18/7/2007 n. 16993; Cass. 23/2/2010 n. 4306; Cass. 31/10/2011 n. 22656; Cass. 8/10/2013 n. 22898 del 2013), visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cass. n. 13/3/2014 n. 5787); nel caso di specie l’inferenza tratta dal giudice di appello sulla base degli elementi suindicati, non evidenzia alcun elemento di illogicità ed implausibilità della ricostruzione fattuale al quale la Corte distrettuale è pervenuta in punti di ritenuta concludenza della condotta del lavoratore nel senso della sussistenza di una sottrazione continuata della sfrido di ottone risultante dalla lavorazione dei pezzi consegnati dalla società Brawo;

8. in ordine alla questione dell’individuazione del valore probatorio del documento proveniente dai terzi, prospettata nel terzo motivo, se ne sostiene costantemente il valore indiziario (per tutte, v. Cass. 14122/2004, 11652/2002, 2149/2002, 11105/2001, 8063/2001, 8063/2001, 10041/2000, 4503/2000, 852/1999), affermandosi che il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato – con le altre risultanze del processo (cfr. Cass. 25.3.2004 n. 5965);

8.1. il giudice del gravame si è attenuto a tali principi nel conferire alle dichiarazioni scritte dei terzi valore indiziario, ritenendo che il contenuto degli scritti sia stato confermato da ulteriori prove acquisite nel contraddittorio delle parti, che non ne hanno in alcun modo contraddetto la portata; va anche considerato che, sulla base delle risultanze complessivamente valutate, l’ammontare degli ammanchi è stato rapportato a quello ridotto addebitato in via transattiva alla PMI (Euro 325.000, a fronte dei danni inizialmente stimati in Euro 750.000) e che il pagamento dell’importo ridotto è stato confermato, secondo quanto argomentato dal giudice del gravame, dalla deposizione del teste B. nei termini precisati dal predetto e confermati da ulteriori elementi di causa quanto a congruità e plausibilità della prospettata rilevanza economica degli ammanchi;

9. infine, quanto alla deduzione, contenuta nel quarto motivo, del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, va nuovamente rilevato che alla stessa osta la sussistenza di “doppia conforme”, dovendo, in ogni caso richiamarsi il principio affermato da questa Corte, alla cui stregua “il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci la mancata ammissione di un mezzo istruttorio, è onerato, a pena d’ inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza che risulta ora tradotto nelle puntuali e definitive disposizioni contenute negli artt. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non solo della specifica indicazione del mezzo istruttorio richiesto e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della puntuale indicazione e trascrizione del contenuto del provvedimento censurato, così da rendere immediatamente apprezzabile dalla Suprema Corte il vizio dedotto” (cfr Cass. n. 14107 del 07/06/2017);

9.1. ciò che più rileva per disattendere anche l’ultima doglianza è che l’assunto relativo alla circostanza che lo Z. non doveva procedere alle operazioni di pesatura all’ingresso e che non riceveva bolle di consegna del materiale è stato ritenuto irrilevante dal giudice del gravame a fronte del coacervo delle risultanze istruttorie che avevano consentito di accertare la sussistenza e l’imputabilità dei fatti contestati;

10. alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso deve essere respinto;

11. le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

12. sussistono per il ricorrente le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.250,00 per compensi professionali oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del citato D.P.R., art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 14 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2021

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