LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3116-2018 proposto da:
BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI ROMA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA ORAZIO 31, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MATTEI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
S.G., nella qualifica di legale rappresentante della S.T. e C. SNC di S.G., e quale avente causa ed erede legittimo di P.C., S.M.G., quale avente causa ed erede legittima di P.C., nonché
di S.T., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati RAFFAELLO AUGUSTO PRINCIPI, TIZIANO PRINCIPI;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 4360/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 16/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA MASSIMO.
FATTI DI CAUSA
1. – S.T. e C. s.n.c., S.T., poi deceduto, e P.C. proponevano opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Rieti in favore della Banca di Credito Cooperativo di Roma con cui era stato loro ingiunto il pagamento di alcune somme; gli importi intimati costituivano il saldo debitore di tre distinti rapporti di conto corrente; gli attori domandavano, inoltre, in via riconvenzionale, di rideterminarsi il saldo maturato con riferimento ai rapporti in questione.
In esito al giudizio di opposizione, in cui si costituiva la banca, il Tribunale revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava gli opponenti al pagamento di somme diverse rispetto a quelle portate dal provvedimento monitorio.
2. – Proposto gravame, la Corte di appello di Roma pronunciava una prima sentenza non definitiva con cui, in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava: “non dovuta alcuna capitalizzazione degli interessi passivi, delle c.m.s. ove previste, delle spese e competenze” per i conti correnti di cui trattasi; non essere applicabile ai medesimi rapporti la Delib. CICR 9 febbraio 2000; essere dovuto l’azzeramento delle poste contabili dei conti in questione con riferimento al periodo ricompreso tra il 30 giugno 1998 e il 25 novembre 2004 (per cui non erano stati prodotti estratti conto). Con successiva sentenza definitiva, resa a seguito dell’esperimento di consulenza tecnica d’ufficio, la stessa Corte accertava, poi, nulla spettare agli appellanti S.T. s.n.c., P.C. e S.G., quest’ultimo nella veste di erede del defunto S.T..
3. – Contro le due sentenze della Corte di Roma la Banca di Credito Cooperativo di Roma ha proposto un ricorso per cassazione basato su due motivi; resistono con controricorso S.G. e S.M.G., erede di P.C., nel frattempo deceduta, e di S.T.. La banca ha depositato memoria.
Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo è lamentata violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.. La censura investe il punto della decisione non definitiva in cui è addebitato alla banca il mancato adempimento del proprio onere probatorio con riferimento agli estratti conto riferiti alla prima parte dei rapporti di conto corrente dedotti in giudizio. Assume la ricorrente che l’applicazione del criterio del saldo “zero” risultava essere errata, e ciò in quanto la controparte non si era limitata a chiedere la revoca del decreto ingiuntivo opposto, ma aveva altresì domandato la determinazione del credito vantato dalla banca e quindi introdotto un’azione di accertamento negativo. Rammenta, in proposito, l’istante che, ove il correntista agisca in via riconvenzionale o per l’accertamento negativo del proprio credito, la mancata produzione dei primi estratti conto determina la necessità di considerare vero e reale il saldo portato dal primo degli estratti conto versati in causa.
Il motivo è infondato.
La banca ricorrente omette di considerare che nella controversia in esame la domanda riconvenzionale (di accertamento del saldo e di ripetizione dell’indebito) della società correntista si contrappone a quella diretta al pagamento del saldo del rapporto di conto corrente: domanda da essa originariamente azionata in via monitoria.
In quest’ultima ipotesi entrambe le parti sono onerate della prova delle contrapposte pretese aventi rispettivamente ad oggetto l’inesistenza e l’esistenza del credito dedotto in lite (per l’ipotesi di contrapposte domande di pagamento e di accertamento negativo: Cass. 16 giugno 2005, n. 12963; Cass. 15 febbraio 2007, n. 3374; con specifico riguardo al caso in cui il correntista agisca in giudizio chiedendo di rideterminarsi il saldo del conto e la ripetizione degli importi da lui indebitamente versati, mentre la banca spieghi riconvenzionale per la corresponsione degli importi di cui si assuma creditrice: Cass. 7 maggio 2015, n. 9201, non massimata). Ciò significa, in concreto, che ciascuno dei due contendenti ha l’onere di dar prova delle operazioni da cui si origina il saldo.
C’e’ da dire, in linea generale, che nella prospettiva consegnata dall’art. 2697 c.c., la mancata documentazione di una parte delle movimentazioni del conto, il cui saldo sia a debito del correntista, non esclude una definizione del rapporto di dare e avere fondata sugli estratti conto prodotti da una certa data in poi. Essendo sia la banca che il correntista onerati della prova dei propri assunti, la mancata produzione degli estratti conto assume una colorazione neutra sul piano della ricostruzione del rapporto di dare e avere e giustifica, come tale, un accertamento del saldo di conto corrente che non è influenzato dalle movimentazioni del periodo non documentato.
Infatti, proprio in quanto ognuna delle parti assume la veste di attore all’interno del giudizio, è inconcepibile che l’una e l’altra possano giovarsi delle conseguenze del mancato adempimento dell’onere probatorio della controparte. In tal senso, mancando la prova delle movimentazioni del conto occorse nel periodo iniziale del rapporto, il correntista non potrà aspirare a un rigetto della domanda di pagamento della banca, ma, al contempo, questa non potrà invocare, in proprio favore, l’addebito della posta iniziale del primo degli estratti conto prodotti.
Ciò spiega come il criterio adottato dal giudice di appello, che è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (cfr. di recente Cass. 29 ottobre 2020, n. 23852), non meriti censura.
Ne’ appare concludente il richiamo, da parte della ricorrente, a Cass. 11 gennaio 2017, n. 500: pronuncia (peraltro massimata con riferimento a un tema diverso da quello che qui interessa) la cui portata è da riferire al modo di atteggiarsi dell’onere probatorio nel caso in cui venga in questione la (sola) domanda del correntista, non (anche) la domanda di pagamento del saldo da parte della banca (cfr. infatti pag. 8 della sentenza).
2. – Il secondo mezzo oppone l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché la nullità della sentenza in relazione agli stessi articoli, oltre che all’art. 132 c.p.c., n. 4, per avere la Corte di appello omesso di esaminare, non dandone atto, le osservazioni tempestivamente inviate dal consulente tecnico di parte della banca il 20 aprile 2017, ritenendo così non contestate le risultanze contabili della consulenza depositata il 6 maggio 2017. La ricorrente imputa alla Corte di merito il mancato apprezzamento delle suddette deduzioni e lamenta, quindi, che la sentenza definitiva risulti essere fondata sul mancato deposito delle osservazioni alla consulenza tecnica d’ufficio della banca stessa.
Il motivo è radicalmente inammissibile.
La ricorrente non chiarisce, nemmeno in forma riassuntiva, il contenuto delle osservazioni con cui il proprio consulente tecnico avrebbe contestato le affermazioni del c.t.u., né fornisce indicazioni quanto al contenuto di queste ultime. Per contro, la ricorrente aveva l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invocava il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione (Cass. 17 luglio 2014, n. 16368; cfr. pure Cass. 3 giugno 2016, n. 11482 e Cass. 3 agosto 2017, n. 19427). Sul punto, la sentenza impugnata (che oltretutto attesta di aver tenuto conto delle osservazioni del consulente tecnico dell’odierna ricorrente, da essa “condivise”: cfr. pag. 4 della sentenza definitiva) risulta quindi investita da una censura carente di autosufficienza.
3. – Il ricorso è pertanto respinto.
4. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6^ Sezione Civile, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2021