LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21078-2019 proposto da: ”
M.K., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LUIGI PIRANDELLO 67/A, presso lo studio dell’avvocato SABRINA BELMONTE, rappresentato e difeso dall’avvocato BRUNO FEDELI, giusta procura in atti;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1004/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 04/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il sig. M.K. ha proposto ricorso, sulla scorta di due motivi, per la cassazione della sentenza della corte d’appello di L’Aquila che, nel rigettare il gravame, ha confermato sia l’ordinanza resa ex art. 702 ter c.p.c. dal tribunale della stessa città sia il provvedimento emesso dalla Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona, con i quali veniva negata all’odierno ricorrente ogni forma di protezione internazionale, mancando i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, richiesto in via principale, nonché per la concessione della protezione sussidiaria e umanitaria, richieste in via gradatamente subordinata. Il sig. M. afferma di aver lasciato il proprio Paese d’origine, il *****, nel 2015. Suo padre era un sostenitore del partito BNP (*****) e a seguito delle elezioni politiche era stata perseguitato dai sostenitori del partito dell’opposizione, *****, che lo avevano costretto a fuggire. Di conseguenza, i sostenitori di quest’ultimo partito iniziano a perseguitare il figlio, l’odierno ricorrente, aggredendolo più volte e impedendogli di lavorare nelle terre di famiglia. Nel corso dell’ennesima aggressione, il sig. M. ferisce un sostenitore di ***** e in conseguenza di ciò, non sentendosi protetto dalla polizia locale, decide di abbandonare il suo Paese, temendo ritorsioni da parte dei compagni dell’uomo da lui ferito. La corte d’appello, chiamata a pronunciarsi su tale vicenda, esclude la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di qualunque forma di protezione internazionale. In primo luogo, la corte rileva che la narrazione dell’appellante è disancorata da elementi idonei ad un’adeguata contestualizzazione: egli non ha saputo spiegare quale fosse il ruolo svolto dai suoi familiari e da lui stesso nel partito nazionalista, né quali fossero le ragioni per le quali era stato picchiato e depredato di ogni suo avere. Il racconto del richiedente e il timore di essere ricercato dai sostenitori del partito di opposizione risultano poco credibili e verosimili; gli elementi di valutazione offerti sono talmente generici da precludere la riferibilità soggettiva della vicenda al richiedente protezione, il che appare sufficiente per negare la concessione dello status di rifugiato per timore di persecuzioni legate alle opinioni politiche. Si esclude, altresì, la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), non essendo dal ricorrente dedotti i rischi di danno grave in esse contemplati.
Quanto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), la corte, esercitando i poteri officiosi d’indagine, reputa che le informazioni reperibili sul Paese d’origine del richiedente (si cita *****) non restituiscono l’immagine di un luogo colpito da una violenza endemica tale che la sola presenza sul territorio dello Stato possa costituire un rischio per l’incolumità del soggetto, escludendo dunque anche tale forma di protezione.
Infine, la corte d’appello rigetta la richiesta di protezione umanitaria, non rinvenendo nel caso di specie una situazione di particolare vulnerabilità del richiedente, non essendo a tal fine dirimenti né la giovane età, né le condizioni economiche precarie, né infine il genetico riferimento alle condizioni di povertà e di privazione delle libertà personali nel Paese di provenienza.
Con il primo motivo di ricorso, il sig. M.K. deduce l’erronea interpretazione dei fatti e delle circostanze poste a fondamento della domanda, la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, comma 1, lett. g), artt. 3 e 14, relativi alla concessione della protezione sussidiaria per il sig. M., anche in relazione al combinato disposto dell’art. 4, paragrafo 3, lett. d) della direttiva 2004/83/CE e dell’art. 13, paragrafo 3, lett. a) della direttiva 2005/85/CE. La corte d’appello incorre, a detta del ricorrente, nel grave errore di ritenere non sussistente una situazione di rischio per il richiedente, derivante da violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale, affermando che il ***** non è interessato da alcun conflitto. La corte avrebbe infatti trascurato che, qualora il ricorrente facesse ritorno in *****, correrebbe il serio ed effettivo rischio di subire un danno grave alla persona e all’incolumità fisica, in considerazione del diffondersi di un clima generale di violenza e dell’assoluta mancanza delle condizioni minime di sicurezza. Il ricorrente cita a tal proposito il rapporto ” EASO Country of Origin Information Report ***** – December 2017", dal quale ritiene possa desumersi una situazione di violenza generalizzata e di instabilità, anche a causa della presenza di gruppi terroristici e della corruzione delle forze dell’ordine, che, al contrario di quanto affermato dalla corte d’appello, rientra a pieno titolo nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c). Con il secondo motivo di ricorso, il sig. M.K. deduce l’erronea interpretazione dei fatti e delle circostanze poste a fondamento della domanda e la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6. Il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento della protezione umanitaria quale forma residuale di protezione, affermando che la corte d’appello ha aprioristicamente escluso la sussistenza di condizioni di vulnerabilità in capo al richiedente, con una statuizione semplicistica e sbrigativa. Si osserva, a tal proposito, in termini generali che la protezione umanitaria può essere concessa sia allorché sussiste un motivo ostativo al riconoscimento della protezione internazionale ma comunque vi è il pericolo di persecuzione o di danno grave, sia quando è negato al richiedente nel Paese d’origine l’effettivo esercizio delle libertà democratiche, sia quando sussistono motivi prettamente umanitari, anche slegati dalla situazione del Paese d’origine. L’utilizzo della disgiuntiva (“seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali”) dimostra che non necessariamente i suddetti motivi devono trovare riscontro in apposite disposizioni costituzionali o internazionali, potendo genericamente discendere dall’art. 2 Cost., che tutela i diritti fondamentali della persona. Nel caso di specie, il rimpatrio dello straniero si porrebbe in contrasto con questa disposizione, essendo precluso nel Paese d’origine l’effettivo esercizio delle libertà democratiche e la libera espressione del proprio orientamento omosessuale, il che appare sufficiente a riconoscere quantomeno questa forma di protezione. Infine, il ricorrente lamenta che la corte d’appello non ha dato rilievo al significativo percorso di integrazione intrapreso in Italia, data anche l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, che avrebbe dovuto considerare nel quadro della valutazione complessiva e comparativa delle condizioni di vita del richiedente nel Paese d’origine e in quello di accoglienza.
Il Ministero dell’Interno ha presentato controricorso, insistendo per l’inammissibilità del ricorso e, nel merito, per il rigetto.
La causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 7 ottobre 2020, per la quale non sono state depositate memorie.
Il sig. M.K. è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
Il primo mezzo di ricorso censura la statuizione di diniego della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), contestando il giudizio della corte territoriale in ordine alla insussistenza di una situazioni di violenza indiscriminata in ***** e citando un report EASO del 2017.
Il motivo va disatteso perché si fonda su una fonte (Overview – december 2017, vedi pag. 7, primo rigo, del ricorso) meno aggiornata di quella utilizzata dalla corte territoriale (***** 2018 – ***** p. 16.1. della sentenza); la censura, pertanto, si sostanzia non in una denuncia di violazione di legge, ma in una contrapposizione tra fonti informativa che attiene al giudizio di fatto operato dal giudice di merito, non sindacabile in questa sede.
Il secondo motivo lamenta il mancato riconoscimento della umanitaria. Tale motivo va giudicato inammissibile perché difetta di specificità; il ricorrente non indica alcuna situazione di vulnerabilità individuale desumibile da fatti dedotti in sede di merito e trascurati dalla corte territoriale, limitandosi, quanto alla asserita integrazione raggiunta dal richiedente nel tessuto sociale italiano, a fare un riferimento del tutto generico alla “copiosa documentazione” attestante un – non meglio specificato – rapporto di lavoro a tempo indeterminato. (pag. 12 del ricorso).
Il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Amministrazione controricorrente le spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.100, oltre le spese prenotate a debito.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2021