Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.22514 del 09/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34449-2019 proposto da:

T.C., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della CORTE, DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANLUCA MONTERUBBIANO;

– ricorrente –

contro

D.S.M.T., elettivamente domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dagli avvocati GIORGIO DE LUCA, LUIGI APICELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata l’08/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa PARISE CLOTILDE.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.La Corte di Appello di Salerno, con sentenza n. 8/2019 depositata l’8-4-2019, ha parzialmente accolto l’appello proposto da D.S.M.T. avverso la sentenza del Tribunale di Salerno n. 596/2018, ponendo a carico di T.C. l’assegno mensile divorzile in favore dell’ex coniuge di Euro 400, oltre rivalutazione monetaria automatica annuale secondo gli indici Istat, e ha dichiarato inammissibile la domanda di restituzione di somme corrisposte a titolo di assegno di divorzio proposta da T.C., compensando tra le parti le spese di lite del doppio grado.

2. Avverso la succitata sentenza, T.C. propone ricorso per cassazione, con tre motivi, nei confronti di D.S.M.T., che resiste con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

3. I motivi di ricorso sono così rubrìcati: “1. Violazione o falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, commi 6 e 9, in relazione anche all’art. 32 Cost., all’art. 5 c.c. ed alla L. 26 giugno 1967, n. 458, art. 6, e dell’art. 23, n. 6 CCNL dei segretari Comunali e provinciali del 16.05.2001; 2. 0messo esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Mancanza del nesso di causalità per trasferimento della D.S. da Ferrara a Salerno, con contestuale inizio dell’attività imprenditoriale; 3. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti: il ricorrente T., in costanza di matrimonio aveva costituito alla sig.ra D.S. un patrimonio già sufficiente a riconoscere la sua funzione endofamiliare”. Con il primo motivo il ricorrente deduce che all’ex moglie incombeva l’onere di provare l’insussistenza di suoi mezzi economici adeguati o l’impossibilità di procurarseli e che detto onere non era stato a suo avviso assolto, non avendo peraltro la D.S. depositato le dichiarazioni dei redditi aggiornate, successive a quella dell’anno 2015, così non risultando compreso nei suoi redditi il canone di locazione, relativo alla casa coniugale, di Euro 600 mensili dalla stessa percepito dall’anno 2017. Censura la valutazione della Corte di merito circa il nesso causale tra la disparità economica tra le parti e il ruolo endofamiliare svolto dalla D.S., la mancata considerazione della professionalità specifica dalla stessa posseduta (sarta), nonché della reale durata della convivenza matrimoniale (13 anni e non 20). Rimarca che la donazione del rene in suo favore da parte dell’ex moglie, pur se atto di estrema importanza di ordine biologico e morale, non riveste alcuna valenza economico-patrimoniale, contrariamente a quanto, ad avviso del ricorrente, ritenuto dalla Corte di merito. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che il Giudice del merito abbia omesso l’esame di un fatto decisivo, ossia il fatto che la beneficiaria avesse, dopo la separazione, lavorato in un primo tempo come commessa e solo dopo 5 anni dall’omologa della separazione si fosse trasferita, per sua unilaterale decisione, da Ferrara a Salerno, sicché lo scarso avviamento della sua attività imprenditoriale era imputabile a quella scelta unilaterale di trasferimento. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta che il Giudice del merito abbia omesso l’esame di un fatto decisivo, ossia il fatto che alla beneficiaria era stato già attribuito un patrimonio sufficiente a remunerare la sua funzione endofamiliare, avendo la stessa ricevuto, tra canoni di locazione della casa familiare e vendita della stessa, l’importo di circa Euro 58.000, e tale introito patrimoniale era riconducibile all’attività lavorativa dell’ex marito in costanza di matrimonio. 3. Il primo motivo è manifestamente infondato.

3.1. Secondo il più recente orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità, all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate (Cass. Sez. Unite n. 18287/2018). Questa Corte ha altresì precisato che la L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, u.c. (come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74), il quale impone, alle parti, di presentare la dichiarazione dei redditi all’udienza di comparizione presidenziale, non fa obbligo al giudice delle successive fasi di merito di far ricorso a simile documento. Esso costituisce, infatti, solo uno dei mezzi – sia pure privilegiato dalla legge – attraverso il quale il giudice può prendere conoscenza delle condizioni patrimoniali della parte, e del quale egli può, pertanto, motivatamente, fare a meno (Cass. n. 4067/1997). Questa Corte ha chiarito, altresì, che l’esercizio del potere del giudice di disporre indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova; l’esercizio di tale potere discrezionale non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del “bagaglio istruttorio” già fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova; tale potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi, sicché la relativa istanza e la contestazione di parte dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge tenuto al predetto mantenimento devono basarsi su fatti specifici e circostanziati (Cass. n. 8744/2019 e n. 23263/2016). Infine, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione dell’art. 115 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità, essendo riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, nonché la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. n. 24434/2016 e Cass. n. 21187/2019).

3.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale, con adeguata motivazione (Cass. S.U. n. 8053/2014), ha ritenuto, richiamando i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la citata sentenza n. 18287/2018, che la rilevata sproporzione economico-patrimoniale tra le parti fosse riconducibile alle scelte di conduzione familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio con il sacrificio delle aspettative professionali dell’ex moglie, la quale solo dopo la separazione aveva ricominciato a lavorare e, donando un rene all’ex marito, gli aveva così consentito un miglioramento delle sue condizioni di vita e di continuare a svolgere l’attività di segretario comunale. La Corte di merito ha perciò riconosciuto alla D.S., che si era dedicata in maniera piena ed esclusiva alla cura della famiglia (anche delle due figlie adottate nel 2002 e ora maggiorenni), l’assegno divorzile nell’importo di Euro 400.

Il suddetto convincimento è stato, dunque, fondato su un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Alla stregua delle considerazioni che precedono, le violazioni di legge denunciate dal ricorrente sono insussistenti, essendosi, per un verso, la Corte d’appello attenuta ai principi di diritto precisati ed avendo, per altro verso, i Giudici di merito esaminato i fatti di rilevanza e, motivatamente, valutato ed interpretato le risultanze probatorie.

Le censure sono inammissibili nella parte in cui si richiede, in buona sostanza, un riesame del merito, sul nesso causale tra la sproporzione reddituale e le scelte di conduzione familiare, sull’occupazione lavorativa dell’ex moglie, nonché sulla rilevanza in concreto, nella valutazione complessiva del quadro probatorio, della donazione del rene.

4. I motivi secondo e terzo sono inammissibili, ed invero lo stesso ricorrente, nella memoria illustrativa, dichiara di aderire alla proposta del relatore sul punto, atteso che i fatti il cui esame si assume omesso (trasferimento dell’ex moglie a Ferrara nel 2013 e vendita della casa coniugale) sono stati, invece, esaminati dalla Corte d’appello, e le censure si risolvono in una sostanziale richiesta di rivisitazione dei suddetti fatti storici (Cass. n. 34476/2019).

5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 3.100, di cui Euro 100 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2021

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